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lunedì 15 marzo 2021

THE BITCH

781_THE BITCH . Regno Unito1979. Regia di Gerry O'Hara.

Il grande successo di The Stud – Lo Stallone venne replicato l’anno successivo dal seguito, The Bitch, che ne riprende molti elementi sebbene con un risultato artistico più discontinuo. Ancora una volta alla base c’è un soggetto di Jackie Collins, scrittrice di romanzi piccanti, e al centro della scena sua sorella Joan, che riprende il personaggio di Fontaine visto all’opera in The Stud – Lo Stallone. Il fatto che alla sceneggiatura ci abbia lavorato il solo regista Gerry O’Hara forse è la causa di una certa povertà d’imbastitura di una storia che è infatti insufficiente da questo punto di vista. Troppi i punti morti, troppo insistiti i passaggi musicali dedicati alla discomusic del tempo, tanto da sembrare tentativi di dare un po’ di corpo al film. Oltretutto la colonna sonora, pur avendo avuto anch’essa grande successo in Gran Bretagna, non è a livello di quella di The Stud – Lo Stallone e questo è davvero un guaio, per la valutazione del film, visto lo spazio che è concesso alla musica su semplici immagini di persone che si divertono in pista da ballo. Certo, molto spesso si tratta di belle donne in abiti discinti sebbene va detto, per completezza d’informazione, che ci sono anche uomini e, ulteriore definizione messa bene in evidenza, non si tratta solo di soggetti etero ma ci sono anche gay e lesbiche. Ma si tratta di puri elementi decorativi che, messi in questi termini, poco influiscono sul risultato. Su questi aspetti The Bitch è un film deludente: la storia, che vede a fianco della Collins Michael Coby nei panni di Nico Cantafora, un imbroglione che cerca di barcamenarsi vivendo nel gran mondo senza appartenervi, potrebbe reggere al massimo un telefilm. A bilanciare questa tendenza generale al ribasso ci pensa naturalmente Joan Collins. 

La diva inglese, per la verità, sembra andare anche lei un po’ di conserva, limitandosi al cliché della donna senza scrupoli che tanto bene le riesce; tuttavia ci sono alcuni momenti molto interessanti, con l’apice nella celeberrima scena del Chauffeur Cap, assolutamente memorabile. Oltre ad essere un passaggio fortemente erotico, e a proposito della carica sensuale di Joan non ci possono essere dubbi, la scena ha una valenza sotto diversi punti vista. Intanto cristallizza, in pochi attimi, l’emancipazione femminile in ambito sessuale, con Fontaine che conduce apertamente il gioco. Un tema sempre sviluppato nei suoi film dalla Collins, di cui spesso era criticata la sfacciataggine, ma che era sostanzialmente una presa di possesso del gioco sessuale; la contemporanea ostentazione della propria fisicità serviva a preservarne la femminilità, una volta lasciato il ruolo completamente passivo della tradizione. Fontaine, come molti altri personaggi interpretati da Joan, voleva la sua autonomia e voleva anche rimanere femmina, voleva fare sesso e voleva provare piacere e divertirsi. Questo tentativo non era così semplice essendo la donna, per tradizione, il soggetto passivo sia del desiderio che dell’attività sessuale. Certamente c’erano altri temi, nella vita, ma questi aspetti erano forse quelli più condizionanti in senso generale; in ogni caso, la mise con cui la Collins si presenta nella scena cardine, pelliccia, corsetto, accessori vari e cappello del suo autista Ricky (Peter Wright), condensa in una sola immagine la volontà di cambiare le carte in tavola. 

E’ infatti lei a condurre, a guidare il gioco; un ribaltamento dei ruoli, che lavora in varie direzioni. Il cappello, elemento davvero indovinato, funziona anche in ambito sociale: sulla testa di Ricky lo relega al ruolo di chauffeur, su quella deliziosa di Fontaine ha un aspetto più marziale e ne certifica l’autorità. La differenza è colta dallo stesso Ricky, mentre la donna, stuzzicando l’imbarazzato del sottoposto, riporta in auge quell’accezione del termine Mistress che, unitamente al suo folgorante look, rievoca i tempi del fenomeno fetish degli anni 50 e 60. Questo approccio giocoso al tema del sesso (che è la matrice della cultura fetish), in un film in cui non si fa altro che giocare (a backgammon, ai dadi, alle scommesse), e il suo svincolarlo alle pretestuose pretese impegnate del passato, è certamente condivisibile. Meglio giocare al dottore che utilizzare il sesso come strumento di rivendicazione sociale, che va piuttosto ricercata negli ambiti adeguati. In questo senso si può anche leggere un altro passaggio interessante del film; Arnold (Kenneth Haigh), l’uomo che le cura gli affari, propone a Fontaine di sposarlo; lui saprebbe renderla una donna onesta. Al che lei quasi si scandalizza, sottolineando come diventare la moglie di qualcuno non ha niente a che vedere con l’onestà. 


Il che è vero; come è anche vero che, in seguito agli anni della contestazione, si aveva preso l’abitudine di inserire in modo un po’ superficiale il tema morale o etico anche in ambiti non del tutto inerenti, come appunto l’amore o il sesso, e addirittura anche l’amicizia. Il risultato di ciò fu proprio che, quando i tempi cambiarono, ci fu un completo rifiuto di questi aspetti, utilizzati per troppo tempo in modo strumentale, al punto che finirono accantonati quasi ufficialmente per almeno un decennio (gli ottanta) e oltre. Non che la Fontaine di The Bitch sia una persona rigorosa dal punto di vista morale, questo no (ad esempio non si chiede da dove arrivino i soldi che spende). Però nei rapporti personali mostrati è improntata ad una sostanziale correttezza; anche lo sgarro a Nico, nel finale, matura quando vede il compagno divertirsi con altre donne nell’orgia in piscina. Se vogliamo la trama pone una critica ad una certa superficialità derivante dal guardare solo i propri affari, senza approfondire. Il colpo gobbo conclusivo Fontaine lo ottiene scendendo a patti con la Mafia; un errore che si accorgerà esserle fatale già prima dei titoli di coda. Insomma, sono tanti gli elementi interessanti, sebbene gettati senza un adeguato sviluppo narrativo, questo è vero. Ma quando vediamo le immagini di The Stud – Lo Stallone sull’aereo che riporta Fontaine e Nico in Inghilterra, viene il dubbio che The Bitch possa addirittura ambire ad essere consapevolmente un’opera metalinguistica. Ma è certamente un azzardo anche solo pensarlo; quando mai può esserlo un filmaccio che ha l’unica ambizione di fare quattrini e fonda le sue uniche ambizioni sulle curve della protagonista? Spiazzante, arriva poco dopo una risposta di Joan Collins, che conferma la caparbia intenzione di ribaltare i ruoli della tradizione, chissà, forse anche su questo terreno.
A Nico, il macho del film, la diva replica infatti: “I am your man.” 


Joan Collins












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