787_L'ASSEDIO DI FUOCO (Riding Shotgun). Stati Uniti; 1954. Regia di André De Toth.
Il regista di origine ungherese André De Toth ha già dimostrato, e in più di un’occasione, di conoscere il genere western e di saper fornire prodotti di assoluto rispetto in questo tipo di pellicole (Per la vecchia bandiera e La maschera di fango, tanto per fare due titoli). L’assedio di fuoco, titolo italiano non certo indovinato che, per una volta, fa il paio con quello originale, Riding Shotgun, anch’esso poco riuscito, è un’ulteriore prova di abilità dell’autore. Il formato, simile al 4/3 (il rapporto della pellicola è 1,37:1), in un film western è certamente un limite, ma De Toth lo sfrutta a suo vantaggio. Intanto, ambienta la vicenda prevalentemente nella cittadina e negli interni degli edifici della stessa; quindi lo spazio non è sconfinato, semmai il contrario, e non viene sacrificato dall’immagine stretta del formato della pellicola. E poi il regista muove la sua macchina da presa con ripetuti carrelli laterali che ci mostrano, gradualmente, le insidie che colmano le scene della storia. E’ uno sguardo circospetto, attento, che si muove nelle strade e nella scalcinata locanda di Fritz, presa da Larry Delong (il solido, inossidabile, Randolph Scott) come rifugio per sfuggire al linciaggio a cui vorrebbero sottoporlo i benpensanti abitanti di Deep Water. Naturalmente Delong è innocente dall’accusa che gli stolti cittadini di Deep Water gli appioppano: che, si è mai visto Scott interpretare un cattivo? Ma De Toth è davvero bravo e imbastisce la sua storia tra un assalto alla diligenza (che è un mero diversivo) e il successivo attacco alla sala da gioco locale. A guidare la banda di fuorilegge il nemico storico di Delong, ovvero Dan Marady (James Millican) che, a suo tempo, durante una delle sue imprese banditesche, ne aveva ucciso la sorella.
Quindi, lo sviluppo della storia è grosso modo questo: la diligenza viene attaccata; Delong, che era di guardia a cassetta, viene fatto prigioniero dai banditi. Lo sceriffo di Deep Water insegue i fuorilegge che, con uno stratagemma, se ne liberano per andare a fare il vero colpo in città, ora sguarnita da quasi tutti gli uomini validi, impiegati nella posse. Un bel piano, il cui punto centrale è una pistola tascabile che è anche il portafortuna di Marady e che viene usata come esca per catturare Delong e toglierlo di mezzo prima dell’assalto alla diligenza. La pistola cadrà erroneamente poi nella polvere, Delong la troverà e sarà grazie ad essa che, prima si libererà dalle corde e, nel finale, sorprenderà Marady, che non sapeva che l’avesse recuperata proprio il rivale. A questo punto è quasi beffardo pensare che il bandito la considerasse il suo portafortuna. Insomma, una trama con un bell’intarsio narrativo e che verte soprattutto sulla suspense che intercorre tra le due azioni criminose dei banditi in quanto prima del loro ingresso in città per il colpo alla sala da gioco passa praticamente tutto il film. Pellicola assolutamente godibile, girata con solida maestria e cosparsa di un’ironia quasi cinica, sebbene stemperata a dovere. Oltre a Scott, professionale come sempre, da citare almeno Wayne Morris (il vicesceriffo), la bella Joan Weldon (Orissa), e un giovanissimo Charles Bronson (Pinto).
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