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mercoledì 21 maggio 2025

NESSUNO DEVE SAPERE

1671_NESSUNO DEVE SAPERE Italia, Germania, 1972. Regia di Mario Landi

Nel settembre del 1972, Il Padrino di Francis Ford Coppola [Il Padrino, Francis Ford Coppola, 1972] era uscito anche nelle sale cinematografiche italiane; un film che aveva portato alla ribalta internazionale l’argomento mafioso. Peraltro, nel Belpaese, Pietro Germi, Francesco Rosi, Elio Petri, Giuseppe Ferrara, Damiano Damiani, tra gli altri, avevano già dato corpo ad un filone cinematografico che poteva assurgere a rango di vero e proprio «genere». Curiosamente minore l’attenzione al fenomeno che aveva fin lì prestato la nostrana televisione; che al tempo, in Italia, voleva sostanzialmente dire Rai, l’emittente di stato che più che un emittente era una vera e propria istituzione nazionale. Nell’ottobre del 1972 era stato trasmesso Joe Petrosino, uno sceneggiato storico-biografico per la regia di Daniele D’Anza, ambientato prevalentemente a New York ma con passaggi in Sicilia e strettamente connesso all’argomento mafioso di origine italiana. Intanto, contemporaneamente, in quello stesso ottobre ’72, nella Germania Ovest andava in onda una coproduzione tra le tedesche Taurus e Westdeutscher Rundfunk e l’italiana Rai: Blutige Straße, uno sceneggiato televisivo di oltre quattro ore e mezza ambientato in Calabria. Nessuno deve sapere, questo il titolo italiano dell’opera, verrà trasmesso nello Stivale solo nel corso del 1973, nonostante fosse stato realizzato nel 1971 e comunque pronto per la messa in onda l’anno successivo, come evidenziato dai palinsesti tedeschi dell’epoca. Un ritardo nella messa in onda, un po’ clamoroso per la verità, che è, o sembra essere, semplicemente il primo di una serie di episodi che ha sempre messo Nessuno deve sapere in ombra, in secondo piano, quasi a voler intendere il titolo in senso metalinguistico. Uno sceneggiato che è meglio non sia visto, insomma. Un’impressione mantenuta vivida tutt’ora dalla perdurante difficoltà di visione dell’opera, sia in DVD che su qualche piattaforma streaming; e dire che la Rai ne gestisce una, Rai Play, che offre un’ampia scelta tra gli sceneggiati d’epoca. Questo, soprattutto, in considerazione dell’eccelso valore del film di Mario Landi, regista di Nessuno deve sapere, che va ascritto senza alcun timore di smentita tra le produzioni meglio riuscite del citato genere mafioso. Lo sceneggiato venne girato completamente in esterni, cosa non ancora del tutto abituale per questo tipo di produzioni televisive, e Landi fa un utilizzo del mezzo di ripresa in linea con i criteri cinematografici –le zoomate, i carrelli all’indietro, i movimenti di macchina– che impreziosiscono il linguaggio tecnico dell’opera. Le ambizioni del regista siciliano sono dichiarate anche da evidenti riferimenti al cinema «di genere» italiano, ad esempio con lo spazio riservato agli inseguimenti in auto, un topos dei poliziotteschi, e l’attenzione prestata alle vetture coinvolte, in questo caso spicca la Maserati Indy del protagonista, è la conferma che non si tratta di scene inserite per mere esigenze narrative. La bottiglia di J&B whisky, che compare distintamente in un paio di occasioni, è il sigillo di garanzia sull’operazione di affiliamento di Nessuno deve sapere al cinema «di genere» italiano, essendone il liquore dalla bottiglia verde con etichetta gialla e rossa il riconosciuto marchio di fabbrica. Questi rimandi non sono sterili virtuosismi cinefili ma la dichiarazione d’intenti di Landi, che stempera efficacemente il clima narrativo di Nessuno deve sapere che, diversamente, rischierebbe di essere troppo cupo e pessimista. C’è la necessità, sentita da parte dell’autore, di essere credibile e fedele alla realtà storica, ma c’è anche la volontà di lasciare uno sguardo ottimista, di non annegare tutto quanto in un fatalismo senza speranza. Questa difficoltà nel ricercare un punto di equilibrio tra istanze diverse, e forse anche contrastanti, si evidenzia anche nel linguaggio parlato nello sceneggiato: una stretta aderenza al dialetto locale avrebbe infatti reso l’opera intelleggibile dal pubblico nazionale. La presenza nel racconto di numerosi protagonisti provenienti dal nord Italia, permette di utilizzare sostanzialmente sempre l’italiano come lingua «ufficiale» del film, con le varie cadenze e inflessioni dei vari personaggi di turno. L’argomento è, infatti, la costruzione di un’infrastruttura autostradale in Calabria ad opera della Mondial-Strade, una società di Milano, che subappalta quindi i lavori ad imprese locali. A questo punto subentra il tema legato alla criminalità organizzata, con cosche mafiose che si contendono la concessione dei lavori, facendo ricorso al tritolo e causando la morte di un guardiano di un cantiere. Pietro Rusconi (Roger Fritz), il giovane ingegnere arrivato dal capoluogo lombardo per dirigere i lavori, ne rimane sconvolto ma non intende assolutamente accettare queste intimidazioni; anzi, vuole andare a fondo della questione, e scoprire chi sono mandanti ed esecutori del crimine, a costo di dare le dimissioni dal suo incarico in azienda. 

Il ragionier Meneghini (Corrado Olmi), che gestisce il cantiere, cerca di farlo desistere, in luogo ad un maggior pragmatismo d’interessi; suo zio Giovanni (Claudio Gora), titolare dell’azienda, da Milano si precipita in loco per schiarire le idee al nipote. Intanto i mafiosi locali si disputano l’appalto e la supremazia territoriale: don Nico Crifodo (Renato Baldini), boss mafioso in carica e titolare della Sud Strade, scoraggia a suon di esplosivo i fratelli Cosenza (Gianni Ottaviani e Giuseppe Scarcella), concorrenti venuti da fuori, da Castrovillari. Ma Crifodo ha le ore contate: don Sante Badalamessa (il grande Salvo Randone), il vecchio padrino tradito a suo tempo proprio da Crifodo, è tornato per riprendere il suo ruolo e saldargli il conto. In controluce a queste vicende criminose, la trama prevede una robusta ma sobria trama sentimentale: Maria (Stefania Casini), sensibile ma immatura ragazza calabrese, si invaghisce di Pietro, il giovane venuto dal nord, scatenando la gelosia di Mario Cuturi (Antonello Campodifiori), amico di infanzia e ora geometra del cantiere. In seguito arriva sulla scena anche Daria (una spumeggiante Gaia Germani), fidanzata di Pietro oltre che superficiale esponente della borghesia milanese capace tuttavia di alcuni tra i momenti più acuti e interessanti dell’intero film. Sono infatti i dialoghi i passaggi che rendono davvero profondo l’approccio di Nessuno deve sapere al tema trattato: sul momento, dopo il primo episodio, l’attacco alla società calabrese, così legata ad un sistema dove la violenza e la prevaricazione siano la norma, sembra durissimo. Ma nel corso del racconto, il quadro si delinea con maggiore dettaglio. Nella terza puntata, ad esempio, c’è un bel dialogo tra Pietro e il sindaco Cesare Cuomo (Adolfo Lastretti) che chiarisce meglio la situazione: “Ma l’avete guardato bene, questo paese”, attacca la sua arringa il primo cittadino, “industrie qui non ce ne stanno, lavorare la terra ormai non basta più e si fatica per niente, per un pezzo di pane, e non potete neanche immaginare quanto ci costa. E poi domani? La gente ormai non ce la fa, e per questo continua a scappare. Ma questi sono mali antichi. Adesso insieme ai mali c’è la delusione che ci avete dato voi”. “Noi?” chiede stupefatto l’ingegner Rusconi. “Certo”, continua il sindaco, “il Nord. L’industria. La civiltà. Ci s’era allargato il cuore alla speranza. Arriva la strada, arriva lavoro. E invece il lavoro serve a rinforzare, a dare altro potere a chi ci succhia il sangue. E noi che dobbiamo pensare? Quello che penso io quando ho visto come agisce la vostra impresa. Voi li aiutate. Con voi la parte marcia mette radici nel cemento, nell’asfalto”. Poi la discussione si sposta sulla differenza dei cittadini di fronte alla legge. Ancora Cuomo alle prese con lo stupore del giovane lombardo: “Perché lei non la sa differenza che c’è tra uno del nord e uno di qui?” Pronta la replica dell’ingegnere: “No. Di fronte alla Legge non c’è nessuna differenza”. “Lo dite voi” controreplica il sindaco, “Per essere considerato buon cittadino dello stato italiano, uno del nord deve rispettare la Legge e farla rispettare. Deve pagare le tasse eccetera eccetera. Ma per considerare buon cittadino uno del sud si richiede, oltre a tutto questo, che rischi la vita, sua e dei suoi famigliari, i suoi beni e tutto quello che ha”. 

In effetti, la Mondial-Strade, per eseguire i lavori aveva indetto formalmente un appalto, del quale si erano interessanti anche i Cosenza, arrivando da fuori paese; i quali, prima di partecipare, avevano chiesto all’ingegnere se fosse il caso. Pietro Rusconi, in totale buona fede, li aveva invitati a fare la propria offerta che sarebbe stata presa in esame con serietà e rispetto. Meneghini prima, suo zio poi, gli avevano imposto si scegliere l’impresa del paese, la Sud Strade, senza creare problemi. Per chiarire: il tritolo sotto la macchina dei Cosenza era uno di quei problemi. E anche la successiva esplosione nel cantiere della Sud Strade, quella che aveva causato la morte del guardiano, era un altro di quei problemi. Oltre ad essere da ascrivere alla logica delle faide tra le cosche e, in questo senso, accusando apparentemente i Cosenza. In realtà, a quel punto, stava rientrando in gioco Badalamessa che aveva un vecchio conto da regolare con Crifodo. Le parole del sindaco erano sacrosante, questo è chiaro; ma, in un certo senso, anche le spiegazioni dello zio Giovanni, più che le vaghe giustificazioni di Meneghini, non erano del tutto campate in aria. Il problema della Mafia, o della Ndrangheta, come viene definita esplicitamente da Maria nel primo episodio, deve essere risolto principalmente dal basso, dalla popolazione civile. Naturalmente le istituzioni e le influenze dall’esterno, come le imprese del nord, devono collaborare in senso onesto e rispettoso delle regole, ma occorre un cambio di mentalità costruttivo da parte dell’individuo che per primo subisce le conseguenze di questa situazione. Difficile stabilire se questa conclusione sia giusta o quantomeno realizzabile: è, peraltro, quella che emerge dal finale di Nessuno deve sapere, opera che segue la regia di Mario Landi, siciliano di Sicilia, terra di Mafia anch’essa come la Calabria. Infatti, Pietro Rusconi, l’emancipato uomo del nord, che arriva con la Maserati e cerca di risolvere le questioni di petto, ponendosi addirittura sopra la Legge, si veda il rapimento del piccolo Pietruccio, viene spedito a New York. Un luogo evidentemente a lui più consono e dove potrà far valere le sue qualità in un contesto adeguato. I problemi di Nessuno deve sapere, simbolicamente quelli della Calabria, deve risolverli altrettanto simbolicamente il geometra Mario Cuturi, uno del posto. Emancipato e istruito, ma del posto. A cui spetta, a parziale ricompensa per la bella gatta da pelare che gli autori rifilano, la prevedibile storia sentimentale con Maria, sua storica fidanzata, che ormai ha dimenticato Pietro. Questo finale, in qualche modo ottimista, compensa adeguatamente l’atmosfera cupa che lo sceneggiato assume spesso, soprattutto nel suo prendere il periodico congedo di puntata quando Domenico Modugno intona la struggente ma tremendamente evocativa Amara terra mia. Ma tutto il commento sonoro è notevole, opera di Ennio Morricone, del resto. Altrettanto efficaci sono le immagini, per quanto spoglie e minimaliste, che mostrano alcuni viadotti autostradali in cemento armato e che, accompagnate dal malinconico motivo della sigla, introducono ogni episodio. Nessuno deve sapere: un capolavoro che si intuisce sin dal primo fotogramma.       




Stefania Casini 


Gaia Germani 




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