468_CRONACA FAMILIARE ; Italia, 1962. Regia di Valerio Zurlini.
Regista di eccezionale talento, Valerio Zurlini è stato a
lungo sottovalutato. Oggi è perfino facile, guardando uno dei suoi film,
rendersi conto di quanto fosse bravo. Cronaca
familiare, ad esempio, è un capolavoro. Lo è, in prima istanza a livello
formale. Zurlini ha un gusto e un’attenzione alla composizione dell’immagine e
della sequenza sopraffini; in Cronaca
familiare, oltre alla naturale ricercatezza formale, c’è una cura maniacale
nel riproporre le atmosfere delle opere pittoriche di Ottone Rosai, di cui un
quadro è appeso alla parete della stanza del protagonista, per gli esterni e di
Giorgio Morandi per le spaziose scene d’interni. Ciò, unitamente al rigore
prestato nella trasposizione del romanzo omonimo di Vasco Pratolini, soggetto
dell’opera di Zurlini, ci dice dell’attenzione formale del regista, non solo
per la sua opera in sé ma anche per i rimandi della stessa. Ma non vanno
taciuti, sempre in questo merito, le qualità della fotografia di Giuseppe Rotunno,
indispensabile nella resa delle immagini ispirate ai dipinti dei suddetti
pittori (e premiata con il Nastro
d’Argento 1963), la musica spesso dissonante ma assai efficace di Goffredo
Petrassi e, naturalmente, le interpretazioni degli attori. Su tutti spicca un
superbo Marcello Mastroianni (è Enrico), ma molto bravo anche Jaques Perrin
(suo fratello Lorenzo). Cronaca familiare
è quindi un film calligraficamente eccellente; ma, questo, è solo il punto di
partenza.
Il film si apre con una frase di Foscolo e il tributo al
romanzo di Pratolini alla base del trattamento cinematografico, accanto a due
fotografie in bianco e nero.
L’intima delicatezza sentimentale di Cronaca familiare è quindi da ascrivere,
almeno in origine, alla cifra poetica dello scrittore; a cui si accoda il
regista, facendo proprio questo originale sguardo di sensibilità tutta
maschile. Le due fotografie in bianco e nero torneranno anche in chiusura,
stavolta con la didascalia in riferimento al film: è un atto di riguardo per la
primogenitura del romanzo ma anche l’ultimo grande indizio della specularità
dell’opera che, in effetti, è un film che si riflette nel romanzo d’origine.
Gli elementi sdoppiati sono numerosi a partire dai due fratelli protagonisti:
simili, tra loro, se diamo ascolto alla nonna (l’attrice francese Sylvie), ma speculari (già esteticamente: uno e
giovane e l’altro è quasi vecchio, uno biondo e l’altro moro; ma poi anche
caratterialmente). Pur essendo un film di grande impatto sentimentale, Cronaca familiare è declinato totalmente
al maschile. Le uniche donne della storia sono quelle che non hanno peso
nell’economia dell’attrazione sessuale: la madre, vero fulcro della storia, che
però è fisicamente assente essendo morta poco dopo il parto di Lorenzo, e la
citata nonna che, diversamente (specularmente) è invece presente.
Questo tipo
di raddoppio è riproposto anche nelle altre figure femminili che sfiorano la
vicenda: la prima ragazza di Lorenzo fa una fugace comparsa in una scena,
mentre la successiva, che diverrà sua moglie, sarà tirata in ballo un paio di
volte ma mai si paleserà. Ma sono personaggi molto marginali: la storia è
incentrata solo sui due fratelli e sul loro rapporto. C’è, per la verità un
rimando ad un’amica di Enrico, davvero un dettaglio minimo, forse utile a
scongiurare ogni possibile ipotesi di omosessualità; in realtà Cronaca familiare è una storia in cui la
componente sessuale è totalmente assente.
Questa estraneità ai temi legati
all’attrazione sessuale, permette di raccontare di un sentimento completamente
disinteressato: un vero esempio di affetto puro e semplice. In questo modo,
senza interferenze, è forse possibile
risalirne alla vera e profonda natura. Affetto, quindi, tra fratelli; ma niente
affatto scontato. In effetti, in principio, tra Enrico e Lorenzo non c’è tutta
questa sintonia. Enrico era bambino quando la madre morì dopo aver dato alla
luce il fratellino; e, in cuor suo, è quasi naturale che Enrico gliene fece una
colpa. In seguito, Lorenzo venne affidato al maggiordomo di un aristocratico,
impietositosi della condizione familiare dei nostri protagonisti. Mentre il
fratello maggiore veniva allevato in povertà dignitosa dall’affettuosa nonna,
Lorenzo conosceva gli agi di una famiglia benestante; le visite della nonna e
di Enrico alla villa del nobile divennero via via meno gradite e questo non
alimentò certo il fiorire di un grande sentimento fraterno tra i due
protagonisti. Qui comincia ad affiorare parte del discorso politico di Zurlini;
forse proprio il motivo che lo renderà poco appetibile alla nostrana critica
cinematografica, sempre schierata
quando non militante. Perché, come si
vede, fin’ora tra Enrico e Lorenzo non c’è alcuna ragione perché si istauri una
legame affettivo. A parte il fatto di essere consanguinei. La famiglia è però un
concetto molto borghese; forse il concetto borghese per eccellenza.
Ma per ora torniamo al rapporto tra i due fratelli: nella
storia c’è un salto temporale, e i due si incontrano che Lorenzo è appena
maggiorenne, mentre Enrico è in difficoltà professionali ed economiche. Dopo un
primo e fugace incontro alla sala del ping pong, Lorenzo, elegante e ben
educato va a trovare il fratello, avendo litigato col babbo, come chiama il padre adottivo. Anche la figura paterna ha un
raddoppio del tipo già visto in precedenza: il babbo compare in qualche sequenza, il padre naturale, seppur se ne
parla in qualche circostanza, mai. Comunque Enrico è malato, povero e senza
lavoro; al contrario Lorenzo sembra avere davanti un avvenire assai più roseo.
Ma, trattandosi di un’enorme storia allo specchio, accadrà esattamente
l’opposto, con il maggiore che guarisce e riesce a diventare giornalista,
mentre Lorenzo, dopo le difficoltà a trovarsi un lavoro, contrarrà una fatale
malattia. I sentimenti tra i fratelli sono in questa fase interlocutori. Quando
si incontrano per la prima volta in modo approfondito, nella scalcinata stanza
di Enrico, è buio, hanno tagliato la luce, e Zurlini rinuncia al
campo/controcampo come metodo di ripresa per il loro dialogo, limitando
l’immedesimazione e quindi la partecipazione al loro rapportarsi per lo
spettatore. C’è una distanza, tra di loro, avvertibile sin da subito ma che è
resa concretamente quando il regista inquadra la nuca di Lorenzo mentre pone la
fatidica domanda sulla madre: girato di spalle, il fratello minore pone
l’attenzione sul reale motivo di divisione con Enrico. Per assurdo, pur con uno
degli interlocutori voltato di spalle e l’altro reticente a rispondere, questo
è il primo passo nel loro riavvicinarsi; quando poi Enrico accetta finalmente
di parlarne, rivela al fratello una somiglianza tra lo sguardo della madre e
quello dello stesso Lorenzo mentre è impegnato a giocare a ping pong.
E’ forse
lì che Enrico, divenendo consapevole dell’affinità del fratello con sua madre,
istaura il primo legame affettivo con Lorenzo. Verrebbe da dire che si origina
da uno spunto genetico, ma ci basti
il termine familiare; in effetti più
in linea anche con il titolo del film. La scelta di inquadrare un personaggio
di spalle non è l’unica: all’inizio, ad
esempio, in questo singolare modo viene ripreso Enrico. E’ a Roma, in attesa
della nefasta telefonata da Firenze, e Zurlini lo inquadra di spalle, la nuca
in primo piano. Da li si apriranno una serie di flashback che ripercorreranno
le vicende dei due fratelli: uno sguardo all’indietro, una sorta di bilancio.
Ma anche qualcosa che non ti aspetti; uno sguardo alternativo che, forse, nella
coerenza con cui è tracciato, è uno degli aspetti più importanti della poetica
di Zurlini. Anche più della sublime capacità formale. In Cronaca familiare ci sono un paio di passaggi emblematici, in tal
senso. Ad un certo punto, in una scena agreste, è inquadrata sullo sfondo una
cascina dove campeggia una scritta: “Questa
è la guerra che preferiamo”. Ora, quando compone un’inquadratura Zurlini,
nulla è lasciato al caso ed è impossibile non notare quello che il regista
vuole farci notare. Anche quando finge di farlo distrattamente.
L’ambientazione
della storia, in quel momento, è posta durante il ventennio fascista e i venti
di guerra soffiano forti; la scritta sembra una delle tante che si vedono
ancora oggi e che caratterizzarono la propaganda mussoliniana. In fondo, la
traccia politica, lo abbiamo già visto in parte, corre sotterranea in tutta la
pellicola e un riferimento al regime
potrebbe anche essere pertinente. Invece è una clamorosa falsa pista: perché la
scritta è opera dei contadini che intendono rimanere a far la loro guerra quotidiana contro la povertà
lavorando i campi della fattoria, senza perdere il loro tempo nelle campagne
militari prospettate da Mussolini. Un ribaltamento del significato di 180°; un
po’ come un primo piano di una nuca, rispetto al consueto modo di riprendere i
personaggi.
Un altro passaggio in quest’ottica è il modo in cui Enrico cerca di
far rivivere il ricordo della madre
al fratello e gli racconta di quando ne andò a visitare la salma. Il passaggio
è comunque toccante, sebbene abbastanza paradossale per la contraddizione
intrinseca; ma Zurlini affonda il colpo quando Lorenzo dimostra la
consapevolezza della propria sorte, chiedendo preventivamente lo stesso gesto
di attenzione, scacciare una mosca dalla fronte, che Enrico aveva riservato al
cadavere della madre. Questo modo di raccontare, questi continui depistaggi,
lascia intendere che il vero punto di messa a fuoco di Cronaca familiare non sia sulle questioni domestiche, sugli affetti
fraterni.
Perché ad un certo momento del racconto, Enrico quasi si ribella alla
deriva che la storia sta prendendo, evidentemente non in linea coi suoi principi.
Enrico è un giornalista, un uomo di cultura, in Italia, nel dopoguerra; è
comunista, lo si evince da una domanda del fratello. E quando si ribella
ribalta un carretto per strada, in una scena, al solito, composta in modo
magistrale. La scena è doppiamente speculare: ci sono due carretti, come due
sono i fratelli sulla strada; Enrico ne rovescia uno, in un impeto di rabbia e
Lorenzo lo risistema. In quel momento, Enrico esprime in modo pieno la vera
traccia portante di Cronaca familiare:
secondo il suo credo, quello
progressista, di sinistra, essere
familiari non ha alcuna importanza, quello che conta sono le idee, i gusti, le
esperienze. Ma si dovrà rendere conto che quell’estraneo con lo sguardo di sua
madre, gli era, anche solo per quel modo concentrato di guardare, molto più
intimo di chiunque altro.
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