471_ROCKY II ; Stati Uniti 1979. Regia di Sylvester Stallone.
Sebbene perfettamente comprensibile da un punto di vista del
riscontro economico, il ripescaggio della storia del pugile Rocky Balboa, dopo
il primo riuscito film, è una sorta di tradimento
cinematografico. Rocky, il primo
episodio, è un film compiuto proprio
nel suo essere unico, nel suo raccontare la storia d’amore tra Rocky e Adriana;
che si risolve, positivamente, nell’emozionante, anche se retoricamente
sdolcinato, finale. E il senso di tutta quella storia è quel finale, il coronamento di un sogno romantico un po’ ingenuo,
di un uomo che deve trovare il rispetto di se stesso per potersi dichiarare
alla donna che ama. Gli ostacoli sono amplificati dall’ambiente disagiato da
cui proviene, dalla sua scarsa cultura o dalle difficoltà a trovare un impiego;
ma l’eroe può farcela se crede in se stesso e se c’è la donna che ama che crede
in lui. Il cerchio si chiude quando, realizzatosi come uomo, l’eroe può
dichiararsi all’amata. Questo era, in estrema sintesi, il senso stretto del
primo Rocky. Per andare oltre,
occorre una profondità che Stallone, come scrittore ma anche come interprete,
non ha. Con queste premesse Rocky II
non poteva essere un film che funzionasse, e infatti non funziona quasi niente:
la storia sentimentale non gira, l’aspetto sociale nemmeno, c’è un minimo di
interesse per l’effimera condizione di chi ha raggiunto l’apice e dopo si vede
dimenticato troppo in fretta, ma è poca roba. Al limite del blasfemo i
riferimenti pugilistici: qui della noble
art non c’è niente di nobile e nemmeno di artistico, si tratta di scazzottate
degne dei film di Bud Spencer o poco più. Anche non si può negare come sia da
questo secondo episodio che si stagli in modo nitido l’aspetto più interessante
della saga dei film di Rocky: quello liturgico.
E allora, in questo senso, appare coerente e funzionale il ripetersi
ossessivamente degli stessi passaggi narrativi, le stesse situazioni, le stesse
sensazioni. Le lievi modifiche, da un episodio all’altro, sono sufficienti a
giustificare una nuova visione e, al contempo, permettono allo spettatore di
rivivere le stesse emozioni.
Più che un film, un rito, una celebrazione: ogni epoca ha
il suo messia.
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