786_BLACK CAT (GATTO NERO) . Italia; 1981. Regia di Lucio Fulci.
Ad essere pignoli, lo strillo sul manifesto “dal capolavoro di Edgar Allan Poe” può essere frainteso: Biagio Proietti e Lucio Fulci, autori del soggetto del film Black Cat (Gatto Nero), hanno certamente usato gli elementi del racconto del grande scrittore americano ma la storia ricavata ha poi una sua quasi totale originalità. Del resto lo scritto di Poe era di poche pagine, adeguato preambolo al colpo di scena finale e, per reggere un intero lungometraggio, occorreva invece un plot quantitativamente più sostanzioso. I due autori italiani utilizzano però molti elementi del racconto originale: la casa incendiata, la personalità incattivita del personaggio principale (il professor Miles interpretato da un istrionico Patrick Magee), l’impronta del gatto impiccato impressa sulla parete, il tizio ubriaco, la donna murata, oltre naturalmente al gatto nero omaggiato anche dal titolo e al colpo di scena finale che rovina i piani del malefico protagonista. Che non è il gatto ma il citato professor Miles; il gatto nero è semplicemente l’incarnazione della sua malvagità e, in questo aspetto, il film rende tutto sommato merito al racconto da cui è ricavato. Certo, in Poe si trattava del Demone della Perversità, a guidare il personaggio protagonista, mentre nel film di Fulci gli autori danno modo al professor Miles di giustificare il suo odio con i classici motivi comuni agli scienziati pazzi della narrativa o del cinema. E’ certamente un passaggio minore dell’opera, d’altra parte quando si mette sullo schermo un testo letterario si parla non a caso di riduzione; ed è un limite del lungometraggio che si aggiunge a qualche effetto speciale non proprio così speciale. Ma, a dirla tutta, siamo abituati al cinema di genere italiano e alla sua vena naif e poi al Lucio horror nazionale non si può certo voler male.
In ogni caso non è che si debba prender per oro colato quanto riferito dal professore quando spiega la sua rabbia nei confronti del mondo alla bella Jill (Mismy Farmer); così come non si possono certo ritenere attendibili gli sproloqui dei personaggi che l’hanno preceduto nella galleria dei folli geni del male. Quindi, come tutti i villain del suo tipo che si rispettino, anche il professor Miles non ha un fondato e ragionevole motivo per fare del male al suo prossimo. Del resto, da questo punto di vista, vanno ringraziati gli autori per averci risparmiato qualche spiegazione posticcia che giustificasse i vari omicidi a cui assistiamo. E allora, in modo forse un po’ sottotraccia, ecco che il Demone della Perversità tanto caro a Poe rientra in gioco anche nel film di Fulci, rafforzando ulteriormente il debito della pellicola verso il racconto originale. Nel quale la tradizione che vuole i gatti neri essere streghe camuffate è sostanzialmente ignorata; c’è l’utilizzo strumentale della fama sinistra che accompagna la figura del felino dal mantello corvino ma a Poe interessa altro. Fulci dà solo un po’ di visibilità in più alle credenze popolari, quando il professore impicca il suo bel micione; ma in realtà anche nel film il tema è un altro. Il gatto nero incarna lo spirito malvagio del professore e il passaggio cruciale è rappresentato dal fatto che è impossibile alimentare la propria cattiveria senza divenirne poi schiavi. Probabilmente un’interpretazione degli spunti del racconto più prosaica di quella di Edgar Allan Poe, ma comunque valida ed efficace.
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