489_SEDUZIONE MORTALE (Angel Face); Stati Uniti, 1953. Regia di Otto Preminger.
Il titolo originale di Seduzione
mortale è Angel face: una
definizione perfetta per incanalare subito lo spettatore nella giusta direzione.
La protagonista (Diana, una splendida Jean Simmons) è bella come un angelo; ma
il paragone che ne esalta la bellezza sembra quasi sottintendere che non sia
corrisposto dal punto di vista della bontà, che è la caratteristica più intima
e non estetica della creatura celeste citata ad esempio. Questo aspetto rimane
perciò un po’ sospeso: Diana ha il viso di un angelo; ma dicendo che è bella
come un angelo, si può forse insinuare il pensiero che non lo sia, un vero
angelo. Seduzione mortale è un noir
classico, per altro un po’ tardo, nel quale il regista Otto Preminger dà
sfoggio della sua proverbiale capacità di messa in scena. Il regista, in anni
successivi, tenderà a sottovalutare il valore di questo suo film, dove si era
trovato coinvolto quasi controvoglia, giudicando addirittura orrendo il soggetto di partenza, Murder story. Si è detto anche che il
copione venisse scritto giorno per giorno, ma questo risulta difficile da
credere, visto cha la calibrazione complessiva è notevole e alcuni passaggi
narrativi, come l’attitudine a far domande di Diana, viene rivelata in
principio e torna poi essenziale nel risolvere l’inghippo giallo della storia.
In realtà Seduzione mortale è un film
notevole, che sembra consumarsi velocemente quando invece è solo al giro di boa
e manca ancora la fase più interessante. Nella prima metà assistiamo ad un
classico noir: il protagonista, Frank
Jessup (Robert Mitchum, eccezionale come al solito), è un tipo normale, guida
le ambulanze, una volta era pilota di auto da corsa e vorrebbe metter su
un’officina. Ha una fidanzata, Mary (Mona Freeman), e pochi grilli per la
testa.
Almeno fino a che non incontra Diana che, da brava femme fatale, lo corrompe
coinvolgendolo, suo malgrado e in modo inconsapevole, in un intrigo ai danni
della matrigna di lei. Che finisce con l’auto nella scarpata, come previsto dal
piano della giovane ma, e qui c’è l’inghippo, insieme al marito. Infatti, il
padre di Diana, amatissimo dalla figlia, non era affatto il bersaglio della
giovane dark lady, che esce da questo
passaggio distrutta dal dolore. Siamo poco oltre metà film e, di fatto, c’è già
stato uno sviluppo tipico da manuale del
noir; con le variazioni sul tema che il protagonista potrebbe essersi
levato di mezzo in tempo e che la femme
fatale sembra rinsavita dopo la
tragedia. Quest’ultimo non è un passaggio secondario perché è proprio la
volontà di pagare da sola e di persona il debito con la giustizia che spinge
Diana ad assecondare la strategia del suo avvocato. La giovane vuole confessare la propria colpevolezza e l’estraneità di Frank, ma il legale le fa notare che nessuna giuria crederebbe che lei possa aver sabotato l’auto da sola, senza l’aiuto dell’autista di casa, Frank, appunto, che lei stessa aveva fatto assumere e che era un provetto meccanico. La vicenda legale e le sedute in tribunale, che Preminger dimostra già di saper maneggiare con autorevolezza, danno corpo a questa seconda parte del lungometraggio.
Frank e Diana arrivano
addirittura a sposarsi, pur di portare avanti le manovre tattiche della difesa che
saranno peraltro vincenti nel processo ma, da parte dell’uomo, non c’è più
alcuna apertura sentimentale verso la ragazza. Che, diversamente, ora ne è
sinceramente innamorata come, del resto, sembra assolutamente pentita del folle
gesto compiuto. Tanto che arriva, una volta assolta, a confessare, ma il suo
legale riesce a farla desistere visto che non è prevista la possibilità di
ripetere il processo. Intanto, Frank, che non vuole saperne della ragazza,
prova a tornare dalla fidanzata Mary; se il suo rifiuto verso Diana sembra
piuttosto condivisibile, la faccia tosta con cui si ripresenta a casa della
vecchia fiamma lascia abbastanza perplessi. E’ forse in questo passaggio che
Preminger marca il distinguo tra i suoi due protagonisti: Diana è stata folle,
e lo sarà ancora nell’ultima imprevedibile scena, ma è mossa da sincera passione,
negativa o positiva che sia. Frank, qui, non è tanto l’uomo qualunque che si
erge ad eroe in circostanze eccezionali (come da protocollo del tipico eroe
americano) quanto un tizio che si barcamena alla meno peggio, cercando di
cogliere al volo le occasioni.
Ma l’ultimo, di volo, gli sarà fatale.
Jean Simmons
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