512_FROZEN II - IL SEGRETO DI ARENDELLE (Frozen II); Stati Uniti, 2019. Regia di Chris Buck e Jennifer Lee.
Sequel del capolavoro Disney degli anni 10 del terzo
millennio, Frozen II – Il segreto di
Arendelle si scontra, ovviamente sin dalle premesse, con quel pesantissimo
termine di paragone. Viene da chiedersi, in questi casi, se valga davvero la
pena scomodare un film quando è prevedibilissimo che il nuovo capitolo non si
riuscirà ad eguagliare l’originale. In questo caso c’è però almeno un valido
motivo (oltre a quello economico, che al cinema basterebbe di per sé) e si può
riassumere in un'unica parola: Elsa. Il personaggio principale, protagonista
insieme alla sorella Anna della saga di Frozen,
è la suprema sintesi di tutta la storia eroica cinematografica, non solo
d’animazione e non solo Disney anche se, ovviamente, è chiaro che incarni in
modo più evidente questi canoni. Coinvolta in avventure in cui si sacrifica per
il bene comune, è quindi l’Eroe della
storia, di cui però ne è anche, almeno a livello di estetica narrativa, la Principessa ,
che nella consuetudine è invece l’oggetto
della missione eroica. C’è quindi una coesistenza, nella sua persona, delle
figure tipicamente maschili e femminili della tradizione, con l’attenzione al
fatto che Elsa non rinnega, nemmeno in modo latente, il suo ruolo femminile in
tema narrativo, di cui tiene ben stretta la sensuale presenza scenica. Ma la
vera novità è che Elsa è anche la
Regina , un ruolo spesso corrispondente alla cattiva della storia, e in
cui rischia sempre di scivolare e che, non a caso, è proprio esplorato, sebbene
in un altro piano, da questo secondo episodio.
Infatti in Frozen II – Il segreto di Arendelle si scopre che, all’origine di
questo florido periodo storico di Arendelle, c’è una sorta di peccato originale: la cattiveria
perpetrata da Re Runeard, il nonno delle due ragazze protagoniste, ai danni dei
Northuldra, una popolazione vicina e dalle conoscenze magiche. La sponda
ecologista, presente da sempre in Disney e non certo legata alle mode del
momento, si manifesta nella forma che assume questa opera malvagia che, nel
film, è una diga. Il Re, che spacciava la diga come regalo per migliorare le
condizioni di vita dei suoi vicini (metafora del progresso), aveva invece
intendi dolosi e, in effetti, lo sbarramento artificiale avvelenerà la foresta,
costringendola sotto un malefico incantesimo.
Se Elsa incarna l’universalità
tutta disneyana delle principesse, volendo guardare è prevalentemente Anna a
sottrarre il ruolo ai vari eroi maschili del grande schermo della casa di
Burbank. Il suo pragmatico intervento, che fa crollare la diga, è decisivo e
risolutore e sarà quindi a lei che verrà concesso anche il posto di rilievo in
società: sarà infatti la futura regina di Arandelle. In questo senso la Disney potrebbe sembrare
darsi un’aria un po’ moderna,
presentando cioè una figura femminile (Anna) in grado di fare quello che
abitualmente fanno i suoi colleghi maschi: salvare il mondo lanciandosi in
avventure fuori dalla propria portata riuscendo comunque nell’impresa.
Interessante, certo, ma un po’ troppo politically
correct, e comunque già visto in altri classici
dello studio di Topolino (Mulan, Pocahontas); in ogni caso il tema fa’ la cosa giusta è sacrosanto. Ma,
come detto, queste sono tracce secondarie, visto che il vero punto di forza di Frozen, sia uno che due, è prevalentemente
incarnato da Elsa e dalla sua universalità:
un concetto totalmente femminile, da
sempre cavalcato dalla Disney. Il primo, mitico, classico è stato Biancaneve e
i Sette Nani, poi Cenerentola
inaugurò la golden age di cui La bella addormenta nel bosco rimane
l’apice artistico; La sirenetta aprì
il rinascimento degli anni ’90 e Frozen- Il regno di ghiaccio toccò un
nuovo assoluto vertice.
Naturalmente ci sono tantissimi capolavori anche sul
versante maschile dei classici di
Walt Disney, le storie dal tono più avventuroso ma, come si vede, i passaggi
epocali sono affidati alle principesse e non è affatto un caso. Nel perenne
contrasto tra civiltà e natura raccontato dai film della Disney,
sono infatti le protagoniste femminili a far conciliare le due forze come, del
resto, laddove c’è una principessa ci sarà giocoforza anche un principe e,
quindi, anche su questo aspetto si può cogliere l’universalità di queste
storie. Tutto questo è sublimato nella saga di Frozen dove le protagoniste sono addirittura due sorelle. E in
realtà, la figura di Anna, nel suo divenire regina di Arendelle, virando cioè nel
finale in un ruolo tipicamente femminile, acquista un maggiore rilievo: così le
due sorelle incarnano ora natura e civiltà e il fatto che siano femmine universalizza il discorso anche
in senso di genere sessuale. Come già in parte in Frozen – Il regno di ghiaccio, anche in questo nuovo capitolo manca
il cattivo (un cattivo vero, di peso
e qualità): là c’era Elsa ad assumersi certi aspetti di quel ruolo, in modo
superlativo, in questo caso è il passato tecnologico della società (la diga)
oltre a più banali istinti umani (l’avidità del Re) che sono però alla base del
benessere della comunità. In sostanza è reso esplicito il concetto che il male è sociale, collettivo.
Ovvero
quello che, nel primo Frozen, si
poteva già dedurre: se il male può
insediarsi persino in un personaggio universale come Elsa, che oggi scopriamo
essere addirittura il quinto elemento
in grado di armonizzare gli altri quattro (acqua, aria, terra e
fuoco), allora ci riguarda tutti. E' probabile che sia questa completezza del carattere della bionda platino regina dei ghiacci a renderla estranea ai rapporti sentimentali, lasciati alla sorella da onorare. Una sua eventuale omosessualità, di cui si è sentito teorizzare, non trova particolari riscontri e sembra un'ipotesi posticcia ricercata in modo forzato. La protagonista di Frozen
sembra volare assai più in alto rimanendo su concetti più universali: il che,
visto il pubblico a cui si rivolge, è la dimostrazione di come alla Disney
facciano il loro lavoro con serietà.
Naturalmente tutto ciò in un film divertente, spettacolare e
godibilissimo anche se meno coinvolgente rispetto al capostipite. Frozen II- Il segreto di Arendelle
insiste fortissimo sulla forma di film musicale: sembra una scelta logica, visto
il successo della colonna sonora del primo episodio, ma forse vi si può leggere
anche una strategia per parare un po’ le critiche in modo preventivo. Il musical è un genere che offre la possibilità di una vena astratta in molti
passaggi, una soluzione ideale per dare un tono stiloso all’opera e cercare di non lasciare troppe sponde alle
prevedibili critiche, sempre in agguato quando si possono intavolare scomodi
paragoni.
Critiche che, in ogni caso, lasciamo volentieri ad altri
lidi.
Elsa
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