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sabato 7 aprile 2018

SFIDA INFERNALE

127_SFIDA INFERNALE (My darling Clementine). Stati Uniti, 1946;  Regia di John Ford.

La sparatoria all’OK corral nella città di Tombstone è uno degli episodi più celebri dell’epoca del Far West, un evento reso leggendario dalle innumerevoli cronache che lo hanno raccontato. Il grande regista John Ford ne prende quindi spunto per dirigere il suo Sfida infernale, con il quale prova a riscrivere, in modo classico e personale, questo passaggio cruciale della Storia del West e, più in generale, degli Stati Uniti d’America. Innanzitutto c’è da rilevare un particolare inaspettato: il titolo originale del film, My Darling Clementine suona assai improbabile se, come sembra, si tratta di un’opera che pone la sua attenzione su un violento scontro a fuoco. In effetti, i solerti addetti alla distribuzione sul territorio italiano hanno pensato bene di correggere l’anomalia scelta da Ford, e hanno optato per una definizione, Sfida infernale, in apparenza più consona al tema dell’opera. Naturalmente l’errore c’è stato, ma non è quello di Ford, ma di chi ha messo becco dove non avrebbe dovuto, falsando, in fin dei conti, parte del lavoro di preparazione dello spettatore previsto dal regista. Perché Ford, che è regista di polso, è onesto fin dal principio, dalla presentazione dei suoi film: My Darling Clementine non è un’opera precisamente imperniata sulla sfida tra gli Earp e i Clanton, le due bande che si scontrarono all’OK corrall, ma piuttosto la storia di come una cittadina (Tombstone) simbolicamente si sia evoluta, si sia civilizzata, in seguito e grazie a quell’evento. E, in quest’ottica, la figura della ragazza venuta dall’est, la Clementine del titolo, che nel finale diviene la maestrina del paese, è più importante di una banale sparatoria.

Certo, la sparatoria non è poi così banale, visto che viene presa a modello per rappresentare come l’eliminazione della barbarie sia necessaria a permettere lo sviluppo civile; ma è un fatto che, anche a livello di minutaggio, Ford non dedichi poi molto tempo allo scontro a fuoco. Ma indubbiamente l’evento clou del lungometraggio, almeno a livello spettacolare, è la celeberrima sparatoria: c’è così quindi una sorta di contrasto già alla base dell’opera, perché poi questo film il regista lo dedica ad una ragazza, che sin dal titolo è vezzeggiata (darling = tesoro) e che ha un nome che è un diminutivo del termine clemente, ovvero benevolo, incline al perdono. E la ragazza, interpretata da una Cathy Down posata e rassicurante, è davvero dolce e comprensiva; e si farà poi ambasciatrice, come si è detto, di cultura e civiltà assumendo il ruolo di maestra. Alla contrapposizione con la violenza della sparatoria (titolo originale del film vs evento che funge da richiamo), ne fa eco un’altra, più specificamente rivolta alla ragazza. Alla compostezza della giovane venuta dall’est si contrappone Chihuahua (una conturbante Linda Darnell), prostituta messicana (o pellerossa), che le contende l’amore di Doc Holliday (un soffertissimo Victor Mature). Perché l’operazione di Ford è quella di espandere il confronto tra le due bande nell’OK corrall a tema generale dell’opera, mostrando il conflitto in atto come una sorta di reazione dalla quale scaturirà la società americana. 


Ma andiamo con ordine: il film si apre con l’arrivo nella zona della Monument Valley di una mandria di bovini guidata dai quattro fratelli Earp: un araldico Henry Fonda è Wyatt; Ward Bond, un habitué  dei film di Ford, è Morgan; Tim Holt è il comprimario Virgil; Don Garner è il giovanissimo James. Gli Earp lungo la pista si incontrano con il vecchio Clanton (il mitico Walter Brennan, qui davvero incattivito), accompagnato dal figlio Ike (Grant Withers). Il vecchio Clanton si offre di rilevare la mandria, ma Wyatt non si dimostra interessato a vendere: pur se il dialogo si mantiene nei canoni di una normale trattativa, Ford è magistrale nell’infondere una tensione latente che sembra sempre sul punto di esplodere. Si capisce subito che i Clanton non sono abituati a ricevere ne tantomeno a tollerare rifiuti alle loro offerte.

Nel proseguo del film la definizione dei due gruppi famigliari proseguirà nel solco già impostato in questo primo incontro: gli Earp sono gente a modo; i Clanton sono gentaglia senza scrupoli che approfitta della mancanza della legge nei dintorni di Tombstone per fare il bello e il cattivo tempo. Al di là della trama, ovviamente molto ben congeniata, con il furto del bestiame, la connessa uccisione di James Earp e l’efficace stratagemma del medaglione che permette di provare la colpevolezza dei Clanton, appare chiaro che, nell’ottica fordiana, i fratelli Earp devono eliminare i Clanton che incarnano la barbarie ancora presente nel far west e permettere così la nascita di una società civile. Lo scontro Earp contro Clanton smette i termini di una contesa famigliare, per divenire il manifesto della necessità di eliminare la violenza, la prepotenza, la sopraffazione dal west, e quindi dall’America. Purtroppo, sembra dirci Ford, per farlo occorrono uomini che sappiano usare a loro volta la violenza; gente in gamba, che sappia il fatto proprio e che si metta al servizio della comunità. Come il Wyatt Earp interpretato magistralmente da un Henry Fonda perfettamente calato nella parte. Un personaggio fondamentale per permettere la costruzione di una società civile, ma la stessa società non sembra poi riservargli un ruolo: il suo posto è certamente quello nella galleria degli eroi fordiani. Perlomeno stando al finale, quando il nostro se ne va, lasciando a Tombstone la timida ma determinata Clementine, promettendole sì di tornare, ma con una promessa che somiglia un po’ troppo a quella di un marinaio. 


Ma ad incarnare perfettamente il senso di questo contrasto tra la natura violenta del west e la civiltà proveniente dall’est, è più di tutti il personaggio di Doc Holliday. Egli è un dottore, un uomo di scienza e di cultura che nell’est dedicava la sua vita ad aiutare il prossimo, ma la sua venuta all’ovest lo ha trasformato non solo in un pistolero avvezzo all’alcool e al gioco d’azzardo, ma addirittura in una sorta di boss della turbolenta cittadina di frontiera. La bottiglia di whiskey posta proprio davanti al diploma di laurea incorniciato, rappresenta al meglio la sua involuzione; la malattia che lo affligge diventa a sua volta emblematica del suo degrado fisico oltre che morale. Nel film gli arrivi rilevanti a Tombstone sono quindi tre: Doc, gli Earp e Clementine. Doc arriva dall’est, ma non si pone come ambasciatore della civiltà, anzi, è lui stesso a farsi corrompere dal selvaggio west. Solo quando vede l’attore recitare Shakespeare, riaffiora in lui la sua indole nobile, a cui dovrà far ricorso anche nel momento di operare Chihuahua, ferita a morte. Il tentativo non avrà successo: primo perché la donna è una figura perdente nell’ottica di Ford (rappresenta il vecchio west e non l’imminente civilizzazione), e quindi è naturale che muoia; e poi, sempre in senso fordiano, perché Doc è perdente a sua volta, e può solo venir buono per aiutare Wyatt nel repulisti che va in scena all’OK corrall. Wyatt e i suoi fratelli arrivano invece non dall’est, ma da un altro ovest: sono uomini del west, e pur non essendo uomini di civiltà, sono indispensabili per permettere lo sviluppo, perché si servono di quella violenza senza la quale non si può eliminare il male, la barbarie, ovvero i Clayton, da Tombstone. La funzionalità in questo senso di Wyatt Earp è esemplare: egli sa sempre cosa fare, è deciso, risoluto, sbriga i problemi senza perdersi in chiacchere. Ma pur essendo un noto esponente del west, è un uomo rispettoso della legalità: lui stesso fa notare a Doc come questi abbia un concetto di ordine civico un po’ troppo parziale, sia quando scaccia dalla città in modo brutale il baro, sia quando pretenderebbe autoritariamente di rispedire all’est Clementine, per motivi strettamente personali. A differenza di Wyatt, che è invece fortemente incline ad una società non solo legale, ma anche civile e moderna: la prima cosa che fa è andare dal barbiere, cedendo progressivamente alle lusinghe di quest’ultimo circa l’uso del profumo. Poi va alla funzione, partecipa al ballo, tutto impomatato passeggia sotto i portici a braccetto con Clementine. Notare come sia proprio la scena del ballo a mostrarcelo un po’ impacciato, forse perché si trova fuori dal suo contesto naturale. Il regista è molto bravo, in questo passaggio, perché non utilizza il campo-controcampo, come sarebbe naturale in una scena romantica dove la partecipazione emotiva dello spettatore è in genere utile allo scopo.


No, Ford non vuole farci vivere la scena da un punto di vista sentimentale, ma vuole sottolineare l’imbarazzo tra i due, che man mano aumenta in Wyatt tende a scemare in Clementine: la ripresa dei due personaggi affiancati permette di cogliere tutte le sfumature emotive che avvengono contemporaneamente, e pone lo spettatore come osservatore neutrale e quindi più divertito per la lieve goffaggine dell’eroe, che partecipe su un piano sentimentale. Wyatt è quindi cruciale per lo sviluppo di Tombstone: con lui la città si dota non solo della legge (lo sceriffo diviene lo stesso Earp), ma anche di una chiesa e di una maestra (quindi di una scuola), progressi che sono permessi dalla rottura del binomio Doc/Clayton che, pur se non in accordo, opprimeva la città sotto l’egida della violenza. Ma il vero arrivo rivoluzionario è ovviamente quello di Clementine, che porta la vera cultura, in quanto maestra, a Tombstone. La ragazza prova a redimere Doc (ormai fatalmente corrotto dalla violenza selvaggia del west) ma non riesce nel suo intento; in seguito prova almeno a coinvolgere nella civilizzazione quella componente violenta ma portatrice di valore sani, (lealtà, senso dell’onore e del dovere) rappresentata dalla figura di Wyatt. L’uomo è tentato di accettare questo destino, ma comunque decide di andarsene; la rinuncia non è esplicita, ma in ogni caso quello a cui assistiamo non è certo un lieto fine, e questo al cinema vuol dire qualcosa. 


Film formalmente ineccepibile, con sequenze girate con sublime maestria e raffinato calcolo, nella cui colonna sonora spicca la celeberrima canzone Oh My Darling Clementine, Sfida infernale è, oltre tutto quanto detto, soprattutto un’opera divertente e appassionante.
Uno dei massimi capolavori della settima arte senza tema di smentita.


Chaty Downs



Linda Darnell





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