372_COME SPOSARE UN MILIONARIO (How marry a millionaire). Stati Uniti, 1953. Regia di Jean Negulesco.
Come sposare un
milionario è un film curioso, certamente non una pietra miliare del cinema,
ma ci pone alcuni spunti di riflessione, il primo dei quali è, almeno in ordine
cronologico, l’incipit con la ripresa dell’orchestra. I musicisti vengono filmati
mentre suonano, e viene spontaneo domandarsi il perché di una scena tanto
lunga. Forse la risposta ce la danno i titoli di testa, quando ci annunciano
che il film è girato nel nuovo formato panoramico CinemaScope. E si tratta del secondo film in ordine di tempo che si
pregia di questo formato, tanto grande da contenere un’intera orchestra. Se
fosse così, il film avrebbe una sorta di matrice metalinguistica: un film che, a suo modo, riflette sul cinema. Un
po’ come se gli autori ci stessero facendo notare le nuove potenzialità messe a
disposizione della settima arte, un
passaggio dimostrativo in senso pubblicitario del termine. D’altra parte il
titolo sembra preso da quello di un manuale, quindi una sorta di approccio
tecnico all’opera c’è. Nella pellicola ci sono altri due spunti, perlomeno
curiosi, in questo senso: se a nessuno sarà sfuggito quello che rimanda la
famosa battuta di Lauren Bacall (una delle protagoniste) su Bogart, che per
argomentare la sua passione per gli uomini più vecchi, fa riferimento alla sua
vita privata (quel tardone di Humprey
Bogart), meno evidente è quello della Grable.
Già, perché oltre a Lauren
Bacall c’è anche Betty Grable, attrice e pin-up di indiscutibile fascino; la
sua battuta fuori contesto (ovvero che
fa riferimento alla vita reale e non al narrato cinematografico) è più
difficile perché l’attrice è molto meno nota della Bacall, e anche perché il
trombettista Henry James, suo marito nella vita privata, che ella asserisce di
riconoscere ascoltandone la musica (sbagliandosi), è sconosciuto ai più. Ma
forse in ossequio all’effetto panoramico dello schermo in CinemaScope, non è una coppia di star ad essere protagonista, ma addirittura
un terzetto: e abbiamo lasciato per ultima, in questa disamina, quella più
fulgida, Marilyn Monroe. La presenza di tre stelle del cinema di tale caratura,
così poco omogenee tra loro, è materia troppo ardua per il regista Jean
Negulesco: in comune le donne hanno solo l’eccezionale bellezza, ma solo la Bacall è un’attrice di
rango, mentre la Grable
è una modella e la Monroe
una dea del cinema capitata per caso
sulla terra.
Con queste premesse il film non può quindi scorrere godibile come
sarebbe lecito attendersi, ma qualcosa di interessante si può vedere, in una
sorta di metaforico controluce: ovvero come si sviluppano i rapporti di forza
all’interno di un cast, tra gli attori e il regista o la produzione. Qui pare
evidente che la posizione dominante la prenda di prepotenza la Bacall , che regge il centro
del ring, insulta le colleghe (nella finzione filmica, ovviamente) e il cui
personaggio è l’unico che mostra un certo spessore psicologico oltre che quello
che realizza la missione programmatica del titolo dell’opera. La Grable è messa a margine, e, per altro, nei suoi spazi, riesce ad essere convincente come attrice brillante. Anche la Monroe viene decentrata; il problema, per la Bacall come per tutte le altre donne, è che non basta far inciampare Marilyn durante una sfilata o farle fare la parte della ritardata miope come una talpa, per intaccarne il fascino. La diva ha anche un lato umoristico, è già la caricatura sexy della dea del cinema che al contempo è, e quindi regge alla grande le gag comiche; mentre il suo glamour mette in secondo o terzo piano chiunque altra sullo schermo. Insomma, se questo, a prima vista poteva sembrare un film minore della carriera della Monroe, è invece un altro tassello che ci mostra perché le altre possono essere anche brave attrici, ma lei è Marilyn Monroe.
Lauren Bacall
Marilyn Monroe
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