469_LA PRIMA NOTTE DI QUIETE ; Italia, Francia 1972. Regia di Valerio Zurlini.
Nel 1984 uscì Il
cinema italiano d’oggi di Faldini e Fofi (Mondadori) nel quale si può
leggere un sorprendente commento di Valerio Zurlini sul suo film La prima notte di quiete. Il regista
bolognese è caustico nei confronti del suo lavoro: non c’è niente di quello che
ci doveva essere e Alain Delon, il protagonista, viene totalmente stroncato.
Per l’autore, La prima notte di quiete
è stata addirittura una tortura e, ad un certo punto, ha tirato dritto con l’unico
scopo di finirlo. La cosa sorprendente di queste parole, al netto della libertà
d’opinione, è che La prima notte di
quiete è un vero capolavoro, un film splendido. E’ una situazione ai limiti
del paradossale: un autore che quasi disconosce un’opera così bella e
importante. Forse Zurlini nel frattempo era cambiato, e comunque nei giorni de La prima notte di quiete era in una
situazione personale molto particolare: non aveva sfondato con i suoi lavori
che pure avevano avuto successo (Estate
violenta, 1959, Cronaca familiare,
1962), e i successivi passi falsi al botteghino (Le soldatesse, 1965, Seduto
alla sua destra, 1968) lo avevano probabilmente reso troppo disilluso.
Fossimo oggi nei primi anni 70, con l’autore giustamente rivalutato, Zurlini potrebbe
anche essere stato soddisfatto della sua carriera fin lì: ottimi film, con
qualche successo e qualche fiasco; ma non sempre il pubblico in sala è un
giudice attendibile per la qualità delle opere. Al tempo, però, il regista
bolognese non aveva di che rallegrarsi: i suoi progetti ambiziosi non riusciva
a portarli a termine e le opere realizzate, nonostante la qualità, non gli
avevano dato la considerazione che avrebbe meritato.
La prima notte di quiete, (che è un verso preso da Goethe che
definisce la morte come sonno senza sogni) è un po’ il punto della situazione,
come si intuisce non troppo allegra, di Zurlini e del suo cinema. Il
protagonista, Daniele Dominici (Delon, come già accennato) è una sorta di alter-ego dell’autore: se ne va
in giro con il suo cappotto cammello, un po’ trasandato, incurante delle
opinioni altrui. E’ un peccato che Zurlini abbia detestato in quel modo
l’attore francese che, da parte sua, sfodera una prestazione superlativa.
Delon,
oltre ad interpretare metalinguisticamente la figura di Zurlini è, sempre in
tema metalinguistico, una sorta di ambasciatore di un certo cinema francese (tipo
quello degli ultimi polar di Jean
Pierre Melville), che sono in questo caso uno dei riferimenti per l’autore
bolognese. Daniele che cammina sul lungomare riminese invernale ricorda infatti
gli eroi disillusi di Melville. Ma le note più personali di Zurlini non tardano
a saltare fuori, prima fra tutte quella politica: “per me neri o rossi siete tutti uguali; i neri solo più cretini”
commenta aspramente Daniele in classe. Il professore esprime in modo netto la
sua (e quella del regista) estraneità alla contestazione, alla lotta politica,
ma anche solo alla militanza a sinistra, cose che furoreggiavano al tempo.
Nell’astio delle parole del personaggio, la conferma del timore, da parte di
Zurlini, che sia stato proprio l’essere neutrale in termini politici il maggior
freno alla sua carriera; un’idea nemmeno troppo estemporanea, osservando quanto
l’intellighenzia italiana sia stata
influente, specialmente in quel frangente storico.
In ogni caso La prima notte di quiete è un condensato
di tutte le influenze di Zurlini, e non solo in campo cinefilo. Oltre alla
fredda malinconia dei polar, condita
dal desolato assolo di tromba di Maynard Fergusson, il clima è reso meno
plumbeo dai vitelloni felliniani:
Giorgio Mosca detto Spider (Giancarlo
Giannini), Marcello (Renato Salvadori) e Gerardo (Adalberto Maria Merli). E’ un
allegria di facciata che non scalfisce minimamente l’umore di Daniele che, al
contrario, si invaghisce dalla dolente bellezza di una delle sue alunne, Vanina
(una splendida e indimenticabile Sonia Petrova). I riferimenti spaziano però
oltre l’orizzonte cinematografico: già il titolo ispirato, come accennato, a
Goethe.
E poi il Manzoni, con il tema la contrapposizione
di purezza e peccato nel mondo di Alessandro Manzoni, che Vanina è l’unica
in classe a scegliere; proprio lei che incarna la purezza della bellezza e il peccato
inconfessabile (e che rimarrà inconfessato). La visita a Monterchi, occasione per
vedere l’affresco della Madonna del parto
di Piero della Francesca è un’ulteriore occasione, per Daniele e Vanina, di
riflettere sul concetto di purezza e,
in questo caso, di assenza del peccato.
Tutto ruota intorno a Vanina che, mano a mano che la trama si dipana, rivela
proprio questa natura pura e, al contempo, peccaminosa.
Zurlini è magistrale,
in questa fase, nell’uso metalinguistico del media cinema, anche perché poi si capirà che è proprio il suo cinema ad essere al centro della questione.
Ma per il momento c’è un melodramma, con Daniele che insidia Vanina che è la
ragazza del gigolò del quartiere, Gerardo. Questo è forse il terreno in cui il
regista bolognese ha mostrato i suoi momenti più memorabili, basti pensare alla
scena del ballo in Estate violenta
sulle note di Temptation; in La prima notte di quiete Zurlini fa
addirittura meglio. Spider, Daniele, Marcello, Elvira (Nicoletta Rizzi) e
qualche altro del gruppo vanno a far serata in una sala da ballo.
Daniele
scorge subito Gerardo in pista; con lui c’è Vanina. Il pomeriggio la ragazza
l’aveva passato con Daniele che certo non si aspettava di vederla ora proprio
lì. Baciare Gerardo, poi. E’ un duro colpo e Delon, uomo certamente avvezzo a
sviluppi ben differenti nei rapporti con l’altro sesso, è bravissimo nel
mostrare il professore in preda ai propri sentimenti. Il respiro tenuto
forzatamente e apparentemente calmo, mentre il petto che si alza e si abbassa
ritmicamente tradisce il nervosismo e la frustrazione dell’uomo. Vanina balla,
scuote i lunghi capelli, tira indietro la testa mentre ad occhi chiusi si
lascia andare al ritmo della discomusic.
Poi la musica cambia, è il momento clou di La prima notte di quiete, Ornella Vanoni attacca Domani è un altro giorno e, in effetti, quasi letteralmente, il cinema italiano non sarà più lo stesso. La canzone, che ha nel titolo un
evidente rimando cinematografico risalente a Via col vento, rende il favore al cinema diventando ben più della
colonna sonora del passaggio più intenso del cinema di Zurlini. Ora Vanina si
abbraccia a Gerardo per il romantico lento; Daniele, se non fosse per il
ritmico e lieve movimento del petto, è impietrito. La ragazza è completamente
assorta dalla melodia, dalle parole, dal momento quando, ballando, si volta e
vede Daniele. Alle luci psichedeliche è questione di un attimo, ma anche lei
subisce il colpo.
Nessun cenno, soltanto una mano che si stringe quasi come una
sorta di muta imprecazione mentre il volto della ragazza si nasconde tra le
braccia di Gerardo. Un altro mezzo giro e ora Gerardo, che sembra essere
consapevole della presenza di Daniele e di quanto ci possa essere stato quel
pomeriggio, mentre lo guarda sornione, gli strizza l’occhio. Delon è sempre una
statua, ma Daniele, il protagonista del film, è anche Zurlini, che risponde
in vece dell’attore francese, con un ombra creata dalle luci stroboscopiche che
nasconde per un attimo soltanto un occhio del volto del suo personaggio,
replicando così all’occhiolino di Gerardo. E’ un raffinato tocco di classe di
Zurlini che contende, in questo passaggio, la paternità del personaggio
all’attore francese fin sullo schermo. Il passaggio è cruciale perché nello
spazio della canzone della Vanoni, vengono chiariti, a noi e tra di loro, i
ruoli dei classici tre elementi del triangolo sentimentale.
Sul momento Daniele
ne esce distrutto; emblematica la sintesi acida di Elvira, rosa dalla gelosia
visto che sull’uomo ha messo gli occhi: ti
sei bevuto un bicchierino di merda. In realtà, il tema del bere, viene utilizzato da Zurlini per introdurre un altro
motivo cinematografico nella sua analisi metalinguistica. La prima notte di quiete è del ’72 e, in Italia, furoreggia il thriller all’italiana, quello capeggiato
da Dario Argento, per intenderci. Zurlini appartiene ad un altro tipo di cinema,
più classico all’interno della produzione italiana ma, sembra quasi dirci, visti gli scarsi riconoscimenti dovrei forse
buttarmi anch’io sul giallo. Qui entra in gioco il discorso sul bere, in particolare sul whisky.
Il thriller
all’italiana nel suo riprendere i toni dell’industria hollywoodiana, ha
(quasi) sempre ambientato le sue storie nell’alta borghesia, in lussuosi
appartamenti situati nelle grandi città del nord del paese. Il cinema americano
di genere era spesso ambientato a New
York o comunque in contesti urbani; lo stesso provava a fare quello italiano.
Uno dei simboli di questa ostentata emancipazione italiana era il whisky, da
bere al posto del vino, troppo legato all’origine campagnola della nostra
tradizione. E una marca in particolare, il notissimo J. & B. diventerà una presenza ossessiva e immancabile in ogni
film di genere italiano (e non solo).
Zurlini, quasi ci scherza, con questi cliché divertenti ma effettivamente
niente più che curiosi; in apertura del film vediamo una bottiglia di Glen Grant: whisky si, ma di un’altra
marca. La prima notte di quiete non è
mica un film di genere verrebbe da
dire. Ma poi, quando la traccia melodrammatica della storia tra Daniele, Vanina
e Gerardo si tinge di giallo, e tutti continuano a parlare di qualcosa di
misterioso e peccaminoso nel passato della ragazza, ecco che il J. & B., con la sua scritta rossa
sull’etichetta gialla e la bottiglia verde, salta fuori eccome. Zurlini
insiste: c’è un mistero, intorno a Vanina, tutti ne sono a conoscenza, tranne
Daniele, naturalmente. Il regista è in grado benissimo di reggere un thriller
malinconico e cominciamo davvero ad essere curiosi sul mistero da sciogliere. Intanto
il J. & B. è onnipresente e
lubrifica abbondantemente l’intrigo.
Tuttavia, quando, nel finale, si è capito
che quella del thriller era una falsa pista, spunta una bottiglia di Ballantines, uno scotch whisky diverso, giusto per ironica conferma alla chiusura
della trama gialla. Sebbene il mistero rimanga irrisolto: cosa era successo a
Vanina di tanto scandaloso e peccaminoso? Se pensiamo che, in fondo, Vanina era
stata paragonata implicitamente alla Madonna, nella gita a Monterchi, c’era
poco da scoprire. Perché dettagli pruriginosi a parte, c’era solo da accettarne
la verginità concettuale della ragazza: non a caso Sonia Petrova era praticamente
al suo primo film da protagonista, quindi vergine
come attrice.
Perché, come si è detto, Vanina è il cardine del film anzi, se
Daniele incarna la figura del regista sullo schermo, il personaggio
interpretato dalla Petrova è il cinema
secondo Zurlini. Un cinema bello, di una bellezza assoluta, pura, senza
giustificazioni o motivazioni; bello come un verso del Petrarca, per usare un
riferimento preso dalle parole del professore nel film. Ma questa bellezza
autentica, che è anche appariscente, gli viene contesa dal cinema più
commerciale, nel film interpretato da Gerardo e dalla sua Lamborghini. Mentre
Lea Massari, la donna di Daniele, con i suoi problemi esistenziali interpreta
simbolicamente il cinema impegnato,
il cinema socialmente militante che vorrebbe tenere al guinzaglio Daniele/Zurlini,
che invece ambisce alla libertà della purezza, ad un cinema che abbia la
vergine bellezza della Petrova. Contro l’anarchica presa di posizione di
Zurlini, che non vuole servire né il denaro (il cinema di cassetta) né l’elite culturale (il cinema che si proclama impegnato), si schiera anche la
tradizione cinematografica italiana, nel film interpretata da una ancora
aitante Alida Valli (la madre di Vanina). Un regista e il suo cinema: solo
contro gli interessi economici, politici e culturali dell’intero apparato
cinematografico italiano.
Spazzati via dal film italiano più bello di sempre.
Alida Valli
Lea Massari
Sonia Petrova AKA Sonia Petrovna
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