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domenica 29 giugno 2025

LA PISANA

1690_LA PISANA , Italia 1960. Regia di Giacomo Vaccari

Se guardiamo a quel 1973, anche in ambito dei soli sceneggiati Rai, forse ci sono titoli che sono più interessanti, artisticamente parlando, di Il caso Lafarge, ad esempio, Nessuno deve sapere di Mario Landi o Esp del grande Daniele D’Anza. Eppure, il racconto televisivo in quattro puntate di Marco Leto dedicato al primo esempio di giudizio di un tribunale in conseguenza a risultanze scientifiche della Storia, risulta quanto mai attuale. È stupefacente come, già in quei primi anni Settanta, c’era chi si rendeva conto che demandare tutto alla scienza non era una scelta troppo saggia, e Il caso Lafarge, perlomeno nella ricostruzione storica di Paolo Graldi e Paolo Pozzesi, lo dimostra chiaramente. Siamo a Glandier, nella campagna francese dell’Ottocento, Marie Chapelle (un’enigmatica Paola Pitagora, di notevole impatto scenico), nobildonna parigina, si è sposata con Charles Lafarge (Cesare Barbetti), credendolo un facoltoso proprietario terriero. In realtà, lafarge, a cui non manca una certa intraprendenza, è un individuo goffo e impacciato titolare di una fonderia sull’orlo del fallimento e residente in una dimora in rovina che, a Marie, aveva preventivamente spacciato per castello per convincerla a sposarlo. Charles, oltre a non saperci fare con la nuova moglie in quelli che sono i suoi doveri più intimi e delicati, è anche succube delle donne di casa, la dispotica madre, Madame Lafarge (Evy Maltagliati) e l’infida sorella Amena (Claudia Caminito). Gli autori non svelano del tutto le carte, sebbene non sia il mistero su chi sia l’assassino il vero fulcro «giallo» della vicenda: è abbastanza chiaro che, secondo lo sceneggiato Rai, gli assassini di Charles Lafarge furono la sorella Amena, suo marito Monsieur Buffiere (Gianfranco Barra) e il suo amante Monsieur Magnaux (Sergio Reggi). 

Il movente, di questo storico omicidio, sarebbe da ricercare, nel fatto che anche Magnaux e Buffiere fossero proprietari di una fonderia, in sostanziale concorrenza con quella di Lafarge, e in crisi allo stesso modo, ma questi aveva appena registrato un brevetto che avrebbe potuto risolvere la situazione. Nel racconto vediamo in effetti Buffiere chiedere vanamente a Lafarge, prima che la salute del cognato peggiori, di condividere il brevetto, associando le due fonderie nel tentativo di superare le difficoltà economiche; nel contempo sua moglie, complottando con l’amante, il sordido Magnaux, prepara un’altra via per arrivare a mettere le mani su fonderia e brevetto dell’ingenuo fratello. Il piano prevede l’avvelenamento con il cianuro, facendo ricadere la colpa sulla moglie di Lafarge, che aveva manifestato una certa delusione quando si era resa conto di quali erano le reali condizioni economiche del marito. Charles Lafarge finirà quindi ucciso e, dopo una serie di analisi tossicologiche che fecero epoca, la verità processuale stabilirà che fu avvelenato. Questo è il motivo per cui il «caso Lafarge» passò alla Storia, è infatti comunemente ritenuto il primo processo deciso dalla Tossicologia Forense: la scienza cominciò quindi allora ad ergersi come arbitro supremo nelle contese giudiziarie. Il procuratore Chalandon (Franco Graziosi) è un ottuso mastino che non molla la presa e non palesa mai alcun dubbio ma peggio di lui fanno gli scienziati, il professor Orfila (Mario Maranzana) in testa. Se il procuratore ha almeno un comportamento sobrio, Orfila si comporta invece come un vero e proprio santone, lasciando quindi intendere che la scienza sia divenuta una vera e propria religione. 

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