482_AVVENNE DOMANI (It Happened Tomorrow); Stati Uniti, 1944. Regia di René Clair.
Gli Stati Uniti, per larga parte del XX secolo se non
interamente, furono la culla dell’ottimismo, ben sintetizzata dal Sogno Americano. Questo sguardo positivo
verso il futuro, simbolicamente rappresentato dal tipico umile individuo che si
giocava le sue chance pur partendo dal basso della scala sociale, furono un
terreno fertile per l’opera del francese René Clair. Emigrato negli States a causa della guerra, Clair trova
un’ottima sintonia con il sistema produttivo hollywoodiano. La ricerca della
perfezione formale ha la sponda ideale nella superba efficienza degli studios americani, mentre la sua
proverbiale attenzione ai personaggi popolari si esprime, in Avvenne… domani, nelle vicende di un
cronista, inizialmente non certo affermato, del giornale della sera. E la sua
inclinazione al fantastico, trova in
quell’ottimismo un po’ fanciullesco dell’America del tempo il terreno migliore:
nonostante i tempi nefasti, era infatti in corso la seconda Guerra Mondiale,
negli Stati Uniti persisteva, in un certo senso, una positività e una fiducia
nel futuro che poteva permettere di credere, almeno al cinema, a storie che
erano di puro svago e fantasia. E’ forse difficile da immaginarlo oggi ma, per
avere un’idea della differente predisposizione comune, basta fare un confronto
con un genere che nel fantastico ha sempre attinto a piene mani: la
fantascienza, nel XX secolo ha raccontato le più mirabolanti avventure, mentre
oggi è declinata al catastrofismo, sia esso climatico o di altro tipo. Per un
autore come René Clair, l’America di quel tempo era quindi un terreno ideale
per ambientare le sue perfette commedie percorse da una leggera vena
fantastica.
Come in Avvenne…
domani, un film che si prende il lusso di giocare e farsi beffe di uno dei
dogmi della narrativa nonché della nostra realtà: il tempo. Intanto, tutto
quanto il film è un flashback, ma
questo è un escamotage narrativo noto e comunque fondato sulla natura stessa
del raccontare (in modo filmico e non). Un racconto di un fatto avvenuto, nel
momento in cui qualcuno lo narra, ha la stessa natura del flashback, ovvero è un salto indietro nel tempo. Niente di strano,
quindi, nel flashback che segue il prologo di Avvenne… domani; possiamo semmai registrare come sia proposto in
modo naturale (nel senso di ovvio) che i protagonisti, Lawrence Stewens (Dick Powell) e Sylvia Smith
(Linda Darnell), abbiano fatto decisamente fortuna, e questo è da ricollegare
al discorso sull’ottimismo del XX secolo di cui si diceva.
Dopo l’incipit
ambientato nella contemporaneità, il racconto si sposta agli inizi del secolo;
in pratica viene ipotizzato che il presente sia il futuro della nostra storia,
una storia che sappiamo quindi avere un lieto fine sentimentale (le nozze d’oro
dei protagonisti) ed economico (il lussuoso ricevimento). Si può notare come il
fantastico argomento del film, ovvero aggirare i rigorosi divieti del tempo, si
iscriva in un racconto che svela sin da subito la principale incognita (il
futuro) legata ad esso. Non solo nella storia del film Lawrence, che fa il
cronista, riceverà per tre volte
l’edizione del giorno dopo del suo giornale, potendo così prevedere gli
avvenimenti futuri, ma il suo stesso destino, inteso più in linea generale, è a
noi già conosciuto. La natura giocosa dell’opera è così chiarita sin da subito;
il prologo evita che si possa temere per la vita del protagonista, anche quando
il giornale ne abbia previsto la morte. Il fine,
il senso, del film, è così smontato da Clair, che ci invita a preoccuparci del come ci si arrivi, a quel finale. Per
questo è forse utile far riferimento all’ottimismo dell’epoca; perché forse soltanto
una cieca fiducia in un futuro prospero può permettere di concentrarci
unicamente sul racconto, sul suo dipanarsi, piuttosto che sul senso e le
conseguenze di quello che accade.
E nelle pieghe del racconto, Avvenne… domani ha la sua forza:
perfettamente strutturato (prologo e tre atti) e sceneggiato, il film è una
concatenazione anche prevedibile, anzi spesso inevitabilmente prevedibile, di
passaggi obbligati, eppure, anzi, proprio per questo, perfettamente funzionali
alla messa in scena complessiva. Un enorme ingranaggio, in cui l’elemento
fantastico, le tre edizioni del giornale del giorno successivo recapitate a
Lawrence, sono l’equivalente dei tre desideri del genio della lampada; servono
cioè a mettere in moto e ricaricare il meccanismo. Il carisma di Powell, il
fascino della Darnell, la simpatia di Jack Oakie (lo zio Oscar) sono il
lubrificante che permette alla commedia di dipanarsi nel concatenamento degli eventi senza alcun attrito o forzatura, guidata, in questo, dalla sicura mano
di un regista del calibro di Clair.
Per essere un film americano, sorprende
l’assenza di una linea morale interna al racconto: tutto il film verte su una
truffa, sostanzialmente, che diventa particolarmente evidente quando i nostri
vincono alle scommesse sulle corse di cavalli conoscendo già il risultato. Non
c’è mai nessun rimando all’aspetto poco limpido di queste operazioni, che anzi vengono
enfatizzate. E’ una commedia, non propriamente un film comico, laddove Stanlio
e Ollio, ad esempio, potrebbero anche provare un simile stratagemma per gabbare
l’allibratore, con la certezza, da parte del pubblico, che poi tutto andrebbe
in malora per la natura stessa delle comiche del duo. Qui l’esito è
sostanzialmente lo stesso, i soldi svaniscono anche se non si sa come; c’è
forse l’intenzione di lasciare aperta la sponda alla natura fantastica del
testo. E se proprio in questo passaggio potremmo vederci l’ avvertimento morale
da parte degli autori, questo è tenuto debitamente sottotraccia: forse che il
candore e la spensieratezza del gioco cinematografico non debba venir
disturbato da questi noiosi scrupoli? Da cui si potrebbe concludere che la
perfezione formale del film lo rende autosufficiente, non ha cioè bisogno di messaggi o morali della favola, per
giustificarsi.
Come anche da un punto di vista della logica narrativa, dove
Lawrence fa di tutto per non andare all’Hotel dove ha letto che verrà ucciso,
eppure proprio là lo condurrà il suo tentativo di tenersene distante. E se il coraggio di affrontare i
pericoli più svariati gli deriva dalla consapevolezza che morirà in altro modo,
nel momento cruciale è proprio la paura di lasciarci le penne che lo salverà.
Insomma, come anche per il tempo, anche i meccanismi narrativi della storia
sono autosufficienti e non hanno bisogno di pretesti esterni che non siano i
presupposti di base della stessa. Avvenne…
domani già dalla chiusura su sé stesso di quello che di fatto è il cortocircuito di
termini del titolo, è un film che esprime la poetica di René Clair: il cinema
senza bisogno d’altro.
Linda Darnell
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