442_FATTI GENTE PERBENE ; Italia, Francia 1974. Regia di Mauro Bolognini.
Del regista Mauro Bolognini si dice, nel bene e nel male,
che è stato un autore molto attento alla cura formale delle sue opere. Questa
attenzione calligrafica la troviamo ben esposta in Fatti di gente perbene, film del 1974 che è incentrato sul famoso caso Murri. Il caso
Murri è un episodio delittuoso che vide coinvolta, agli inizi del secolo
scorso, una facoltosa e rispettabile famiglia di Bologna, i Murri, appunto. In
ossequio alla sua cifra stilistica, Bolognini tratteggia in modo mirabile
l’Italia degli inizi del ‘900, coadiuvato dalla fotografia rarefatta e molto
evocativa di Ennio Guarnieri, dalle affascinanti scenografie di Guido Josia e
dalle musiche discrete ma efficaci di Ennio Morricone. E, nel rispetto non solo
della matrice storica dell’opera, ma anche del titolo del film che fa
riferimento ai fatti, il regista si
attiene, grosso modo, alle cronache conosciute delle vicende in oggetto. Il
ritmo circospetto, il tipico indugiare con compiacimento nelle scene e nelle
situazioni piccanti, in questo caso è pienamente confacente alla resa della
storia: le motivazioni che spinsero Tullio Murri (un allucinato Giancarlo
Giannini) ad uccidere il cognato Francesco Bonmartini (Paolo Bonacelli), sono
giunte a noi ammantate da un alone di inspiegabilità, che ha prestato il fianco
a diverse interpretazioni. Il Bonmartini era un uomo sgradevole e la moglie,
Linda Murri (Chaterine Deneuve, meravigliosa), non lo sopportava più. La
separazione, poi il ricongiungimento di facciata, la sorte dei due figlioletti,
gli amanti della donna, le prostitute frequentate dall’uomo, la condizione
famigliare che si faceva sempre più senza via d’uscita.
Se il Bonmartini
sembrava quasi godere sadicamente della situazione, era Linda, che pagava la
condizione di donna e quindi assoggettata alle consuetudini del tempo, a
struggersi maggiormente, dichiaratamente per paura di perdere i figli,
intimamente anche auspicandosi maggiori libertà di movimento. L’intimità sessuale tra Linda e il fratello Tullio in
prima istanza è solo sfiorata, forse nemmeno più che suggerita, da Bolognini,
ma emerge in seguito, dalle indagini, anche in Fatti di gente perbene. Era davvero uno dei moventi che spinse
Tullio ad uccidere il Bonmartini? Difficile stabilirlo, a tanti anni di
distanza, per quanto appare evidente che non dev’essere stato semplice nemmeno
allora capirlo.
Non è solo un dettaglio pruriginoso: se il Murri in definitiva
confessò l’omicidio, le indagini e il processo condannarono tutte le persone
anche solo marginalmente coinvolte nella questione. La prima della quali fu
proprio Linda, rea, secondo la
Legge italiana, di aver istigato al delitto il proprio
fratello. Siccome di prove, fatti concreti, in tal senso non ce n’erano, e pare
anche logico che fosse difficile trovarne, ecco che la questione del legame
morboso tra i due fratelli acquisiva una valenza strategica. Incendiava la
fantasia sessuale dell’opinione pubblica e della Corte gettando, al contempo,
discredito sulla moralità degli imputati: un modus operandi che la Magistratura italiana dimostrerà, nel corso dei
decenni a venire, di adoperare sistematicamente.
In effetti, l’aspetto
sorprendete di Fatti di gente perbene
è osservare come l’atteggiamento del giudice Stanzani (Marcel Bozzuffi) sia riconducibile
alla condotta dei magistrati che è capitato e capita di vedere all’opera in
Italia. Nel caso di Stanzani il suo essere schierato è esplicito, lo dichiara
apertamente, e nei Murri egli vede i rivali storici di sempre, anche per il suo
ferreo antagonismo allo stimato professor Augusto (Fernando Rey), padre di
Tullio e Linda. Augusto è un eminente esponente della cultura laica e progressista, mentre il giudice
risponde a convinzioni più tradizionalmente istituzionali, religione di stato
inclusa. La magistratura, ma nel film ci sono rimandi evidenti, in tal senso, che
coinvolgono anche la stampa, non è pertanto imparziale: si tratta quindi di
un’aberrazione del sistema istituzionale italiano presente sin dagli inizi. L’arbitro, chiamato a giudicare, è una
delle componenti della partita:
difficile pretendere poi obiettività di giudizio. In un paese così poco
uniforme, con troppi risvolti sociali, economici, culturali, e privilegi di
ogni sorta, le forze centrifughe e destabilizzanti sono in costante fermento,
il che si traduce in una campagna politica (quando non direttamente elettorale) perenne. E questa è la partita di cui
si diceva: ogni crimine, ogni delitto, ogni infrazione, è un opportunità di
colpire l’avversario, o meglio, uno degli innumerevoli avversari, nella perenne
bagarre tutti contro tutti che
affligge la penisola. Nel film i comizi e le edizioni dei quotidiani
scandiscono il progredire dello scandalo che segue di pari passo l’indagine,
trasformando, nel 1902(!), un caso di cronaca nera in un evento mediatico e
politico.
Il risultato, almeno sul taccuino del resoconto finale, rispecchia un
tipico caso di processo sommario all’italiana: tutte le persone coinvolte sono
condannate, comprese quelle a cui carico le prove non sembravano più che
congetture o testimonianze scarsamente attendibili. Quando la folla inferocita
è stata aizzata, non si fanno prigionieri. In compenso, la tipica natura
buonista insofferente alla disciplina, un’altra peculiarità italiana,
permetterà a Linda di uscire di galera dopo un solo anno. La grazia verrà
concessa alla donna come favore dal re Vittorio Emanuele II nei confronti di
Augusto Murri, che aveva salvato la figlia del sovrano, Mafalda, malata di
tifo. Il film si chiude con uno strillone su una strada di Bologna, che annuncia
la notizia della scarcerazione della donna al grido: la legge non è uguale per tutti!
In Italia, non lo era già stata prima e mai lo sarà in
seguito.
Catherine Deneuve
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