44_FAHRENHEIT 451 . Regno Unito 1966; Regia di François Truffaut

La prima neve d’inverno imbianca una brughiera
inglese, accanto ad un fiume che scorre pigramente. Alcuni individui
passeggiano apparentemente non troppo preoccupati dal freddo, recitando versi
in differenti lingue; l’unico a noi comprensibile dice:
ho intenzione di narrare un racconto pieno di orrore. Lo sopprimerei
volentieri se non fosse una cronaca. Sappiamo, visto che siamo al finale
del film, che a parlare è Montag (Oskar Werner), che sta leggendo
I racconti del mistero e dell’immaginazione di Edgar Allan Poe. E’
quindi questa la chiave di lettura di
Fahrenheit 451 di François Truffaut, tratto dall’omonimo romanzo di Ray
Bradbury? E’ quindi una storia realistica e attuale, una cronaca appunto, ma piena
di orrore, quella che l’autore francese ha necessità di raccontare? Il film è
una storia di fantascienza distopica, apparentemente ambientata in un futuro
non troppo lontano; è evidente che anche nella matrice letteraria dell’opera vi
sia già insita una metafora su quanto accadeva nella società americana del
dopoguerra. Truffaut la visualizza nella sua trasposizione con una mirata
strategia: ipotizza alcuni elementi futuribili, come lo schermo gigante o i
programmi televisivi che coinvolgano, non si sa come, direttamente gli
spettatori; ma inserisce anche alcuni dettagli retrò, dagli apparecchi
telefonici al veicolo dei vigili del fuoco, mischiandoli ad altri di gusto
strettamente contemporaneo, come la casa di Montag, il protagonista dell’opera.
Il risultato è un
pastiche poco omogeneo che non
lascia intendere se quello che si veda sia un futuro possibile o magari un presente
possibile; a darci la definitiva idea che stiamo osservando un presente senza
passato, e quindi senza futuro, sarà poi il resto dello sviluppo del
lungometraggio. Nella società della storia raccontata, è vietato leggere e
possedere libri; quando vengono trovati, i testi, vengono bruciati da una unità
operativa dedicata appositamente a questo scopo, ovvero i
Vigili del Fuoco. La
motivazione di questa messa all’indice della letteratura, è, per farla breve,
legata alla volontà di controllo sulla popolazione da parte dell’elite
dirigente.
La letteratura, attraverso le opere degli scrittori, frutto delle loro esperienze, custodisce il nostro passato; eliminata la quale,
si potrà sostituire questo spazio vuoto con la contemporaneità del flusso delle
immagini televisive. La simultaneità della televisione, enfatizzata
efficacemente dalla scena in cui Linda (Julie Christie) guarda un programma da
casa partecipandovi, è apparentemente solo un dettaglio, ma invece è cruciale.
La donna si compiace pensando a cosa diranno le amiche avendola vista in
diretta allo show televisivo; non è solo sua, se ne deduce, la partecipazione
all’evento mediatico, ma collettiva. In questo senso c’è un riferimento anche
agli sport che, proprio per la loro natura, tendono a uniformare il momento di
fruizione; a differenza dei libri, che possono invece essere letti con tempi
diversi e in tempi
diversi.
E allora diventa chiaro che la lotta alla
letteratura sia una lotta alla
diversità, in luogo di un tentativo di
uniformare invece gli individui per poterli meglio controllare. In un mondo
così uniformato si perderà così la figura dell’
altro: non a caso quando Montag incontra un’altra donna, Clarisse,
questa è uguale alla moglie (e infatti è interpretata sempre dalla Christie):
in un mondo di uguali, non si possono trovare persone diverse. L’esaltazione
narcisistica derivante si nota poi negli atteggiamenti intimi dei vari
personaggi, spesso intenti a massaggiarsi ora il viso ora il corpo. Insomma, il
film è ricco di significati e rimandi alla nostra società, e vuoi per l’ottima
base del soggetto, vuoi per la passione, l’inventiva, il talento di Truffaut,
ci sono tantissimi aspetti interessanti.

Tra le trovate geniali e originali, c’è anche
quella dei titoli di testa, non scritti ma affidati alla voce di
un’annunciatrice televisiva; e si potrebbe continuare. Però, anche parlandone
per ore,
Fahrenheit 451 non riuscirà
a sovvertire la sensazione di film non del tutto riuscito che rimane dopo la
visione. I
Pinewood Studios non
valgono Hollywood, questo è certo, e non serve il film di Truffaut per capirlo;
il punto è che
Fahrenheit 451 porta
con se alcune contraddizioni che non sembrano essere state risolte. Un tema
come quello del libro di Bradbury, necessitava forse dei mezzi hollywoodiani;
oppure si poteva farne un film d’autore, come in effetti prova a fare il
regista francese.
Ma la produzione inglese sembra invece aver alzato
la posta, senza, di contro, esserne stata poi all’altezza; e forse al parziale
fallimento dell’obiettivo pieno ha contribuito anche l’inesperienza di Truffaut: prima
grossa produzione, primo film straniero, prima volta con attori famosi, primo
film a colori. Ma con questo non si deve assolutamente bocciare il
lungometraggio: ci sono alcune idee addirittura geniali, alcuni passaggi di grande
vigore, con influenze
hitchcockiane
che rivelano tutta l’ammirazione di Truffaut verso il maestro inglese e, nel
complesso, un’impostazione dell'opera interessante. Avesse funzionato tutto, sarebbe stato
un capolavoro.
Julie Christie