508_IL CORSARO NERO ; Italia, 1976. Regia di Sergio Sollima.
Kabir Bedi, Carole Andrè, Emilio Salgari, i fratelli De
Angelis e naturalmente Sergio Sollima: questi sono gli artefici che accomunano Sandokan, lo sceneggiato televisivo, e Il Corsaro Nero, il film, usciti
entrambi nel 1976. Praticamente lo stesso team creativo, dalla coppia di
protagonisti, all’autore del soggetto, dai compositori delle musiche
(fondamentali) al regista, oltre naturalmente al tema piratesco. E assai simile
è il risultato: praticamente un capolavoro Sandokan,
sebbene in genere la critica lo abbia sempre derubricato a semplice buon prodotto
di intrattenimento, e eccellente anche Il
Corsaro Nero, anch’esso abitualmente assai poco stimato. Invece Il Corsaro Nero è un film d’avventura
notevole, molto divertente, appassionante, ma anche vigoroso e tragico. Certo,
è innegabile che ci sia qualche passaggio a vuoto, ma del resto i film di
pirati sono molto difficili da gestire; nello specifico furono profusi ingenti
investimenti, molti dei quali andati perduti con l’affondamento di una nave
durante le riprese. Oltre alle evidenti difficoltà di realizzazione, (per
capirci: si faccia un paragone con un film western, dove si piazza il set nella prateria invece che in mezzo al mare)
anche il periodo storico non aiuta moltissimo ad appassionare il pubblico
giovanile, che è il più appetibile per questo genere di pellicole. Un conto è
vedere dei tizi vestiti casual, come
in effetti sono i cowboy dei western, maneggiare armi a ripetizione, un altro è
vedere i damerini vestiti a festa del XVII secolo armeggiare con le loro esili
spade o al massimo con gli archibugi.
In effetti a rompere un po’ la tipica
diffidenza del pubblico italiano verso il genere
fu proprio il Sandokan televisivo, di
ambientazione più tarda e con i pirati malesi che, con le loro vesti
pittoresche e un po’ trasandate, erano però assimilabili alle tendenze hippy
dei seventies, e quindi di gusto
contemporaneo. Ma ora, proprio grazie a Sandokan,
e soprattutto a Kabir Bedi, era possibile azzardare anche una trasposizione di
un altro eroe salgariano, Il Corsaro Nero, appunto. L’interessante
personaggio è protagonista di un ciclo di racconti, i primi due dei quali sono
alla base del soggetto utilizzato da Sollima per il suo film: Il Corsaro Nero e La Regina dei Caraibi. Kabir Bedi se è possibile
è ancora più in forma che in Sandokan:
domina la scena, trasuda carisma da ogni poro della pelle, ed è perfetto nel
ruolo che, va specificato, ha comunque delle differenze con la Tigre della Malesia. Leale,
democratico, istruito, è però anche assai cupo, spietato, con un senso
dell’onore eccessivamente estremo: il carattere del Corsaro Nero lascia poi
perfino interdetti quando condanna a morte la donna che ha scoperto di amare.
Passaggio davvero duro da digerire, questo, ma indispensabile nel tratteggiare
il rigore del protagonista e della politica occhio
per occhio, dente per dente, assai in voga al tempo, e certamente diffusa
anche nei tribolatissimi anni 70. Perché Sollima, non smette affatto la veste
di educatore cinematografico, che si
era preso la briga di rendere esplicita in Sandokan;
in effetti, moltissimi spaghetti-western
avevano questa vocazione, più o meno celata dietro i dialoghi scurrili o le
battute scatologiche.
Già la trilogia dei
western politici dello stesso Sollima aveva un approccio impegnato al genere, ma era anche
diffuso, si pensi ad esempio ai film di Ringo di Duccio Tessari, un
atteggiamento pedagogico del filone,
forse che alcuni registi tenessero in conto che molte delle sale in cui
venivano proiettati gli spaghetti-western
erano quelle degli oratori. Con Sandokan,
Sollima aveva fatto tesoro della lezione, riuscendo a mettere in equilibrio un
racconto duro e vigoroso, senza scadere nell’eccessivo o nelle efferatezze
gratuite; il tutto in relazione alle stringenti esigenze televisive. Con Il Corsaro Nero, prodotto puramente
cinematografico, Sollima ha certamente meno limitazioni, ma opta per un
racconto comunque mondato dagli eccessi efferati o volgari (c’è solo qualche
allusione sul piano erotico), senza rinunciare al tono tragico ed estremo del
racconto. Anche troppo, in verità: la povera Honorata (Carole André, in gran
forma) è lasciata dal Corsaro Nero e dai suoi, con una barca in mezzo al nulla
del mare, incontro a morte certa, unicamente per la colpa di essere figlia del
nemico, Van Gould (Mel Ferrer). Qui è evidente la critica a questo
atteggiamento vendicativo dell’eroe, del resto già ammesso dal Corsaro Nero
stesso attraverso il pianto sofferto; ma sarà la vena spirituale (un po’ naif, va
detto) dell’opera a rendere manifesta la condanna all’insensata politica del
taglione e del farsi giustizia da sé. Nel momento cruciale, quando il conte di
Ventimiglia (alias il Corsaro Nero) ha finalmente a tiro di spada l’odiato Van
Gould, sarà l’intervento spirituale
dei fratelli, ovvero il Corsaro Verde e il Corsaro Rosso, precedentemente
uccisi a tradimento dal nemico, a fermare la mano dell’eroe.
Anche se poi Yara,
la india-medium legata dai drammatici lutti famigliari al Corsaro Nero,
chiarirà all’eroe che, in realtà, il suo cuore era già stato guarito dall’odio
grazie all’amore di e per Honorata. Odio e amore sono intessuti in una vicenda
avventurosa che, come da coordinate del genere,
concede ampio spazio agli aspetti sentimentali; qui la vicenda amorosa è molto
intensa, come i baci tra il Corsaro Nero e Honorata, anche perché, in termini
di durata temporale, è compressa nel centro del racconto. In ogni caso è un
film di pirati, l’avventura più pura reclama il suo spazio e Sollima glielo
concede: arrembaggi, attacchi all’arma bianca, duelli, fughe, il racconto è
vivace e sostenuto.
Ottima, come al solito in Sollima, la deriva ironica quando
non direttamente comica, con i personaggi come Morgan (Angelo Infanti), leggendario
e famosissimo pirata di cui, almeno qui, nessuno sembra ricordare il nome,
oppure con i refrain testa o croce
tra i fratelli del protagonista. All’altezza anche le comparse: Van Stiller
(Franco Fantasia), Carmaux (Sal Borgese), l’Olonese (Edoardo Faieta) e anche la
marchesa di Bermejo (Dagmar Lassander), che aggiunge un po’ di pepe rosa alla vicenda. Se in molti
aspetti l’opera ricalca la formula del precedente successo televisivo, avrebbe
avuto poco senso fare diversamente con le musiche. Chiamati quindi a trovare
una melodia all’altezza della situazione, con lo scomodo termine di paragone
delle fortunatissima sigla di Sandokan,
i fratelli De Angelis non tradiscono le attese. Hombres del mar è un pezzo fortemente evocativo, in questo senso
persino migliore della canzone dedicata alla Tigre della Malesia, e il suo tema
sorregge benissimo la colonna sonora, soprattutto grazie a José (Tony Renis) che accompagna le gesta
dei nostri eroi suonando una sorta di flauto; bella anche la traccia dedicata a
Yara. Il finale è forse eccessivamente sdolcinato, con i nostri che scampano la
pelle miracolosamente, finendo su un’isola paradisiaca dove trovano ad
aspettarli addirittura Honorata, salvata anch’essa da un generoso dio del mare.
Troppa grazia? Beh, Sollima aveva già fatto morire Marianna, e la fine
apparentemente riservata a Honorata non era davvero accettabile. Il lieto fine
ce lo doveva, altroché.
Carole André
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