612_L'ISOLA DEL GABBIANO (Seagull Island). Regno Unito, Italia, 1981. Regia di Nestore Ungaro.
Singolare produzione televisiva
anglo italiana, L’Isola del Gabbiano è una miniserie in cinque puntate
che tiene per tutti i suoi 300 minuti alta la suspense. In effetti, da questo
punto di vista, sorprende la capacità del regista, Nestore Ungaro, autore
misconosciuto ma in grado di ridare vigore al glorioso genere degli sceneggiati
televisivi. A livello tecnico, la cosa che stupisce è che il racconto ingrana
subito e non molla mai, rilanciando la tensione costantemente con una serie di
svolte misteriose in una vicenda a tinte, se non propriamente forti, perlomeno
decise; soprattutto se pensiamo che era destinata al pubblico televisivo della
ITV in Gran Bretagna e addirittura della RAI 1 in Italia. La storia racconta
della scomparsa di Mary Ann (Cheryl Buchanan), una ragazza inglese cieca, sulle
cui tracce si mette la sorella Barbara (Prunella Ransom), vera protagonista del
film. A dar man forte a Barbara ci pensano Martin (Nicky Henson), impiegato del
British Council di Roma, che si improvvisa sorta di James Bond (per usare le
sue parole), e il commissario Casati (Fabrizio Iovine). La capacità di Ungaro di
tenere in sospeso il suo racconto è notevole e non ci si annoia di certo anche
se ci vuole il suo tempo perché il cattivo della storia prenda il centro della
scena: David (Jeremy Brett) è il tipico facoltoso uomo d’affari degli eighties
che possiede addirittura un’isola (in realtà solo in concessione) tra Corsica e
Sardegna. Ed è proprio lì, come intuibile dal titolo dell’opera, che la vicenda
arriva al suo acme: e la villa sull’Isola del Gabbiano, perfetto esempio di
architettura anni 80 tra sfarzo e lussureggianti piante d’arredamento, è il perfetto
scenario per darne una fedele ambientazione temporale e sociale. Con David sull’isola
vive anche la bella Carol (Pamela Salem) e lo strano figlio Frederick (Marco
Mastantuono).
In realtà l’uomo è uno schizofrenico e la sua follia è parte del tremendo mistero che aleggia sull’Isola del Gabbiano e quindi sul nostro sceneggiato.
Un mistero più grande degli altri che costellano il racconto e che,
tutto sommato in modo abbastanza convincente, risolve con la sua rivelazione i
vari enigmi che arrovellano la mente dello spettatore oltre che di Barbara e
dei suoi aiutanti. Il notevole intreccio della trama, infatti, probabilmente
lascia qualche dubbio ma è qui che subentra la messa in scena evocativa di
Ungaro che riesce a sviare le eventuali perplessità ogni volta con un nuovo rilancio
misterioso.
Un modo di raccontare che in parte evoca i racconti d’appendice e in parte le soap opera televisive, con le sferzate narrative che arrivano sempre in prossimità della fine dell’episodio, lasciando lo spettatore con la curiosità insoddisfatta fino alla puntata successiva.
E, nella costruzione
della sua messa in scena, il regista si affida poi al classico armamentario del
cinema del brivido, con passaggi anche da horror; si d’accordo, la produzione è
televisiva e la cosa rimane evidente, ma proprio in questo ambito si può rilevare
un uso insolitamente meno appiattito del mezzo tecnico. Oltre agli effetti
a sorpresa, ad alimentare la tensione è il fatto che la protagonista sia
in costante situazione di pericolo: è una ragazza giovane, in un paese
straniero, costretta a svolgere indagini per ricercare la sorella cieca. E, all’apice
dei continui rilanci della trama, arriverà a fingersi addirittura cieca anch’essa,
mettendo lenti a contatto opacizzate, per divenire un’esca per incastrare il
presunto maniaco delle ragazze non vedenti. La regia sfrutta questa
persistente situazione per generare tensione, ben coadiuvata dalla musica che
accompagna il film, che ha i tipici passaggi sonori del cinema di genere,
in grado di mantenere, come da manuale, lo stato di turbamento nell’animo dello
spettatore. Insomma, L’Isola del Gabbiano non è certo un film spartiacque
nella storia della televisione, semmai uno dei colpi di coda della felice
stagione degli sceneggiati televisivi italiani che avevano avuto nei decenni
precedenti il loro momento di gloria.
Prunella Ransom
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