461_I DANNATI E GLI EROI (Sergeant Rutledge); Stati Uniti 1960. Regia di John Ford.
Ad un anno di distanza da Soldati a cavallo, John Ford ritorna ancora una volta su uno dei
temi a lui più cari, quello della cavalleria americana. Qualcosa di simile era
già successo una decina di anni prima, quando nel giro di tre anni sfornò la
famosa trilogia dedicata a questo valoroso corpo d’armata: evidentemente è un
argomento che il regista ritiene cruciale. In realtà, su I dannati e gli eroi verte una disputa diversa, ovvero se sia un
western oppure un giallo giudiziario: potremmo dire che il film ha la struttura
da film processuale, mentre i flashback che ricompongono il mosaico
investigativo sono western. E si tratta di una scelta curiosa, giacché Ford non
ha mai mostrato particolare interesse per i film d’investigazione, mentre è
riconosciuto come assoluto maestro del western. Le curiosità legate ai
presupposti di questo lungometraggio non sono però terminate, anzi, dobbiamo
ancora riportare la più evidente: il film ha, volenti o nolenti, per argomento
la questione razziale dei neri americani che, per un film ambientato
nell’epopea western, è un altro fatto insolito. Protagonista della pellicola è
infatti il Primo Sergente Rutledge (da cui il titolo originale Sergeant Rutledge) interpretato da un
magnifico Woody Stroode, sottoufficiale di colore del 9° Cavalleria, il famoso
reparto dei soldati bisonte, la cui
truppa era composta da soli afroamericani. Davvero un film particolare, quindi.
Tutti questi aspetti curiosi possono però avere una loro motivazione, se
analizzati nel loro insieme e non presi singolarmente. Cominciamo con la scelta
di Ford di ritornare ancora una volta sul tema della cavalleria: in Soldati a cavallo il regista si era
mostrato molto deluso e amareggiato e aveva praticamente rinnegato i valori
esaltati nella trilogia di dieci anni prima.
Poteva essere quella la sua ultima
parola su un tema così fordiano?
Evidentemente no. Però Ford rimane consapevole del tradimento che la realtà
storica aveva rivelato rispetto a quell’ideale romantico a cui lui aveva fatto
riferimento. E’ vero, la Storia
insegnava che la Cavalleria
si era macchiata di crimini atroci, ciononostante il corpo militare rimaneva
custode delle qualità apprezzate dal regista americano. Sarebbe bastato
soltanto trovare il contesto giusto per poterle mostrare: ed ecco il 9°
Cavalleria, il reparto dei neri americani. Quindi il tema portante dell’opera
rimane la Cavalleria ,
quel corpo militare che permette agli afroamericani di avere insieme ad un
ruolo nella conquista del west, un posto nella società americana.
Il
cameratismo, il senso di appartenenza e di fratellanza, quelli più alti
dell’onore e di giustizia, tutti i grandi valori fordiani trovano pieno
riscatto in questo I dannati e gli eroi.
Passando alla curiosa commistioni di generi, la funzione
della matrice gialla della pellicola soddisfa almeno due criteri: da un lato,
viene messo sotto accusa un sergente di cavalleria, un vero valoroso. Un po’
come venisse messa sotto accusa la Cavalleria stessa; del resto Soldati a cavallo, il precedente film di Ford sull’argomento, in
parte lo faceva. In secondo luogo, il ricorso all’uso del 9° Cavalleria
introduceva gioco forza l’aspetto razziale: ma qual’era l’origine del
pregiudizio verso i neri? Quale era la loro colpa, il loro peccato originale?
Un processo con assoluzione avrebbe simbolicamente riscattato sia l’onore della
cavalleria che quello degli afroamericani.
Il film ha un’impostazione insolitamente teatrale con
moltissime scene girate in ambienti chiusi, perlopiù nell’aula usata come
tribunale della corte marziale. Ma anche alcuni scenari esterni, ad esempio
l’area antistante la stazione ferroviaria, sono evidenti set di ripresa
utilizzati con luce notturna, con il risultato di rendere una certa
artificiosità nelle immagini. Ci sono poi molte scene ambientate nei luoghi
classici dei western fordiani della
Monument Valley: ma anche in questo caso, l’uso di colori eccessivamente saturi
e forti, finisce quasi per rendere il magnifico paesaggio uno sfondo posticcio
di un teatro di posa.
Insomma quello a cui si assiste sembra, più che un film
poetico aperto sugli scenari del west, un vero Manifesto, una rappresentazione al tempo stesso simbolica e
artificiale. Le scene sono spesso composte, con i personaggi disposti sullo
schermo, in genere in modo significativo. Il Sergente Rutledge è ripreso sempre
dal basso, per enfatizzarne la statura eroica oltre che fisica. Il corpo
dell’uomo è anche esibito nella scena in cui si trova solo con Mary (Constance
Towers) nella stazione: la prestanza fisica degli uomini di colore, e il suo
evidente richiamo sessuale, è uno dei temi dell’opera, essendo l’accusa più grave
ai danni del sottoufficiale quella di aver violentato una donna bianca. Questa
maggior rilevanza del reato di violenza sulla ragazza anche rispetto ai due
omicidi imputatigli (tra cui la stessa ragazza) è un elemento sottolineato dal
medico legale chiamato a testimoniare.
In questo senso ci sono poi i
riferimenti e le allusioni di Cordelia, la moglie del Colonnello Fosgate, presidente
della corte marziale: chiamata a deporre come testimone diretta, pur nella
classica ipocrisia benpensante, non lascia nulla da indovinare su quello che
ritiene possa essere il suo pensiero. Il tema razzista si muove però su due
binari: da una parte c’è la convinzione ferrea di Cordelia, delle sue dame di
compagnia, del medico legale, del pubblico ministero e della folla che vuole
linciare l’imputato; ovvero che Rutledge
sia colpevole fondamentalmente perché è un negro. Dall’altra c’è il pensiero liberal, che non è però libero del
tutto, come vorrebbe il nome, dal pregiudizio.
Innanzitutto abbiamo il
comportamento di Mary, la ragazza che viene salvata proprio da Rutledge: ritrovatasi
sola in una stazione ferroviaria sperduta nel deserto, rinviene il capostazione
ucciso da una freccia. Viene dall’est, ma è natìa di questi luoghi, quindi sa
bene cosa significa. A questo punto interviene un sottoufficiale della
cavalleria, ma la ragazza non ne sembra particolarmente rassicurata. Mentre lui
si premura di nascondere il cadavere alla sua vista e di pulire il sangue sul
pavimento, lei lo guarda con sospetto; si accorge che è ferito, ma quando lui
le chiede del whiskey (teniamo presente che è un marcantonio di un metro e
novanta e siamo nel far west) la ragazza pare turbata.
Viene da chiedersi:
fosse stato un bianco, avrebbe avuto la stessa reazione? Questa forma di
razzismo strisciante è presente anche nel comportamento del protagonista bianco
del film, ovvero il Tenente Cantrell (Jeffrey Hunter), amico di Rutledge ma
riluttante ad ammettere di aver fiducia nell’uomo. Anche nei dialoghi tra il
tenente e il sergente, soprattutto all’inizio, emerge questa difficoltà
dell’ufficiale a credere all’innocenza dell’uomo (di colore), pur avendone la
massima stima. Poi pare che lo stesso regista cada vittima di questa forma
latente di razzismo, ossia di considerare diversi
gli uomini di colore, e quindi necessari di precauzione quando si parla di loro
e della loro condizione. Gli uomini del 9° Cavalleria erano conosciuti dagli
indiani con il nome di Soldati bisonte
(Buffalo soldiers) e questo perché i
capelli crespi dei neri ricordavano questi bovini. Si consideri che non c’era alcun disprezzo in questo appellativo, in quanto per i pellerossa il bisonte è un animale sacro. Nel film, il tenente Cantrell per questo soprannome offre invece a Mary una spiegazione edulcorata e alternativa, basata su una presunta somiglianza dei vestiti invernali dei soldati del 9°. Un cattivo lavoro, questo passaggio del film di Ford, forse il vero difetto dell’opera: primo perché è un dettaglio inutilmente falso, e poi perché dimostra un pericoloso e diplomatico timore del regista nell’affrontare l’argomento razziale.
A parte questo piccolo scivolone, il film è ben congegnato
sia dal punto di vista della trama gialla che dall’aspetto drammatico, con un
passaggio davvero commovente quando viene chiamato alla sbarra proprio il
sergente Rutledge.
Come sempre, in Ford, gradevole il supporto sonoro con la canzone Captain Buffalo nei titoli di testa e
cantata anche dai militari in onore del Primo Sergente Rutledge.
Onore pienamente meritato.
Costance Towers
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