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venerdì 24 novembre 2017

L'ALBERO DEGLI ZOCCOLI

41_L'ALBERO DEGLI ZOCCOLI . Italia 1978;  Regia di Ermanno Olmi.

Nel 1977, l’anno precedente all’uscita de L’albero degli zoccoli, sulle sonde Voyager venne inviato nello spazio il Voyager Golden Record, un disco che dovrebbe presentare l’umanità e il nostro mondo a eventuali extraterresti che dovessero intercettarlo. A questo punto valeva forse la pena attendere un anno, e spedire nello spazio una copia della pellicola del film di Ermanno Olmi, che da solo può tranquillamente sostenere il peso e la responsabilità di ergersi ad assoluta testimonianza dell’umana esistenza. Forse proprio il suo essere vicenda quasi privata, ma sicuramente territoriale, rende L’albero degli zoccoli un testo universale: chiunque, nel mondo, può riconoscersi nella vita sofferta ma dignitosa, di questi contadini della provincia lombarda di fine Ottocento. La semplicità della vita nella corte, le sue regole, le sue abitudini, i suoi ritmi, tutto concorda, collabora, nel definire la genuinità della comunità contadina, che Olmi traduce nel suo lungometraggio senza alcuno sforzo, con assoluta naturalezza. La pellicola scorre lenta, ma inesorabile, come le rare stagioni buone si succedono a quelle cattive; le donne e gli uomini della corte lombarda si oppongono stoicamente alle difficoltà di una vita dura, aspra, ma non perdono mai la speranza, aiutati in questo dalla fondamentale fede cattolica di evidente matrice manzoniana
Non è quindi una superstizione o una negazione della ragione, ma un supporto a cui appoggiarsi quando non si ha ormai più niente, quando ci sarebbe solo da disperarsi; ma disperarsi non serve, e quindi meglio recitare una preghiera, tener duro e non mollare. Il regista sceglie di lasciar parlare i suoi personaggi, tutti contadini veri, attori solo per l’occasione, nella propria lingua, il dialetto della bassa provincia bergamasca; ma per chi trovasse difficoltà, esiste anche una versione del lungometraggio dove si parla un leggero dialetto lombardo appena accentato di bergamasco. In ogni caso il dialetto è una lingua intuitiva, e inoltre non è che ci siano troppi intrighi narrativi da seguire, solo vita di campagna, semplice e faticosa quotidiana esistenza di contadini. 
Oppure il duro rapporto con la vita animale, diviso tra l’ammirazione per la nascita di un puledro, e la preoccupazione per una vacca che sta male; ma anche tra le terribili scene della macellazione del maiale e dell’uccisione dell’oca, per non parlare del contadino che inveisce e maltratta la cavalla invece di prendersela con la propria dabbenaggine. Non è quindi un ritratto edulcorato, L’albero degli zoccoli, tutt’altro. Olmi non fa sconti: la scena cruciale racconta di qualcosa di molto simile ad un furto. Il figlioletto di Batistì per andare a scuola deve sorbirsi ogni giorno, a piedi, dodici chilometri; un giorno torna con uno degli zoccoli rotto. Il padre non sa come fare, ma non può certo mandare il figlio scalzo; allora attende la sera tardi per recarsi al fosso vicino, e ne taglia una pianta con cui ricavare uno zoccolo nuovo. 
E’ un furto, la pianta è del proprietario della tenuta, Olmi lo evidenzia in modo chiaro: lo dice esplicitamente in una delle didascalie introduttive, e lo mostra anche nella furtività del comportamento del Batistì mentre compie la sua spedizione notturna. Anche cinematograficamente il regista introduce la scena dandocene un’anticipazione che istrada anche i più distratti: poco prima che il contadino esca per tagliare la pianta, una delle donne sta’ prendendo la legna dal portico per alimentare il proprio camino. Una volta caricati sul braccio alcuni pezzi di legno, si volta e si incammina verso la porta di casa, quando, forse vedendo che non c’è nessuno nella finestra accanto, fà una decisa e veloce deviazione su un’altra catasta di legna, ne raccatta qualche altro pezzo, e di corsa fila in casa. E’ evidente che questi legni sono dell’altra famiglia, e la donna ha approfittato del momento propizio: è un furto da niente, tre pezzi di legno che bruciano in mezz’ora; ma ora il terreno narrativo è pronto per il furto più grave. Una pianta, di appena qualche anno, non una pianta adulta, una tra le centinaia di piante che appartengono al padrone che vive in una villa, dove danno eleganti ricevimenti e si ritrovano ad ascoltare il pianoforte. Ma si tratta comunque di un furto. Quando la cosa verrà scoperta, non ci saranno indagini, o tentativi di discolparsi o accampare alibi. Niente di tutto questo, la famiglia del Batistì è colpevole e verrà cacciata dalla tenuta, fine della storia.        
E’ un film splendido, L’albero degli zoccoli, splendido come un lucido esame di coscienza di una comunità che non si piange addosso, che non impreca, che ammette le proprie colpe, le proprie mancanze, ma se non proprio con orgoglio, certamente con dignità, rivendica la fierezza delle proprie origini.


Francesca Moriggi



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