CENTO GIORNI A PALERMO
480_CENTO GIORNI A PALERMO ; Italia, Francia, 1984. Regia di Giuseppe Ferrara.
Da un
punto di vista cinematografico, Cento giorni a Palermo rischia
di lasciare un po’ freddo lo spettatore. Lo stile del regista Giuseppe Ferrara
è, come altre volte, asciutto e documentaristico; ma, visto il tema, un
avvenimento cruciale della nostra recente storia, questo ci può stare
benissimo. Forse, ad ingessare ulteriormente la mano di
Ferrara, è l’eccessiva vicinanza tra i fatti, che risalivano al 1982, e l’uscita
del film, di soli due anni successiva. Il poco tempo trascorso dall’efferato
omicidio del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa (Lino Ventura) e della moglie
Emanuela (Giuliana De Sio), non ha forse permesso un’analisi più approfondita e
il film, in sostanza, è praticamente la semplice cronistoria dei fatti occorsi.
Il che non sarebbe certo un male, di per sé, ma la partecipazione emotiva dello
spettatore viene così sollecitata soltanto dalla natura degli eventi stessi,
oltre che dal ricordo di quello che suscitò l’accadimento a suo tempo. Da questo
punto di vista può essere una scelta legittima da parte dell’autore per evitare
di sovraccaricare di pathos una vicenda già dolorosissima di suo. E’ forse lo
stile televisivo, unito alle prestazioni d’attore poco omogenee tra loro e
forse anche poco adatte al tema, a tradire poi nel computo del risultato
complessivo. L’idea di inserire spezzoni di riprese da filmati reali, con i
personaggi storici, non è certo criticabile in sé, anche se alimenta
l’impressione di un prodotto disomogeneo, caratteristica che, per altro,
potrebbe essere congeniale alla forma documentaristica che caratterizza
l’opera. Ma che mal si concilia, da un certo punto di vista, alle
interpretazioni di Ventura e della De Sio. Il grande Lino sa il fatto suo ma,
in un ruolo di grande rilievo biografico, mette forse troppa enfasi nella
recitazione, risultando non più il mitico character dei polar ma
nemmeno un Dalla Chiesa proprio credibilissimo.
Che poi, il suo stile, la sua
classe, salverebbe comunque il risultato, se non fosse che la presenza accanto
a lui di una Giuliana De Sio davvero inappropriata, ma inappropriata in un modo
ulteriormente diverso, finisca per vanificare anche gli sforzi del buon Lino.
L’attrice salernitana è forse la vera nota stonata dell’opera che, vertendo su
una serie di equilibri precari già di suo, rischia così perfino di franare. Ma,
alla fine, la professionalità di Ferrara, l’importanza di un tema come quello
della lotta alla mafia, le puntuali ricostruzioni, le critiche che il regista
militante non lesina alla società e alla politica, il rilievo storico
dei personaggi coinvolti, sono tutti elementi che salvaguardano il risultato
finale.
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