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giovedì 13 giugno 2024

PORCA VACCA

1497_PORCA VACCA . Italia, 1982; Regia di Pasquale Festa Campanile.

Un elemento narrativo forte e funzionale com’è la Grande Guerra per l’Italia, con gli innumerevoli rimandi che propone, sembra l’ideale per mettere in luce una situazione già presente nel nostro cinema ma forse in genere meno evidente. Perché la commedia all’italiana negli anni 80 era ormai sostanzialmente già naufragata, per il vizio tutto italiano di lavorare sempre al risparmio, anche in termini artistici e di ingegno narrativo. Ma in Porca vacca di Pasquale Festa Campanile la cosa risulta ancora più lampante. Cioè, anche senza scomodare La Grande Guerra di Mario Monicelli del 1959 (anche se il film di Campanile ricorda forse più Uomini Contro del 1970, di Francesco Rosi) è evidente che Porca vacca riesca a cavarsela per il classico rotto della cuffia. Per carità, Renato Pozzetto (nel film è Primo Baffo) è divertente e la sua deriva surreale gli scusa abbondantemente le défaillance interpretative mentre niente da obiettare su Aldo Maccione (Tomo Secondo), ottima spalla. Già da un’attrice come Laura Antonelli (Marianna), visto il suo status di star del nostrano cinema, ci si dovrebbe aspettare qualcosa in più, ma certo la sua partecipazione non è insufficiente, questo no. Però, un testo che intavola una buona trama melodrammatica (il triangolo Primo Baffo-Marianna-Tomo Secondo) e che verte su una sfilza di tradimenti, in primis della donna, ma che si conclude con uno straordinario sacrificio eroico di questa, legittimava altre aspettative. Non un filmetto per farsi quattro risate e sbirciare le grazie dell’Antonelli, insomma. Campanile è regista esperto, è stato valente sceneggiatore e, infatti, sia come messa in scena, sia come dialoghi (spassosi alcuni scambi di battute) e perfino come intreccio, Porca vacca è un film solido. Eppure qualcosa manca, anche se non è facile scorgere questa lacuna nelle capacità di questi artisti, interpreti, regista e collaboratori. Sembra piuttosto una libera volontà a non puntare in alto; a non ritenersi credibili nel mettere in scena una grande storia, come un racconto sulla Grande Guerra imporrebbe. Si può naturalmente fare un film come quelli della saga del Pierino di Alvaro Vitali e ambientarlo nel fronte italiano della Prima Guerra Mondiale, è ovvio, ma non è cosa troppo saggia, da un punto di vista narrativo. Perché nel 1982 l’eco emotivo di quel conflitto era ben lungi dall’essere superato sulle nostre sponde e un’operazione del genere lasciava (e lascia) un senso di inadeguatezza. Non è una questione di umorismo, perché si può e si deve (se si è in grado) ridere e scherzare su tutto, su qualsiasi argomento; ma certi argomenti richiedono una cura realizzativa adeguata. 

Non si fa un film sciatto sulla Grande Guerra. D’accordo, Porca vacca non è un film sciatto, ma qualche scivolone di troppo e una mancanza generale di mordente si fanno sentire, quasi che l’operazione sia stata condotta con un certo malcelato disimpegno, come d’abitudine per il nostro cinema. E la cosa che fa più male, nel vedere il cinema italiano volare sempre così basso, è che gli autori erano consapevoli della situazione, lo sapevano. Lo sapeva, Campanile, come fare un film come si deve, adeguato: è evidente la cosa, ad esempio quando, in uno dei tanti begli intermezzi musicali, fa cantare a Pozzetto Addio Padre e Madre addio proprio dopo la demenziale messa in scena di Ciondolo d’oro, quest’ultima davvero da scompisciarsi. Il contrasto tra il tenore delle due canzoni d’epoca è messo bene in evidenza da Pozzetto, davvero bravo, e dalla platea dei malandati soldati dell’ospedale di guerra. Dopo il brano in chiave umoristica, la voce dell’interprete lombardo in Addio Padre e Madre addio si fa commovente, ben assecondata dalle pennellate della regia di Campanile (l’ufficiale che si alza subito e se ne va), in una scena da pelle d’oca che può rivaleggiare con quella finale di Orizzonti di Gloria di Stanley Kubrick, nientemeno. E’ questo l’amaro in bocca che rimane, a fronte di tante di queste italiche produzioni degli anni ottanta: potevano essere capolavori ma si nascosero dentro filmetti usa e getta che cercavano il favore del pubblico mostrando qualche nudità gratuita. Come se il cinema fosse unicamente il pretesto per vedere un paio di tette quando per quello, in quegli anni, c’era già la maledetta televisione del tempo, vero flagello culturale di cui paghiamo oggi amaramente il pegno a livello sociale. E quel cinema, il nostro cinema popolare, anziché ergersi a baluardo contro l’imbarbarimento, lo assecondò. E questa è la sua colpa più grave.  





Laura Antonelli 




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2 commenti:

  1. Già dal titolo comunque è chiaro che non si voglia puntare troppo in alto... Secondo te quali sono i motivi sociologici che hanno favorito l' affermarsi della televisione?

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  2. Ah beh, non penso di essere qualificato per dare simili risposte. Dal mio punto di vista, l'affermarsi della televisione, in se, era inevitabile in quanto è un media potentissimo e quindi che avesse successo era legittimo e logico. Credo sia anche naturale che, essendo uno strumento di tale diffusione, per via del crescente benessere, il livello di qualità tendesse al ribasso. Cioè, rivolgendosi ad una platea più vasta, i programmatori abbiano cercato di intercettare il più vasto pubblico possibile. Del resto la stessa televisione, ad esempio con la possibilità dello zapping, offre la possibilità di fruire tanti piccoli assaggi, mai approfonditi ma, in compenso, contemporanei con le altre persone. La tv, per sua natura, riporta la popolazione ad uno stadio tribale, nel senso che tutti quanti (più o meno) si guarda, magari anche solo uno spezzone, la stessa cosa, la partita, il Grande fratello, le iene, ecc. Il libro o il cinema, al contrario, pur essendo media di massa, si consumano in tempi diversi e, di conseguenza, le persone si frammentano all'interno della stessa comunità. La Tv ha riportato una forma di condivisione simultanea dell'evento, simile alle società di tipo tribale. I social, con la formula del "condivi" hanno esasperato il concetto. Detto quindi che una certa trasformazione della società era inevitabile, in Italia hanno decisamente pisciato fuori dal vaso, scusa il francesismo, con un'offerta, dagli anni 80 in poi, che ha distrutto ogni possibilità sociale.

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