Translate

venerdì 22 novembre 2019

LA CITTA' DELLA PAURA

449_LA CITTA' DELLA PAURA (Station West); Stati Uniti 1948Regia di Sideny Lanfield.

Nel 1948 gli anni cinquanta, cinematograficamente parlando, erano ancora relativamente lontani e il western non era ancora assurto allo status di genere classico per antonomasia. Fino ad allora, abitualmente, l’epopea della frontiera era usata come una semplice ambientazione storica e, in molti casi, la turbolenza delle cittadine del west forniva uno sfondo credibile a storie che erano assimilabili a quelle metropolitane che furoreggiavano nel noir, il genere tipico degli anni quaranta. In questo caso, ad alimentare questa commistione, ci si mettono anche i distributori italiani, visto che La città della paura sembra davvero il titolo di un film ambientato nelle Chicago o New York dell’epoca degli investigatori alla Humphrey Bogart e delle affascinanti dark lady. Il titolo originale, Station West, è apparentemente più attinente al film di Sideny Lanfield, che è appunto un western della RKO Radio Pictures. Il plot narrativo di base conferma l’appartenenza al genere: in una città di frontiera il trasporto di oro della vicina miniera è sottoposto ad attacchi e rapine da parte dei banditi. E, ovviamente, sono western anche gli scenari oltre ad alcuni passaggi narrativi come la scazzottata o gli attacchi al convoglio. Ma, su questa pur solida architettura western, si innestano significative atipicità. Innanzitutto la scelta dei due attori protagonisti: Dick Powell, era la star dei musical degli anni 30 poi riciclatosi (in modo egregio, sia chiaro) in ruoli di altro tenore (fu addirittura Philippe Marlowe, il famoso detective, in L’ombra del passato, 1944, di Edward Dmytryk), mentre al suo fianco Jane Greer arrivava fresca fresca dal capolavoro noir Le catene della colpa (1947, di Jacques Tourneur). 

E sono forse proprio i rispettivi ruoli nei due film citati ad ispirare i personaggi dei due protagonisti in questo La città della paura: Powell è Haven, una sorta di poliziotto mandato a risolvere il mistero delle rapine, la Greer è Tony (Charlie nell’originale) dark lady dal nome maschile e dalla doppia faccia. Si presenta come la classica vedette da saloon, mentre in realtà è un temibile boss criminale, anche se il titolo italiano enfatizza eccessivamente la sua capacità di terrorizzare la comunità. Questo aspetto, il suo presunto tiranneggiare la cittadina, è anche introdotto nel film dal locandiere canterino (Burl Ives), in una delle sue canzoncine, ma poi Tony si rivela certamente pericolosa, ma non si nota, nell’atmosfera cittadina, un clima così plumbeo come preannunciato. 

Per la verità c’è un uso forte delle ombre, in particolar modo quelle sulla scala del saloon, ma l’ambientazione assolata degli esterni (siamo pur sempre nel far west) ne smorza un po’ l’efficacia complessiva, relegandola alle singole scene. Inoltre, il ruolo previsto per la Greer sarebbe quello di femme fatale contemporaneamente a quello di capo dell’organizzazione criminale e, se l’attrice se la cava anche bene, nel suo personaggio finisce per emergere l’animo buono (o almeno romantico) che, inevitabilmente, caratterizzava in fondo in fondo ogni dark lady che si rispetti. Il che depotenzia, però, l’efficacia dell’altro suo ruolo, quello di boss dell’organizzazione nemica dell’eroe di turno, che risulta così troppo poco pericolosa per reggere a dovere la traccia avventurosa. 

Questo aspetto è sostenuto, per la verità, dallo scagnozzo di Tony, Prince (Gordon Oliver) e da altri suoi tirapiedi ma, nel complesso, è poca cosa; per imbrigliare un po’ la faccenda ci si adoperano allora anche i buoni della storia, che si mettono di traverso all’operato di Haven, per i soliti banali equivoci narrativi. Ma se Agnes Moorehead dà al suo personaggio (la signora Caslon, proprietaria della miniera) una certa verve, il capitano Iles (Tom Powers) è certamente trascurabile. Detto questo, la storia comunque è godibilissima: Powell sa sfruttare a dovere le battute sempre pronte che il copione riserva al suo personaggio e Jane Greer rende ogni scena che la vede all’opera interessante e piacevole. E, non contenta di aver giostrato nel duplice ruolo di femme fatale e di cattivo della storia, ruba la scena anche al protagonista nell’attimo cruciale, quello inevitabile della sua sacrificale morte. 

La protagonista della Greer, al film, che si stava chiudendo su un romanticissimo scambio di ti amo tra lei e Haven, riserva l’ultimo colpo di coda. Il personaggio interpretato da Powell era entrato prepotentemente nella storia del film, non avendo l’attore una forte presenza scenica, facendo piuttosto leva sulla tipica e fulminea dialettica ereditata dalla commedia americana degli anni precedenti: tra le battute sparate c’era anche stata quella in cui consigliava a Tony, per far star buona la sua guardia del corpo, di farlo passare per il cugino diretto in Cina. Ora la ragazza stava spirando, ferita mortalmente da un colpo a lui destinato, e Haven sembrava non aver più troppa voglia di scherzare. Anzi, aveva confessato alla ragazza di averla amata sin dalla prima strofa della canzone che ella cantava la prima volta che la vide. “Ti amo”, si dichiara quindi Haven. “Ti amo”, sussurra Tony con un filo di voce. Poi la Greer, abbozzando quel sorriso che la RKO Radio Pictures usava per promuovere l’attrice come l’unico paragonabile a quello della Monna Lisa di Leonardo, aggiungeva un “arrivederci” davvero improbabile visto le sue condizioni. Era già quindi chiaro che la donna sfilava sul più bello all’amato/nemico il ruolo di personaggio dalla battuta ironica pronta, ma, prima di morire, faceva addirittura in tempo ad aggiungere “in Cina!”.
Gioco, partita, incontro. 







Jane Greer









Nessun commento:

Posta un commento