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mercoledì 22 gennaio 2020

IL CORSARO NERO

508_IL CORSARO NERO ; Italia, 1976. Regia di Sergio Sollima.

Kabir Bedi, Carole Andrè, Emilio Salgari, i fratelli De Angelis e naturalmente Sergio Sollima: questi sono gli artefici che accomunano Sandokan, lo sceneggiato televisivo, e Il Corsaro Nero, il film, usciti entrambi nel 1976. Praticamente lo stesso team creativo, dalla coppia di protagonisti, all’autore del soggetto, dai compositori delle musiche (fondamentali) al regista, oltre naturalmente al tema piratesco. E assai simile è il risultato: praticamente un capolavoro Sandokan, sebbene in genere la critica lo abbia sempre derubricato a semplice buon prodotto di intrattenimento, e eccellente anche Il Corsaro Nero, anch’esso abitualmente assai poco stimato. Invece Il Corsaro Nero è un film d’avventura notevole, molto divertente, appassionante, ma anche vigoroso e tragico. Certo, è innegabile che ci sia qualche passaggio a vuoto, ma del resto i film di pirati sono molto difficili da gestire; nello specifico furono profusi ingenti investimenti, molti dei quali andati perduti con l’affondamento di una nave durante le riprese. Oltre alle evidenti difficoltà di realizzazione, (per capirci: si faccia un paragone con un film western, dove si piazza il set  nella prateria invece che in mezzo al mare) anche il periodo storico non aiuta moltissimo ad appassionare il pubblico giovanile, che è il più appetibile per questo genere di pellicole. Un conto è vedere dei tizi vestiti casual, come in effetti sono i cowboy dei western, maneggiare armi a ripetizione, un altro è vedere i damerini vestiti a festa del XVII secolo armeggiare con le loro esili spade o al massimo con gli archibugi. 

In effetti a rompere un po’ la tipica diffidenza del pubblico italiano verso il genere fu proprio il Sandokan televisivo, di ambientazione più tarda e con i pirati malesi che, con le loro vesti pittoresche e un po’ trasandate, erano però assimilabili alle tendenze hippy dei seventies, e quindi di gusto contemporaneo. Ma ora, proprio grazie a Sandokan, e soprattutto a Kabir Bedi, era possibile azzardare anche una trasposizione di un altro eroe salgariano, Il Corsaro Nero, appunto. L’interessante personaggio è protagonista di un ciclo di racconti, i primi due dei quali sono alla base del soggetto utilizzato da Sollima per il suo film: Il Corsaro Nero e La Regina dei Caraibi. Kabir Bedi se è possibile è ancora più in forma che in Sandokan: domina la scena, trasuda carisma da ogni poro della pelle, ed è perfetto nel ruolo che, va specificato, ha comunque delle differenze con la Tigre della Malesia. Leale, democratico, istruito, è però anche assai cupo, spietato, con un senso dell’onore eccessivamente estremo: il carattere del Corsaro Nero lascia poi perfino interdetti quando condanna a morte la donna che ha scoperto di amare. Passaggio davvero duro da digerire, questo, ma indispensabile nel tratteggiare il rigore del protagonista e della politica occhio per occhio, dente per dente, assai in voga al tempo, e certamente diffusa anche nei tribolatissimi anni 70. Perché Sollima, non smette affatto la veste di educatore cinematografico, che si era preso la briga di rendere esplicita in Sandokan; in effetti, moltissimi spaghetti-western avevano questa vocazione, più o meno celata dietro i dialoghi scurrili o le battute scatologiche. 

Già la trilogia dei western politici dello stesso Sollima aveva un approccio impegnato al genere, ma era anche diffuso, si pensi ad esempio ai film di Ringo di Duccio Tessari, un atteggiamento pedagogico del filone, forse che alcuni registi tenessero in conto che molte delle sale in cui venivano proiettati gli spaghetti-western erano quelle degli oratori. Con Sandokan, Sollima aveva fatto tesoro della lezione, riuscendo a mettere in equilibrio un racconto duro e vigoroso, senza scadere nell’eccessivo o nelle efferatezze gratuite; il tutto in relazione alle stringenti esigenze televisive. Con Il Corsaro Nero, prodotto puramente cinematografico, Sollima ha certamente meno limitazioni, ma opta per un racconto comunque mondato dagli eccessi efferati o volgari (c’è solo qualche allusione sul piano erotico), senza rinunciare al tono tragico ed estremo del racconto. Anche troppo, in verità: la povera Honorata (Carole André, in gran forma) è lasciata dal Corsaro Nero e dai suoi, con una barca in mezzo al nulla del mare, incontro a morte certa, unicamente per la colpa di essere figlia del nemico, Van Gould (Mel Ferrer). Qui è evidente la critica a questo atteggiamento vendicativo dell’eroe, del resto già ammesso dal Corsaro Nero stesso attraverso il pianto sofferto; ma sarà la vena spirituale (un po’ naif, va detto) dell’opera a rendere manifesta la condanna all’insensata politica del taglione e del farsi giustizia da sé. Nel momento cruciale, quando il conte di Ventimiglia (alias il Corsaro Nero) ha finalmente a tiro di spada l’odiato Van Gould, sarà l’intervento spirituale dei fratelli, ovvero il Corsaro Verde e il Corsaro Rosso, precedentemente uccisi a tradimento dal nemico, a fermare la mano dell’eroe. 


Anche se poi Yara, la india-medium legata dai drammatici lutti famigliari al Corsaro Nero, chiarirà all’eroe che, in realtà, il suo cuore era già stato guarito dall’odio grazie all’amore di e per Honorata. Odio e amore sono intessuti in una vicenda avventurosa che, come da coordinate del genere, concede ampio spazio agli aspetti sentimentali; qui la vicenda amorosa è molto intensa, come i baci tra il Corsaro Nero e Honorata, anche perché, in termini di durata temporale, è compressa nel centro del racconto. In ogni caso è un film di pirati, l’avventura più pura reclama il suo spazio e Sollima glielo concede: arrembaggi, attacchi all’arma bianca, duelli, fughe, il racconto è vivace e sostenuto. 

Ottima, come al solito in Sollima, la deriva ironica quando non direttamente comica, con i personaggi come Morgan (Angelo Infanti), leggendario e famosissimo pirata di cui, almeno qui, nessuno sembra ricordare il nome, oppure con i refrain testa o croce tra i fratelli del protagonista. All’altezza anche le comparse: Van Stiller (Franco Fantasia), Carmaux (Sal Borgese), l’Olonese (Edoardo Faieta) e anche la marchesa di Bermejo (Dagmar Lassander), che aggiunge un  po’ di pepe rosa alla vicenda. Se in molti aspetti l’opera ricalca la formula del precedente successo televisivo, avrebbe avuto poco senso fare diversamente con le musiche. Chiamati quindi a trovare una melodia all’altezza della situazione, con lo scomodo termine di paragone delle fortunatissima sigla di Sandokan, i fratelli De Angelis non tradiscono le attese. Hombres del mar è un pezzo fortemente evocativo, in questo senso persino migliore della canzone dedicata alla Tigre della Malesia, e il suo tema sorregge benissimo la colonna sonora, soprattutto grazie  a José (Tony Renis) che accompagna le gesta dei nostri eroi suonando una sorta di flauto; bella anche la traccia dedicata a Yara. Il finale è forse eccessivamente sdolcinato, con i nostri che scampano la pelle miracolosamente, finendo su un’isola paradisiaca dove trovano ad aspettarli addirittura Honorata, salvata anch’essa da un generoso dio del mare. Troppa grazia? Beh, Sollima aveva già fatto morire Marianna, e la fine apparentemente riservata a Honorata non era davvero accettabile. Il lieto fine ce lo doveva, altroché. 



Carole André




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