788_I SEICENTO DI BALAKLAVA (The charge of Light Brigade). Regno Unito; 1968. Regia di Tony Richardson.
Film bellico in costume, I
seicento di Balaklava di Tony Richardson racconta appunto della battaglia di Balaklava durante la Guerra di Crimea, quella della famosa carica dei 600 (già immortalata
dall’omonimo film di Michael Curtiz nel 1936). La produzione del film è
britannica e il regista, inglese pure lui, mantiene per tutto il film un tono
piuttosto canzonatorio nei confronti della corona
e del suo esercito (ma gli alleati francesi non vengono trattati molto meglio).
In effetti è una scelta condivisibile: una simile debacle, per gli inglesi, non
è facilmente gestibile nei confronti dell’opinione pubblica anche se, in
realtà, altre volte i figli di Albione
hanno mostrato la tendenza a mettere comunque in risalto anche le sconfitte,
coprendole di gloria e onori militari in modo un po' incomprensibile da un punto di vista del risultato
ottenuto, D’accordo per il tributo ai morti per la
patria ma, in questi casi, a parte questo ci sarebbe poco da ricordare; vero è che una fredda
analisi sarebbe troppo deprimente, per lo spirito patriottico. E allora la
soluzione di Richardson si propone come una sorta di terza via, ovvero
utilizzare l’episodio della battaglia di
Balaklava per criticare, in forma di farsa, l’esercito e i suoi
protagonisti, il folle Lord Raglan (Trevor Howard) per primo. Questo spirito
critico pervade tutto il film ed è supportato anche da alcune sequenze in
animazione con una grafica che può ricordare le vignette satiriche del
tempo. D'apprima fungono da sfondo per i titoli di testa e, in seguito, saltano fuori di tanto in
tanto nel lungometraggio. Inizialmente potrebbero quasi sembrare intrise di
patriottismo convinto: poi, man mano che la storia procede, appare sempre
più evidente il tono autoironico e ferocemente satirico nei confronti della
politica coloniale britannica.
E’ chiaro che si tratta di un’operazione
perlomeno bizzarra, anche partendo dal fatto che suscita una certa perplessità
vedere un simile impegno per la ricostruzione scenografica e dei costumi
(uniformi, armi e altri dettagli) per realizzare un’opera satirica; non che
non si possa fare, ma certo alcuni comportamenti degli ufficiali mostrati nel
film, decisamente sopra le righe, minano la credibilità storica complessiva.
Alcuni altri dettagli poco coerenti, come l’uso di due diverse voci narranti
fuori campo e per di più usate solo in principio e poi abbandonate, non aiuta a rendere
convincente il film di Richardson. Così tutto lo sforzo produttivo per la messa
in scena è come se rimanesse speso invano. C’è anche una storia d’amore clandestino, forse per giustificare il ruolo di Vanessa Redgrave, e una più scollacciata, ma
più che altro negli intenti, tanto per mettere un po’ di pepe alla vicenda (di
cui si incarica Jill Bennett). Espedienti narrativi utili probabilmente a far condividere all’altra metà del cielo il peso di una simile idiozia (ovvero l’arte
bellica). Nel complesso un film sulla stupidità della guerra: non fa mai male,
d’accordo, ma si mantiene al minimo sindacale.
Vanessa Redgrave
Jill Bennett
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