503_VERA CRUZ ; Stati Uniti, 1954. Regia di Robert Aldrich.
Robert
Aldrich e Burt Lancaster insistono nel loro congiunto approccio
anticonvenzionale al western e, dopo lo splendido e insolito L’ultimo
apache, spostano ulteriormente il tiro. Il film Vera Cruz è
ambientato, e girato, interamente in Messico, e già questo, per un western del
tempo, non è un aspetto secondario. Il genere è quello che
negli anni 50 certifica e glorifica la nascita della nazione americana,
ma questo presupposto viene meno se le vicende a cui assistiamo avvengono fuori
dai confini degli Stati Uniti. Certo, una delle motivazioni è che il
giovanissimo Aldrich era molto incuriosito dalla figura dell’imperatore
Massimiliano I e dal conflitto del 1866 che lo opponeva ai sostenitori dell’ex
presidente Benito Juarez; in ogni caso questa escursione fuori
confine è considerata una delle maggiori fonti d’ispirazione per la corrente
italiana degli spaghetti western e, trattandosi di un film
risalente al periodo classico del
genere, si può intuire quanto il regista americano fosse in anticipo sui tempi.
Del resto il film che vede coinvolti due attori del calibro di Gary Cooper e
Burt Lancaster, antepone il classico eroe western ad un modernissimo anti-eroe.
Lancaster, coinvolto anche nella produzione del film, si
ritaglia il ruolo a lui più congeniale, ovvero quello, diciamo così, meno
eroico, che saggiamente lascia a Cooper. Una scelta anche per sfruttare il
maggiore appeal sul pubblico di cui godeva Coop, un aspetto che
Lancaster, nelle vesti di produttore, doveva comunque considerare. La trama è
semplice: i protagonisti del film, Joe (Lancaster) e Ben (Cooper) sono due
pistoleri che si recano in Messico in cerca di ingaggio come mercenari.
Vicende
narrative a parte, la pellicola si gioca sulla contrapposizione della personalità
dei due uomini: sul momento sembrano entrambi cinici e ben poco idealisti, ma
via via la loro vera natura porterà in luce significative differenze. Cooper,
nonostante cerchi fino all’ultimo di sopprimere il nobile animo sotto una
scorza disillusa, è un classico eroe dell’epopea western; Lancaster è invece
una candida anima nera (come il vestito che indossa), un
anti-eroe convinto, una figura un po’ sopra le righe ma resa credibile e
sfaccettata da una magistrale interpretazione dell’attore.
Notevole anche il
cast di comprimari, tra cui spiccano Ernest Borgnine, Charles Bronson e Cesar
Romero; meno efficace il contributo femminile: né Denise Darcel, né Sara
Montiel, mantengono per la verità le promesse che la vicenda proponeva loro. Ma
il film è comunque eccellente, con numerose scene di azione e di battaglia
girate con perizia da una regia dal gran ritmo narrativo; il gioco psicologico
tra i vari personaggi, che sono tutti più o meno ambigui, è sorretto da
dialoghi efficaci e convincenti. Il lieto fine, dopo l’ultimo duello decisivo,
liberatorio come da prammatica, consacra il protagonista ufficiale del
film, pur se ancora un po’ riluttante, nel ruolo di buono della
storia. L’happy ending non è quindi una formula di
routine per appagare l’animo dello spettatore, ma un premio guadagnato col
sangue dei jauristi morti sul campo di battaglia e,
soprattutto, con la consapevole rinuncia ai milioni di dollari in oro da parte
dell’eroe.
Denise Darcel
Sara Montiel
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