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lunedì 23 dicembre 2019

CENTO GIORNI A PALERMO

480_CENTO GIORNI A PALERMO ; Italia, Francia, 1984Regia di Giuseppe Ferrara.

Da un punto di vista cinematografico, Cento giorni a Palermo rischia di lasciare un po’ freddo lo spettatore. Lo stile del regista Giuseppe Ferrara è, come altre volte, asciutto e documentaristico; ma, visto il tema, un avvenimento cruciale della nostra recente storia, questo ci può stare benissimo. Forse, ad ingessare ulteriormente la mano di Ferrara, è l’eccessiva vicinanza tra i fatti, che risalivano al 1982, e l’uscita del film, di soli due anni successiva. Il poco tempo trascorso dall’efferato omicidio del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa (Lino Ventura) e della moglie Emanuela (Giuliana De Sio), non ha forse permesso un’analisi più approfondita e il film, in sostanza, è praticamente la semplice cronistoria dei fatti occorsi. Il che non sarebbe certo un male, di per sé, ma la partecipazione emotiva dello spettatore viene così sollecitata soltanto dalla natura degli eventi stessi, oltre che dal ricordo di quello che suscitò l’accadimento a suo tempo. Da questo punto di vista può essere una scelta legittima da parte dell’autore per evitare di sovraccaricare di pathos una vicenda già dolorosissima di suo. E’ forse lo stile televisivo, unito alle prestazioni d’attore poco omogenee tra loro e forse anche poco adatte al tema, a tradire poi nel computo del risultato complessivo. L’idea di inserire spezzoni di riprese da filmati reali, con i personaggi storici, non è certo criticabile in sé, anche se alimenta l’impressione di un prodotto disomogeneo, caratteristica che, per altro, potrebbe essere congeniale alla forma documentaristica che caratterizza l’opera. Ma che mal si concilia, da un certo punto di vista, alle interpretazioni di Ventura e della De Sio. Il grande Lino sa il fatto suo ma, in un ruolo di grande rilievo biografico, mette forse troppa enfasi nella recitazione, risultando non più il mitico character dei polar ma nemmeno un Dalla Chiesa proprio credibilissimo. 




Che poi, il suo stile, la sua classe, salverebbe comunque il risultato, se non fosse che la presenza accanto a lui di una Giuliana De Sio davvero inappropriata, ma inappropriata in un modo ulteriormente diverso, finisca per vanificare anche gli sforzi del buon Lino. L’attrice salernitana è forse la vera nota stonata dell’opera che, vertendo su una serie di equilibri precari già di suo, rischia così perfino di franare. Ma, alla fine, la professionalità di Ferrara, l’importanza di un tema come quello della lotta alla mafia, le puntuali ricostruzioni, le critiche che il regista militante non lesina alla società e alla politica, il rilievo storico dei personaggi coinvolti, sono tutti elementi che salvaguardano il risultato finale.    




          

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