465_GLI ULTIMI GIGANTI (The Last Hard Men); Stati Uniti, 1976. Regia di Andrew V. McLaglen.
Il regista Andrew V. McLaglen, non poteva che essere uno
specialista del genere western, essendo figlio di quel Victor McLaglen che
ricordiamo, tra gli altri ruoli, come il sergente Quincannon nei film della cavalleria
di John Ford. E pare che fu appunto frequentando i set del grande maestro
americano che il giovane McLaglen fece conoscenza con il mondo del cinema, per
arrivare alla sua prima regia, un western, manco a dirlo, Il vendicatore dell’Arizona, nel 1956. Per completare il pedigree
western di questo regista bisogna anche aggiungere che diresse nientemeno che
cinque film di John Wayne, di cui quattro ambientati nell’epoca della conquista
del west. Insomma, Andrew V. McLaglen non era uno sprovveduto, in fatto di
western, sebbene vada riconosciuto che non abbia mai dimostrato una stoffa
d’autore particolarmente pregiata. In ogni modo, con i presupposti elencati, e con le sue
indubbie qualità professionali, questo figlio d’arte era in grado di cavar
fuori quasi sempre un film onesto e godibile. L’impostazione classica, che gli
derivava dal suo trascorso, rimarrà comunque in parte visibile anche in film tardi, per il genere, come Gli ultimi giganti, perlomeno nella
messa in scena o nella scelta della fotografia. Quello che verte sullo scontro
tra il capitano Burgade (Charlton Heston) e Provo (James Coburn) è un western
crepuscolare dove lo stadio ormai terminale del genere è incarnato dalle figure
dei protagonisti che sono due vecchi nemici decisi a saldarsi il conto reciprocamente.
La violenza di alcune situazioni e la presenza di personaggi davvero sgradevoli
tiene conto delle innovazioni degli spaghetti western nel genere, ma McLaglen si mantiene, in definitiva, entro canoni
abbastanza consoni alla tradizione. Già l’impostazione che poggia su due attori
come Heston e Coburn è una garanzia: se il primo è il solito eroe del west
tutto d’un pezzo che non si rassegna alla vecchiaia, il secondo è uno spietato
mezzosangue che trasuda malsano carisma da ogni poro della pelle.
La presenza
di Barbara Hershay (è Susan, la figlia di Burgade), con la sua bellezza moderna, è
un elemento che fa deragliare un po’ la storia oltre i limiti, quando Provo la
concede in pasto ai suoi scagnozzi
per provocare e far uscire allo scoperto il rivale. Tuttavia il regista se la
cava col mestiere e le scene, pur se piuttosto violente e scabrose, non scadono
mai nel gratuito. Nel finale, in ossequio all’istruzione classica di McLaglen, tutto si ricompone, ma non certo
senza profonde cicatrici. Ma è il meno che possa capitare al western e in un western
nel 1976.
Barbara Hershey
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