466_ESTATE VIOLENTA ; Italia, Francia 1959. Regia di Valerio Zurlini.
Gli anni cinquanta, al cinema, segnarono il fiorire dei
drammi a tinte forti: il dopoguerra e il boom economico avevano ammantato in
apparenza tutto di ottimismo, ma risvolti problematici già covavano sotto la
superficie, e sarebbero esplosi pienamente negli anni a seguire. In Italia la
situazione era però peculiare: intanto il boom sarebbe arrivato una decina
d’anni più tardi, e per un periodo più consistente che altrove sarebbe rimasta
d’attualità la miseria ereditata dalla tragedia bellica. Comunque, nel 1959,
evidentemente anche in Italia le cose cominciarono a cambiare, così Valerio
Zurlini, mette in scena il suo Estate
violenta: un film che in parte anticipa i temi del benessere in arrivo,
mentre si focalizza sui problemi legati ai sentimenti costretti e mortificati
dalle pastoie di un conformismo sempre più contrastato dalle nuove pulsioni
sociali. Zurlini, forse per trovare un’ambientazione che enfatizzi maggiormente
questi tormenti, decide di spostare la sua storia nel 1943; al tempo c’era una
generazione di giovani borghesi, privilegiati dal regime per il fatto di
appartenere alle famiglie giuste e
che, nonostante furoreggiasse la guerra, potevano spassarsela al mare, a
Riccione, anticipando le mode e i costumi delle masse di giovani degli anni
sessanta. E’ un’intuizione che si può anche dire geniale: gli anni sessanta
avrebbero messo in discussione i precetti del conformismo ma, in fondo, il
fascismo fu il prodotto più eclatante del conformismo italiano. E quindi,
Zurlini, con la sua storia ambientata nel passato, addirittura anticipa i tempi
in quel 1959, raccontando quei problemi, libertà sociali e sessuali in rotta
con le consuetudini borghesi, tipicamente del decennio imminente.
Estate violenta procede su una doppia
traccia: accanto agli eventi storici, con l’Italia in una fase cruciale della
II Guerra Mondiale, c’è il gruppo dei nostri protagonisti che, in buona
sostanza, si godono la vita di spiaggia di Riccione. E’ un accostamento,
rilevabile sin dal titolo, forte: l’estate
romagnola veicola un’idea di festa e divertimento, l’aggettivo violenta si riferisce alla guerra, non
certo un concetto piacevole. Ma sono i due temi principali di un film che si
basa su una ripetuta contrapposizione di argomenti, spesso in antitesi tra loro.
C’è infatti un gruppo di giovani, tra cui spicca Carlo Caremoli (Jean-Louis
Trintignant), figlio di un noto gerarca fascista (uno strepitoso Enrico Maria
Salerno in quello che è una sorta di piccolo cameo) e c’è l’austera e
rispettabile famiglia di Roberta (un’altera Eleonora Rossi Drago).
Nonostante
la vicinanza in spiaggia non c’è feeling tra i due nuclei, almeno fino al primo
degli scossoni che Zurlini impone
alla sua storia. Perché, se il racconto filmico del regista nato a Bologna procede
lento, senza azione ma focalizzandosi sulle traiettorie degli interessi
sentimentali, ovvero l’attrazione reciproca tra Carlo e Roberta o la gelosia di
Rossana (Jacqueline Sassard), ad imprimere radicali cambi di situazione nel
lungometraggio ci sono tre momenti cruciali. Il primo, il minore dei tre, è
quasi in apertura, ed è costituito da un caccia tedesco che passa a bassissima
quota sulla spiaggia romagnola, portando scompiglio nell’agiata quiete dei
villeggianti. La piccola Colomba, figlioletta di Roberta, si spaventa e scoppia
a piangere, trovando riparo e conforto tra le braccia di Carlo, che le era per
altro fino allora sconosciuto.
Fanno così conoscenza Carlo e Roberta e questo è
il primo passaggio decisivo: si scoprirà che il ragazzo aveva una precedente
intesa con Rossana e su questo triangolo sentimentale si giocherà il corpo del
racconto nella prima parte del film. La madre di Roberta (Lilla Brignone) non
vede di buon occhio la frequentazione della figlia; Roberta è vedova,
d’accordo, ma Carlo è troppo più giovane di lei e poi appartiene ad una
famiglia fascista, ricca ma di dubbia reputazione. I dualismi che sorreggono
tutta la storia narrata nel film, in questa fase si sprecano: la contrapposizione
tra le due famiglie in gioco; la cognata Maddalena (Federica Ranchi) la cui
bellezza raddoppia un po’ quella di Roberta; le due donne che gravitano intorno
a Carlo, Rossana e Roberta; che si specchiano a loro volta nei due uomini nella
vita di quest’ultima. In questo caso la contrapposizione è lampante: il marito
di Roberta era un uomo maturo, rispettabile, ed è morto in guerra da eroe;
Carlo è uno studente un po’ sfaccendato che, grazie alle conoscenze del padre,
cerca in tutti i modi di non essere arruolato. Tutte queste contrapposizioni
del film rappresentano la spaccatura apparentemente insanabile che divideva
l’Italia del 1943. Zurlini non prende posizione e, in questo, è molto audace;
in effetti Estate violenta non è un
film smaccatamente antifascista e, nel dopoguerra, questo è un caso davvero
raro.
Il regista mostra la profonda divisione del paese per dirci quanto sia
relativa, di scarsa importanza, rispetto alla forza dell’amore: Roberta
confessa infatti di non aver mai amato l’irreprensibile marito, ma di aver
perso la testa per Carlo, in modo del tutto incomprensibile agli occhi della
madre; che sono poi quelli dei benpensanti. Ma, come si dice, l’amore è cieco e
quindi incurante anche dei meriti morali, veri o presunti, delle persone. E già
questo potrebbe essere abbastanza per rendere Estate violenta un film notevole; anche perché il secondo momento
culminante del lungometraggio, quello che sancisce definitivamente la storia
d’amore tra Roberta e Carlo, a discapito di Rossana, è un passaggio
cinematograficamente strepitoso. In ossequio all’alternanza tra le due tracce
della trama, dopo il primo momento cruciale di matrice bellica che apre il
film, il secondo è strettamente legato alle vicende sentimentali dei personaggi.
A casa di Carlo, si ritrova il gruppo di amici, più Roberta e Maddalena. Sulle
note della bellissima Temptation va ad
incominciare uno dei massimi momenti del cinema italiano. La tensione,
sostenuta dal superbo motivo musicale, scorre tra i vari personaggi, che si
studiano, aspettano il momento propizio, osservano le contromosse; Zurlini
compone le inquadrature in modo magistrale, gioca con abilità con luci e ombre,
muove la macchina da presa in modo sinuoso e calibrato, con una capacità
figurativa sublime e perfettamente calcolata in un frangente di grande cinema
che, per la durata del magnifico pezzo cantato in modo convincente da Teddy
Reno, è saturo di tensione sentimentale tutta sospesa. Il tempo di cambiare il
disco ed è il turno della Canzone di
Rossana, pezzo jazz di Mario Nascimbene, ballabile che, con un po’ di perfida
ironia, è dedicato alla ragazza che finisce a mal partito proprio su quelle
note.
Perché, il risultato concreto di questo passaggio, è la decisione di
Roberta di accettare la corte di Carlo, proprio sotto gli occhi di Rossana. Ma
la questione non è ancora chiusa: a Zurlini non basta avere dimostrato
l’importanza dell’amore sulle beghe politiche, anche perché, al tempo, un
discorso del genere sarebbe stato equivocabile e facilmente tacciato di
qualunquismo. Serve un altro scossone bellico alla vicenda, e stavolta sarà ben
più potente di quello che ha dato il via a tutta quanta la storia. Roberta ha
invitato Carlo nella sua casa in campagna, in modo di sottrarsi ai rinnovati
obblighi di chiamata alle armi; ma il treno che lo porta, praticamente
disertore, ancora una volta al sicuro dai rischi della guerra, subisce un
pesante attacco aereo.
La scena è di grandissimo impatto e Zurlini si dimostra ancora
regista di grande resa cinematografica: anche questa è una sequenza notevole.
La svolta che ci lascia in eredità è sorprendente: Carlo decide di rispondere
alla chiamata alle armi, di fare cioè, la sua parte. Zurlini però sembra
proseguire la teoria della doppia traccia. E’ quindi l’amore che ha reso più
maturo il ragazzo che, ora, vuole adempiere ai propri doveri? O, forse, le sue
parole dette all’amata, “anch’io sono
come tutti gli altri, non mi ribellerò mai”, sembrano piuttosto dire che, ai suoi occhi, disertare (per amore) è troppo
rischioso? Più facile che quella giusta sia la seconda opzione. L’italiano medio, (sagacemente e
beffardamente fatto interpretare da un attore straniero), è conformista sia
nell’eludere il proprio dovere che nell’accettare di farlo, cogliendo sempre i
vantaggi della situazione. Ed è, per natura, incapace di comprendere la matrice
rivoluzionaria dell’amore.
Eleonora Rossi Drago
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