476_IL CASO PARADINE (The Paradine Case); Stati Uniti, 1947. Regia di Alfred Hitchcock.
A suo modo, Il caso
Paradine è un film emblematico. Certo, pur essendo un film di Alfred
Hitchcock, non può davvero essere portato come esempio per rappresentare al meglio il
cinema del genio inglese. Il regista, quando riesce nel suo intento, sforna
capolavori; e questo The Paradine case
non è un capolavoro e nemmeno un film riuscito. E’ un’opera che arranca un po’,
fatica a trovare la strada maestra e, alla fine, se vogliamo dirla tutta, nemmeno
la trova. Rimane l’idea che la storia c’era, ma troppi particolari non hanno
funzionato. Si è saputo che, in corso d’opera, Hitchcock e il produttore David
O. Selznick siano andati in disaccordo, e che la pellicola sia stata fortemente
influenzata da quest’ultimo, contemporaneamente ad un certo disamore per la
stessa da parte del regista. Stando alle indiscrezioni ci sarebbe da pensare
che sia un film da cestinare per intero; si riporta, a mo’ di esempio
dell’improvvisazione che regnava in fase di produzione, che il titolo
definitivo (The Paradine case) sia
stato trovato talmente all’ultimo minuto da non aver il tempo di scriverlo nei
titoli di testa con i caratteri gotici che caratterizzano gli altri credits. Niente di drammatico, per
carità, ma si tratta di un’opera del produttore di Via col vento e del regista di Notorious,
tanto per citare un paio dei loro titoli: certe improvvisazioni non sembrano
farina del loro sacco migliore. Nonostante Selznick sia autore anche della
sceneggiatura e nella realizzazione abbia fatto valere tutto il potere
derivante dall’essere il produttore dell’opera, e nonostante il contemporaneo
calo di interesse del regista, il film rimane un Hitchcock, perlomeno nel senso che quello che c’è di buono
rivela la mano dell’autore inglese.
Per questo motivo Il caso Paradine è un film emblematico: perché dimostra in modo
limpido come la sublime arte del regista riesca a rimanere impressa sulla
pellicola anche nelle condizioni a lui più sfavorevoli. Alida Valli, che
interpreta la signora Paradine, sospettata di aver avvelenato il marito, è
perfetta nel ruolo della donna hitchcockiana:
bellissima, ma al tempo stesso inquietante. Il regista, pur non innamorandosene
come ha fatto con Ingrid Bergman in Notorious,
le rende giustizia con alcune inquadrature che ne esaltano il fascino ma anche
l’ambiguità, insinuando al contempo nello spettatore addirittura un certo
timore.
Gregory Peck, l’avvocato Keane, recita con la solita presenza, e
l’apparente rassicurante certezza di essere nel giusto, che l’attore trasmette
in modo naturale, risulta congeniale al colpo di scena finale. Bene anche Ann
Todd nel ruolo della moglie di Keane; schiacciata dalla situazione, con la
rivalità impari con Mrs. Paradine, tiene un profilo basso. Le manca un po’ di
pepe, questo è vero, ma limita abbastanza bene i danni in un ruolo che forse avrebbe
richiesto qualcosa di più non solo dalla sua recitazione. E’ infatti
protagonista di uno dei momenti topici della storia, ovvero quando il giudice
Horfield (un untuoso e sontuoso Charles Laughton) ci prova con lei, in modo
abbastanza sfacciato alla presenza del marito e di altri commensali.
Proprio
Horfiled è forse il personaggio più interessante: giudice che pare godere nel
far condannare o comunque dirigere a piacimento il processo, si dimostra
tutt’altro che moralmente integerrimo. Si può quindi dire che nel complesso Il caso Paradine sia una buona prova di
attori, sebbene Louis Jourdan nel ruolo di Latour, non abbia dato risalto (ma
pare ci siano stati problemi anche con la censura) all’aspetto torbido della
vicenda, che rimane solo intuibile e poco efficace.
Molto bene le riprese del processo: l’avvincente dibattito
in aula si svolge nell’ambiente geometrico e simbolico del tribunale dove
vengono esaltate le capacità e la tecnica di ripresa di Hitchcock.
Insomma, un film non riuscito, ma dove il talentuoso regista
coglie ugualmente le occasioni per lasciare le zampate tipiche del suo genio
cinematografico.
Ethel Barrymore
Alida Valli
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