1374_IL LUPO DELLA SILA . Italia, 1949; Regia di Dullio Coletti.
Il cinema italiano del dopoguerra è famoso per il neorealismo e le
commedie, mentre melodrammi e drammi non sono mai stati troppo considerati. E’
un peccato, perché è vero che raramente ci furono capolavori, in questi ambiti,
ma buoni film se ne fecero parecchi e Il lupo della Sila è certamente
uno di questi. Del resto Dullio Coletti era un regista di solido mestiere e la
sua scarsa notorietà è un altro elemento che ci dice di come una certa fetta
del nostro movimento cinematografico finì sostanzialmente per essere
dimenticata senza una reale ragione inerente. Il lupo della Sila è un
film drammatico che non sfocia mai nel melò a causa del severo personaggio
dominante la storia, Rocco (Amedeo Nazzari, perfetto nel ruolo). L’uomo tiene
fede al proprio nome ed è un vero cuore di pietra, negando prima la felicità
alla sorella Orsola (Luisa Rossi), innamorata di Pietro (Vittorio Gassman), e
poi intralciando quella del figlio Salvatore (Jacques Sernas). Ma a far le
spese della sua durezza non sono certo solo i suoi famigliari: a causa della
sua ottusità Pietro è addirittura morto, così come sua madre (Olga Solbelli) e
la sorellina Rosaria è quindi rimasta sola. Il nodo da cui prende spunto la
vicenda è che, mentre Pietro e Orsola passavano la notte clandestinamente insieme,
era stato ucciso un uomo che aveva da poco litigato proprio con Pietro. Le
indagini convergono immediatamente su di lui che potrebbe però facilmente
scagionarsi, rivelando che stava con Orsola; ma l’uomo, che forse non a caso ha
anch’egli un nome granitico, non sente ragioni e non vuole danneggiare
l’onorabilità dell’amata. Sua madre, che conosce la tresca amorosa dei due
giovani, non ci sta, anche perché il figlio rischia la morte se non riesce a
dimostrare la propria innocenza.
Del resto anche Orsola è d’accordo, visto che
non vuol perdere il proprio innamorato: ma le donne non hanno fatto i conti con
Rocco che non cede di un millimetro: Orsola non verrà svergognata e non testimonierà
e tanto peggio per Pietro. Che intanto non sta con le mani in mano e fugge con
l’unico risultato di finire ammazzato dalle forze dell’ordine nelle concitate
fasi dell’inseguimento. Al che la madre muore di dolore ma qui è piuttosto
interessante notare come un attore del calibro di Gassman venga impiegato per
un tempo assai breve, seppur importante visto che il lupo della Sila del
titolo è lui. Ma non è il protagonista del film e, per altro, neppure Nazzari
lo è: a mettere in ombra questi due giganti del cinema italiano è una sontuosa
Silvana Mangano, nel ruolo di Rosaria una volta cresciuta.
La Mangano era
all’apice della carriera, l’anno precedente aveva interpretato magnificamente Riso
amaro (uscito nel 1949, per la regia di Giuseppe De Santis) e la sua
prorompente bellezza, non certo classica, era però divenuta ormai iconica. Ne Il
lupo della Sila l’attrice romana la gestisce con sapienza: Rosaria appare
pienamente consapevole del suo fascino eppure rimane sempre ambigua,
enigmatica. Del resto la ragazza ha subito un grave torto da Rocco e sembrerebbe
strano che insista per lavorare come domestica proprio in casa sua, se non ci
fosse di mezzo una vendetta da compiere. Però il flirt con il figlio dell’uomo,
Salvatore, sembra sincero; in seguito la ragazza stuzzica anche il padre che,
per quanto faccia il sostenuto, finisce poi per cascare nella trappola della
giovane.
Salvatore, che si era assentato, ritorna giusto in tempo per scoprire
che il genitore vuole sposare la ragazza di cui è innamorato. Considerato i
temperamenti dei maschi in gioco, la situazione precipita e Rosaria, a quel
punto, si pente di aver scatenato questo putiferio per la sua vendetta. L’unica
soluzione è fuggire con Salvatore; ma Rocco, grazie al fido cane Lupo – un
pastore tedesco che nel film si è specializzato nei ritrovamenti di Rosaria –
li blocca prima che possano tagliare la corda. Armato di fucile, l’uomo non
sembra essere disposto a venire a patti con i due innamorati; ci penserà
Orsola, armata di fucile a sua volta, a cogliere la sua vendetta, chiudendo
definitivamente la questione con Rocco. Il film è appassionante, per via
dell’intrigo e per la capacità degli attori, la Mangano in testa, di reggere le
fasi del racconto. Coletti in regia sa il fatto suo, ma forse gli manca un po’
di mordente per incendiare a dovere il melodramma. Molto interessante il
connubio tra la storia di fantasia – per altro, illustrata durante il film da
un cantastorie calabrese, finisce per sembrare un credibile frutto della
tradizione locale – gli attori famosi e l’ambientazione autentica. Il film è
infatti girato sulla Sila, in particolare a San Giovanni in Fiore, e
interessante sono anche gli intermezzi dedicati al folclore del luogo. Un modo
di fare cinema più in linea con il sistema americano, si pensi al western, e
differente dagli stilemi del neorealismo. Forse anche questo contribuì a
relegare un po’ nell’ombra il cinema italiano di genere – commedia a
parte – almeno fino all’exploit dei peplum prima e in seguito del gotico,
degli spaghetti western, dei poliziotteschi e dei thriller
all’italiana, che si presentarono sulla scena facendo però professione di
umiltà. Come detto è un vero peccato, perché gli ingredienti per fare un grande
cinema con ambizione dichiarata c’erano tutti e, ad esempio, ne Il lupo
della Sila, manca giusto un filo di fiducia per riuscirci in pieno.
Silvana Mangano
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