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giovedì 12 dicembre 2019

LA PRIMA NOTTE DI QUIETE

469_LA PRIMA NOTTE DI QUIETE ; Italia, Francia 1972Regia di Valerio Zurlini.

Nel 1984 uscì Il cinema italiano d’oggi di Faldini e Fofi (Mondadori) nel quale si può leggere un sorprendente commento di Valerio Zurlini sul suo film La prima notte di quiete. Il regista bolognese è caustico nei confronti del suo lavoro: non c’è niente di quello che ci doveva essere e Alain Delon, il protagonista, viene totalmente stroncato. Per l’autore, La prima notte di quiete è stata addirittura una tortura e, ad un certo punto, ha tirato dritto con l’unico scopo di finirlo. La cosa sorprendente di queste parole, al netto della libertà d’opinione, è che La prima notte di quiete è un vero capolavoro, un film splendido. E’ una situazione ai limiti del paradossale: un autore che quasi disconosce un’opera così bella e importante. Forse Zurlini nel frattempo era cambiato, e comunque nei giorni de La prima notte di quiete era in una situazione personale molto particolare: non aveva sfondato con i suoi lavori che pure avevano avuto successo (Estate violenta, 1959, Cronaca familiare, 1962), e i successivi passi falsi al botteghino (Le soldatesse, 1965, Seduto alla sua destra, 1968) lo avevano probabilmente reso troppo disilluso. Fossimo oggi nei primi anni 70, con l’autore giustamente rivalutato, Zurlini potrebbe anche essere stato soddisfatto della sua carriera fin lì: ottimi film, con qualche successo e qualche fiasco; ma non sempre il pubblico in sala è un giudice attendibile per la qualità delle opere. Al tempo, però, il regista bolognese non aveva di che rallegrarsi: i suoi progetti ambiziosi non riusciva a portarli a termine e le opere realizzate, nonostante la qualità, non gli avevano dato la considerazione che avrebbe meritato. 

La prima notte di quiete, (che è un verso preso da Goethe che definisce la morte come sonno senza sogni) è un po’ il punto della situazione, come si intuisce non troppo allegra, di Zurlini e del suo cinema. Il protagonista, Daniele Dominici (Delon, come già accennato)  è una sorta di alter-ego dell’autore: se ne va in giro con il suo cappotto cammello, un po’ trasandato, incurante delle opinioni altrui. E’ un peccato che Zurlini abbia detestato in quel modo l’attore francese che, da parte sua, sfodera una prestazione superlativa. 

Delon, oltre ad interpretare metalinguisticamente la figura di Zurlini è, sempre in tema metalinguistico, una sorta di ambasciatore di un certo cinema francese (tipo quello degli ultimi polar di Jean Pierre Melville), che sono in questo caso uno dei riferimenti per l’autore bolognese. Daniele che cammina sul lungomare riminese invernale ricorda infatti gli eroi disillusi di Melville. Ma le note più personali di Zurlini non tardano a saltare fuori, prima fra tutte quella politica: “per me neri o rossi siete tutti uguali; i neri solo più cretini” commenta aspramente Daniele in classe. Il professore esprime in modo netto la sua (e quella del regista) estraneità alla contestazione, alla lotta politica, ma anche solo alla militanza a sinistra, cose che furoreggiavano al tempo. Nell’astio delle parole del personaggio, la conferma del timore, da parte di Zurlini, che sia stato proprio l’essere neutrale in termini politici il maggior freno alla sua carriera; un’idea nemmeno troppo estemporanea, osservando quanto l’intellighenzia italiana sia stata influente, specialmente in quel frangente storico. 


In ogni caso La prima notte di quiete è un condensato di tutte le influenze di Zurlini, e non solo in campo cinefilo. Oltre alla fredda malinconia dei polar, condita dal desolato assolo di tromba di Maynard Fergusson, il clima è reso meno plumbeo dai vitelloni felliniani: Giorgio Mosca detto Spider (Giancarlo Giannini), Marcello (Renato Salvadori) e Gerardo (Adalberto Maria Merli). E’ un allegria di facciata che non scalfisce minimamente l’umore di Daniele che, al contrario, si invaghisce dalla dolente bellezza di una delle sue alunne, Vanina (una splendida e indimenticabile Sonia Petrova). I riferimenti spaziano però oltre l’orizzonte cinematografico: già il titolo ispirato, come accennato, a Goethe. 


E poi il Manzoni, con il tema la contrapposizione di purezza e peccato nel mondo di Alessandro Manzoni, che Vanina è l’unica in classe a scegliere; proprio lei che incarna la purezza della bellezza e il peccato inconfessabile (e che rimarrà inconfessato). La visita a Monterchi, occasione per vedere l’affresco della Madonna del parto di Piero della Francesca è un’ulteriore occasione, per Daniele e Vanina, di riflettere sul concetto di purezza e, in questo caso, di assenza del peccato. Tutto ruota intorno a Vanina che, mano a mano che la trama si dipana, rivela proprio questa natura pura e, al contempo, peccaminosa. 

Zurlini è magistrale, in questa fase, nell’uso metalinguistico del media cinema, anche perché poi si capirà che è proprio il suo cinema ad essere al centro della questione. Ma per il momento c’è un melodramma, con Daniele che insidia Vanina che è la ragazza del gigolò del quartiere, Gerardo. Questo è forse il terreno in cui il regista bolognese ha mostrato i suoi momenti più memorabili, basti pensare alla scena del ballo in Estate violenta sulle note di Temptation; in La prima notte di quiete Zurlini fa addirittura meglio. Spider, Daniele, Marcello, Elvira (Nicoletta Rizzi) e qualche altro del gruppo vanno a far serata in una sala da ballo. 

Daniele scorge subito Gerardo in pista; con lui c’è Vanina. Il pomeriggio la ragazza l’aveva passato con Daniele che certo non si aspettava di vederla ora proprio lì. Baciare Gerardo, poi. E’ un duro colpo e Delon, uomo certamente avvezzo a sviluppi ben differenti nei rapporti con l’altro sesso, è bravissimo nel mostrare il professore in preda ai propri sentimenti. Il respiro tenuto forzatamente e apparentemente calmo, mentre il petto che si alza e si abbassa ritmicamente tradisce il nervosismo e la frustrazione dell’uomo. Vanina balla, scuote i lunghi capelli, tira indietro la testa mentre ad occhi chiusi si lascia andare al ritmo della discomusic.

 Poi la musica cambia, è il momento clou di La prima notte di quiete, Ornella Vanoni attacca Domani è un altro giorno e, in effetti, quasi letteralmente, il cinema italiano non sarà più lo stesso. La canzone, che ha nel titolo un evidente rimando cinematografico risalente a Via col vento, rende il favore al cinema diventando ben più della colonna sonora del passaggio più intenso del cinema di Zurlini. Ora Vanina si abbraccia a Gerardo per il romantico lento; Daniele, se non fosse per il ritmico e lieve movimento del petto, è impietrito. La ragazza è completamente assorta dalla melodia, dalle parole, dal momento quando, ballando, si volta e vede Daniele. Alle luci psichedeliche è questione di un attimo, ma anche lei subisce il colpo. 

Nessun cenno, soltanto una mano che si stringe quasi come una sorta di muta imprecazione mentre il volto della ragazza si nasconde tra le braccia di Gerardo. Un altro mezzo giro e ora Gerardo, che sembra essere consapevole della presenza di Daniele e di quanto ci possa essere stato quel pomeriggio, mentre lo guarda sornione, gli strizza l’occhio. Delon è sempre una statua, ma Daniele, il protagonista del film, è anche Zurlini, che risponde in vece dell’attore francese, con un ombra creata dalle luci stroboscopiche che nasconde per un attimo soltanto un occhio del volto del suo personaggio, replicando così all’occhiolino di Gerardo. E’ un raffinato tocco di classe di Zurlini che contende, in questo passaggio, la paternità del personaggio all’attore francese fin sullo schermo. Il passaggio è cruciale perché nello spazio della canzone della Vanoni, vengono chiariti, a noi e tra di loro, i ruoli dei classici tre elementi del triangolo sentimentale. 

Sul momento Daniele ne esce distrutto; emblematica la sintesi acida di Elvira, rosa dalla gelosia visto che sull’uomo ha messo gli occhi: ti sei bevuto un bicchierino di merda. In realtà, il tema del bere, viene utilizzato da Zurlini per introdurre un altro motivo cinematografico nella sua analisi metalinguistica. La prima notte di quiete è del ’72 e, in Italia, furoreggia il thriller all’italiana, quello capeggiato da Dario Argento, per intenderci. Zurlini appartiene ad un altro tipo di cinema, più classico all’interno della produzione italiana ma, sembra quasi dirci, visti gli scarsi riconoscimenti dovrei forse buttarmi anch’io sul giallo. Qui entra in gioco il discorso sul bere, in particolare sul whisky.


Il thriller all’italiana nel suo riprendere i toni dell’industria hollywoodiana, ha (quasi) sempre ambientato le sue storie nell’alta borghesia, in lussuosi appartamenti situati nelle grandi città del nord del paese. Il cinema americano di genere era spesso ambientato a New York o comunque in contesti urbani; lo stesso provava a fare quello italiano. Uno dei simboli di questa ostentata emancipazione italiana era il whisky, da bere al posto del vino, troppo legato all’origine campagnola della nostra tradizione. E una marca in particolare, il notissimo J. & B. diventerà una presenza ossessiva e immancabile in ogni film di genere italiano (e non solo). 

Zurlini, quasi ci scherza, con questi cliché divertenti ma effettivamente niente più che curiosi; in apertura del film vediamo una bottiglia di Glen Grant: whisky si, ma di un’altra marca. La prima notte di quiete non è mica un film di genere verrebbe da dire. Ma poi, quando la traccia melodrammatica della storia tra Daniele, Vanina e Gerardo si tinge di giallo, e tutti continuano a parlare di qualcosa di misterioso e peccaminoso nel passato della ragazza, ecco che il J. & B., con la sua scritta rossa sull’etichetta gialla e la bottiglia verde, salta fuori eccome. Zurlini insiste: c’è un mistero, intorno a Vanina, tutti ne sono a conoscenza, tranne Daniele, naturalmente. Il regista è in grado benissimo di reggere un thriller malinconico e cominciamo davvero ad essere curiosi sul mistero da sciogliere. Intanto il J. & B. è onnipresente e lubrifica abbondantemente l’intrigo. 

Tuttavia, quando, nel finale, si è capito che quella del thriller era una falsa pista, spunta una bottiglia di Ballantines, uno scotch whisky diverso, giusto per ironica conferma alla chiusura della trama gialla. Sebbene il mistero rimanga irrisolto: cosa era successo a Vanina di tanto scandaloso e peccaminoso? Se pensiamo che, in fondo, Vanina era stata paragonata implicitamente alla Madonna, nella gita a Monterchi, c’era poco da scoprire. Perché dettagli pruriginosi a parte, c’era solo da accettarne la verginità concettuale della ragazza: non a caso Sonia Petrova era praticamente al suo primo film da protagonista, quindi vergine come attrice. 

Perché, come si è detto, Vanina è il cardine del film anzi, se Daniele incarna la figura del regista sullo schermo, il personaggio interpretato dalla Petrova è il cinema secondo Zurlini. Un cinema bello, di una bellezza assoluta, pura, senza giustificazioni o motivazioni; bello come un verso del Petrarca, per usare un riferimento preso dalle parole del professore nel film. Ma questa bellezza autentica, che è anche appariscente, gli viene contesa dal cinema più commerciale, nel film interpretato da Gerardo e dalla sua Lamborghini. Mentre Lea Massari, la donna di Daniele, con i suoi problemi esistenziali interpreta simbolicamente il cinema impegnato, il cinema socialmente militante che vorrebbe tenere al guinzaglio Daniele/Zurlini, che invece ambisce alla libertà della purezza, ad un cinema che abbia la vergine bellezza della Petrova. Contro l’anarchica presa di posizione di Zurlini, che non vuole servire né il denaro (il cinema di cassetta) né l’elite culturale (il cinema che si proclama impegnato), si schiera anche la tradizione cinematografica italiana, nel film interpretata da una ancora aitante Alida Valli (la madre di Vanina). Un regista e il suo cinema: solo contro gli interessi economici, politici e culturali dell’intero apparato cinematografico italiano.
Spazzati via dal film italiano più bello di sempre. 



Alida Valli


Lea Massari





Sonia Petrova AKA Sonia Petrovna








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