491_APPALOOSA ; Stati Uniti, 2008. Regia di Ed Harris.
Ed Harris, attore dal lungo curriculum, si cimenta ancora
alla regia, dopo il precedente Pollock
del 2000; stavolta si dedica ad un genere che, di questi tempi, è da
considerarsi un po’ particolare: il western. Ed è evidente che Harris debba
aver scorto una sorta di necessità nel decidere di girare proprio un western
perché, pur essendo molto attivo nel mondo del cinema (tra Pollock e Appaloosa ha
preso parte come attore a 14 film), non lo si può certo ritenere un regista
dalla mano calda, visto che gira un film quasi ogni dieci anni. Per cui, se si
è preso la briga di tornare dietro alla macchina da presa, deve averci visto un
motivo più che valido. In realtà, se poi analizziamo il film in questione,
questo Appaloosa appunto, i conti non
tornano: non è certo un capolavoro e nemmeno lo è nelle intenzioni. Anzi, si
può dire che Harris si renda conto dei suoi limiti, come regista, e metta un
po’ le mani avanti: cerchi, cioè, di ispirare comprensione nello spettatore.
Questa onestà intellettuale del cineasta americano la si può già cogliere nella
scelta del cast: se è vero che si ritaglia il ruolo del protagonista
principale, va detto che come coprotagonisti ingaggia due attori di grana più
fine, in termini di qualità recitativa, ovvero Viggo Mortensen (che sfodera una
prestazione maiuscola) e Jeremy Irons (che invece si perde un po’ in una
recitazione troppo sopra le righe a cui forse è poco adatto). Da un punto di
vista formale, il film prova a riproporre i classici stilemi del western, in un
modo aggiornato ma senza gli eccessi del genere crepuscolare (o addirittura del
filone all’italiana).
Forse che Harris intuisca che il western può avere ancora
da raccontare, soprattutto grazie agli scenari e al suo fascino naturale; in
fondo Appaloosa, oltre che il nome della cittadina teatro delle vicende, è
anche una splendida razza di cavalli. Ma anche perché il genere può tornare
utile per parlare dei temi forti e primari della società umana, li ancora in
fase embrionale e quindi più evidenti in tutta la loro forza: la passione,
l’amore, il tradimento, l’amicizia virile, la fedeltà. Temi che, forse a causa
di una sorta di reimbarbarimento
della società, stanno tornando d’attualità, e quindi si ha la necessità di
affrontarli ancora. E in virtù di queste buone intenzioni, Harris spera che lo
spettatore si comporti come fa il personaggio di Mortensen con il suo, di
personaggio, quando a questi non vengono le parole e si inceppa durante il
discorso. E soprattutto, come nel finale, quando lo stesso Mortensen decide di
concedere a Harris un’altra possibilità.
Renée Zellweger
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