771_L'ARBITRO . Italia; 1974. Regia di Luigi Filippo D'Amico.
Pur essendo una discreta commedia, L’arbitro, è un film che non riesce a cogliere quelle possibilità che si intuisce gli autori avessero preparato. Se si possono tollerare i riferimenti scatologici (l’insistita diarrea del protagonista) e qualche connotazione più pecoreccia che piccante (inevitabile, nella nostrana commedia, specie se si sceglie Lando Buzzanca come protagonista) il film di Luigi Filippo D’Amico manca in ogni caso di sostanza. Perché qualche spunto c’era, per cavarci qualcosa di buono: a cominciare dal protagonista, Buzzanca nei panni di Carmelo Lo Cascio, arbitro di calcio che fa il verso al famoso Concetto Lo Bello, il direttore di gara più prestigioso del tempo. Buzzanca stavolta è bravo e, soprattutto, ben centrato nella parte; benissimo Joan Collins (Elena) una giornalista rampante che mette in crisi alcune convinzioni del nostro. I due si bilanciano bene, sullo schermo, con la Collins in grado di tenere testa da par suo al maschione latino per eccellenza. La storia, pur offrendo qualche possibilità anche interessante, per la verità non è che sia questo granché, sia chiaro, e ha comunque il problema di andare un po’ troppo per le lunghe. Indovinato il commento musicale dei fratelli De Angelis, un po’ demenziale e certo non memorabile ma comunque piacevole da ascoltare durante il film. Incomprensibile, onestamente, la scelta di Giorgio Chinaglia per cantare la canzone Football Crazy; incomprensibile a partire dal testo bisbigliato dal Giorgione nazionale. Il punto debole del film è però, sorprendentemente, nel messaggio che pare davvero voler veicolare.
Certo, a primo avviso si potrebbe (o dovrebbe?) pensare che L’arbitro sia una commediaccia con Buzzanca, ambientata nel mondo pallonaro e quindi buona per sentire, tra una scoreggia e una pernacchia, gridare cornuto al direttore di gara di turno e farsi due risate. In realtà la figura di Lo Cascio, oltre che all’arbitro Lo Bello, fa riferimento anche all’autorità di stampo fascista e c’è un dettaglio esplicito in tal senso. Un tratto negativo, specie in quel periodo storico, è chiaro, ma è anche vero che Lo Cascio ha, dalla sua, una sorta di buona fede. Non solo si ritiene infallibile ma si prodiga con strenua volontà per esserlo. Questo aspetto, volendo vedere, non è poi del tutto negativo; la boria del direttore di gara protagonista è evidente (in questo assai funzionale Buzzanca), ma va dato atto al personaggio di ricercare la perfezione formale nel suo operato. Vanità? Certo, ma che ha come risultato un lavoro in genere ben fatto o comunque non svolto con trascuratezza.
D’accordo, manca l’elemento autocritico e poi la motivazione principale è la vanagloria del protagonista ma rimane comunque la ricerca di perfezione che depone a suo favore. Soprattutto quando il figlio, un tipico contestatore del tempo, si congratula con lui perché, almeno a suo dire, il padre si stava immischiando in affari poco puliti. Anche Elena, che per migliorarne le performance (anche a letto) non esita a consigliare all’uomo degli stupefacenti eccitanti, ne critica l’eccesso di zelo, la volontà di essere inappuntabile. Il che, vedendo il personaggio di Lo Cascio, è anche plausibile, nel complesso, è vero, ma rimane comunque un segnale ambiguo. In sostanza, sia l’amante emancipata che il figlio contestatore spronano quell’uomo che cerca di essere tutto d’un pezzo, a lasciarsi andare; ma non in senso di tolleranza o per ammorbidirne il carattere, ma nell’uso di droghe e nel malaffare. A questa stregua si lascia quasi preferire la folle intransigenza di Lo Cascio; in effetti il suo commento sulla moviola è esemplare e oggi sembra addirittura più attuale di quanto forse non fosse all’epoca. Tuttavia questi sono tecnicismi che riguardano il calcio e non il film in questione e quindi si può solo mettere a referto il riferimento come curiosità. In definitiva il film manca proprio dove avrebbe potuto fare centro, mentre Buzzanca, pur nella sua straripante personalità, era stato anche contenuto, prendendosi addirittura in giro quando alla festa il travestito aveva fatto il trenino mettendosi dietro di lui.
Ennesima occasione sprecata, verrebbe da dire; se non fosse che è proprio il cinema italiano del tempo (del tempo?) ad essere troppo spesso una sorta di cambiale inevasa. Ma, se invece lo prendiamo per perdere, ops passare, un paio d’ore scarse, pur non avendo un ritmo irresistibile, L’arbitro è un film che si lascia vedere e c’è perfino una manciata di battute divertenti.
insomma, forse il fischio finale andava fatto un po' prima, per non farlo durare troppo... ma di fronte a chi invoglia a fare uso di stupefacenti non ci sono dubbi, un bel cartellino rosso immediato!
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