789_SPAGHETTI A MEZZANOTTE . Italia; 1981. Regia di Sergio Martino.
A suo modo divertente commedia tipica del periodo, Spaghetti a mezzanotte è sorretto principalmente dalla verve comica di Lino Banfi (è l’avvocato Lagrasta) e dalla bellezza di Barbara Bouchet (sua moglie Celeste). Fa sempre un po’ male vedere Barbara, divinità del nostrano cinema giallo, sprecata in simili produzioni, ma tant’è. A questo proposito, il regista di Spaghetti a mezzanotte è Sergio Martino, autore che ci aveva regalato ottimi esempi nel thriller all’italiana e, se ormai era entrato nel suo periodo più leggero, conserva ancora la voglia di organizzare un minimo le sue storie. Spaghetti a mezzanotte ha infatti una trama gialla che, per quanto blanda, si innesta con profitto in quella comica, alimentando tra l’altro una grande quantità di gag. La presenza del cadavere del sicario alla festa di compleanno di Lagrasta dà infatti luogo ad una serie di sketch che, oltre al Lino nazionale, vedono protagonista Cesarino (Pippo Santonastaso). Santonastaso è, insieme a Daniele Vargas (nei panni del giudice Ulderico), tra i pochi del cast, fatto salvo la coppia di prim’attori, a cavarsela. Male, malissimo Teo Teocoli (è Andrea, l’architetto amante di Celeste), assolutamente inadeguato (anche in un simile contesto, il che è tutto dire); poco convincente anche Alida Chelli (è Zelmira, moglie del giudice e amante di Lagrasta). Discutibile poi il pesante accento piemontese (la vicenda è ambientata ad Asti) che grava sui dialoghi della pellicola e che, probabilmente, nelle intenzioni vuole alimentare una deriva casereccia del racconto, giustificando i tanti passaggi pecorecci del film.
Preoccupazione inutile, visto che la scurrilità gratuita è ormai sdoganata nella versione italiana della commedia del tempo; che si tratti di un suo limite è assodato e di sicuro non può essere un vanto per gli autori, che vi ricorrono come scorciatoia verso la risata a buon mercato, a volte per pigrizia, altre per incapacità. Tuttavia entro certi limiti non infastidisce più di tanto la visione e questo è il caso di Spaghetti a mezzanotte. Semmai c’è da sottolineare il tipico maschilismo della storia nell’accento dato alle corna subite da Lagrasta mentre quelle inflitte a Celeste sono passate in cavalleria dal racconto. Ma se un merito ce l’hanno, le commediacce del periodo (oltre a strappare qualche risata) è proprio quello di presentare un quadro attendibile del belpaese, anche e soprattutto nell’essere, in modo genuino, del tutto politicamente scorrette. Esemplare lo scambio di battute tra Zelmira e Lagrasta, quasi sorpresi insieme dal marito di lei, il giudice Ulderico. “Ma sai che se ci trovava insieme ci ammazzava! A me mi ha preso un colpo”, dice la donna. Al che Lagrasta ribatte “A me mi ha preso per ricchione, mi ha preso”, equiparando, sebbene soltanto a livello di battuta, l’essere definito omosessuale all’essere accoppato. Possa piacere o meno, ma Lino Banfi interpretava a pennello la realtà italiana (e non solo di quegli anni). Purtroppo, la Bouchet, essendo appunto straniera, poteva invece incarnarne solamente il sogno.
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