465_LILLI E IL VAGABONDO (Lady and the Tramp); Stati Uniti, 1955. Regia di Hamilton Luske, Claude Geronimi e Wilfred Jackson.
Pare che la scelta di adottare il Cinemascope, lo schermo panoramico allora da poco in voga, sia
stata presa da Walt Disney non seguendo criteri artistici inerenti alla storia
da raccontare nel film, ma perché ritenuta
un’esigenza produttiva per stare al passo coi tempi. In effetti, il racconto in
questione, Lilli e il vagabondo,
appunto il primo classico di Walt Disney in formato Cinemascope, come pretese narrative, non è che richiedesse questo
grande spazio figurativo. Basta fare la conta dei personaggi: oltre a Lilli, la
cockerina protagonista, a Biagio, il vagabondo,
Whisky e Fido, i due cani vicini di casa, Gianni Caro e Tesoro, i padroni umani
di Lilli, Tony e Joe, i due ristoratori di origine italiana, e poi Zia Sara e i
suoi gatti siamesi, Si e Am, gli ospiti del canile, infine il ratto e ne
avanzano davvero solo pochi altri. Insomma, non c’è mai in scena una folla da
giustificare il grande spazio a disposizione. Oltretutto, la dimensione
panoramica comportò alcune difficoltà nella gestione dell’animazione, sia nel
modo in cui muovere i personaggi sullo sfondo sia per il fatto che non si
poteva usare a piacimento il primo piano per colmare lo schermo come avveniva
nel tradizionale formato 4/3. Naturalmente alla Disney gli animatori trovarono
tutte le soluzioni necessarie: gli sfondi di Lilli e il vagabondo sono magnifici e giustificano con la loro
bellezza lo spazio a disposizione e il maggior sviluppo orizzontale dello
schermo fu sfruttato in modo coerente con il testo da raccontare. Con una
storia incentrata sul punto di vista dei cani, lo schermo basso e allargato si
dimostrava infatti più confacente a protagonisti che stavano a quattro zampe,
mentre gli umani finivano così per restare con la loro parte superiore fuori
dall’inquadratura.
Il film, quindi, presenta un ribaltamento degli abituali
ruoli tra umani e cani, con un punto di vista che privilegia i secondi. E se è
vero che c’erano già stati animali antropomorfi nei cartoni animati, in questo
caso l’impostazione è leggermente diversa. Umani e cani sono rappresentati, pur
nello stile Disney, in modo realistico e, quando condividono la scena, i primi
parlano mentre i secondi abbaiano, guaiscono o ululano. Quando invece la scena
è appannaggio dei soli cani, e ciò costituisce la maggior parte della durata
del film, tra di loro i cani parlano. Questa incoerenza narrativa, tipica del
linguaggio infantile, elimina complicati espedienti narrativi senza inficiare
minimamente la funzionalità dell’opera.
Curiosamente se gli umani vengono in
genere inquadrati un po’ di sfuggita e dal basso, questo non accade con i due
ristoratori di origine italiana, che vengono ripresi normalmente e, oltretutto, si relazionano in modo più
naturale con la coppia di cani. Questo anche se nel passaggio in questione
viene mantenuto il doppio binario sui dialoghi per cui, quando Biagio abbaia qualcosa
nell’orecchio di Tony, l’uomo comprende l’ordinazione del cane, ma la cosa è
sorprendente. A questo proposito, è ovvio che si tratta del piatto di spaghetti
(con polpette di carne) che poi, mangiato da Lilli e Biagio, darà luogo alla
famosissima scena.
Ovvero quella in cui i due innamorati a quattro zampe si
troveranno a condividere l’identico spaghetto e la romantica cenetta culminerà
con il classicissimo bacio. Uno stratagemma simpatico che permette di
affrontare la cosa, l’elemento romantico in chiave concreta, in modo simpatico
e adeguato ad un film destinato (anche) ai bambini. Tornando al dialogo tra
Biagio e Tony, la stranezza della cosa è notata anche da Joe, il cuoco, che
chiede al suo principale come possa aver compreso il linguaggio canino. A parte
questo passaggio, se un primo ribaltamento di ruoli tra umani e cani prende quindi
una forma visiva in Lilli e il vagabondo,
ciò viene anche esplicitamente dichiarato più volte nel detto citato nel film, l’uomo
è il miglior amico del cane. Ovviamente si tratta di una divertente
interpretazione che già rovescia i termini rispetto a quanto abitualmente
conosciuto ma che, in ogni caso, Biagio vuole ulteriormente smentire.
La vena
sovversiva, davvero appena accennata, è però presente anche considerando che
Lilli è una cagnolina altolocata mentre Biagio è appunto un vagabondo. Vero è
che, nel finale, anche Biagio finisce per imborghesirsi, come dire che la
libertà è bella ma anche la vita famigliare ha i suoi lati positivi. Il
messaggio un po’ conformista conclusivo non inficia però l’impostazione
generale della storia, che aveva fin lì esaltato il vagabondo come personaggio quasi eroico. Diciamo che, in una storia
romantica e disneyana, è abbastanza prevedibile che l’amore trionfi anche sulla
voglia di libertà. Il tema è quindi abbastanza semplice e anche lo sviluppo
narrativo non si complica la vita più di tanto.
A livello di trama succede poco
e la storia procede anche grazie ai soliti intermezzi musicali, oltre che ad
alcuni divertenti passaggi narrativi, su tutti la folle incursione dei gatti
siamesi Si e Am che mettono a soqquadro la casa senza alcun ritegno. Insomma,
Disney va sul sicuro con una storia del filone romantico (in fondo Lilli è una
degna principessa della scuderia), ambientata più sul versante animale che non
su quello umano. Le piccole novità dell’operazione, ad esempio il ribaltamento
di ruoli tra cani e umani o l’uso dello schermo panoramico, inserite in modo
discreto, si notano forse poco, ma non per questo hanno meno efficacia.
L’evoluzione del cinema di animazione passa anche da passaggi erroneamente
spesso ritenuti minori. Come Lilli e il vagabondo: un classico, a
pienissimo titolo.
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