448_DIABOLICAMENTE TUA (Diaboliquement vôtre); Francia, Italia, Germania Ovest 1967. Regia di Julien Duvivier.
Ultimo capitolo della lunga e variegata carriera registica
di Julien Duvivier, Diabolicamente tua
è un film anche seducente ma mai del tutto convincente. E, volendo ben vedere,
lo spettatore finisce nella situazione in cui si ritrova il protagonista della
pellicola: Georges Campo (Alain Delon) si risveglia in ospedale senza memoria e gli dicono che è scampato ad un brutto incidente. In compenso pare sia
sposato con Christiane (una Senta Berger
in forma smagliante), e sia
proprietario addirittura di un castello. L’uomo, che ovviamente non si chiama
Georges Campo (ma Pierre Lagrange) sospetta che ci sia qualcosa di storto, nella storia che gli raccontano:
ma vuoi mettere avere per moglie una bambola come la Berger ? E poi, anche la
vita da miliardario che risiede in un castello non deve essere malaccio. Così,
nonostante lo scetticismo, nonostante gli indizi sospetti di cui si accorge, nonostante
la moglie Christiane gli si neghi in quello che dovrebbe essere il primo tra i
doveri coniugali, il nostro apparentemente fortunato amico decide di stare al
gioco. E questa è un po’ la similitudine con la condizione dello spettatore: la
storia sembra un po’ stiracchiata, Christiane ha fatto fuori il marito e ora,
con il complice Freddie, ha imbastito un complotto per sostituirlo con un uomo
che possa suicidarsi (una volta
suggestionato in modo opportuno), e permettere alla donna di ereditare la
fortuna in ballo, in modo legale (si
fa per dire). Ovviamente il breve riassunto esaspera i passaggi poco credibili,
ma l’impostazione è piuttosto grossolana; come del resto non aiuta lo spoiler clamoroso del titolo che elimina
praticamente ogni possibilità di giocarsela un po’ sull’ambiguità della
situazione.
Così lo spettatore si ritrova nello scetticismo del protagonista e,
anche in questo caso, a mantenerlo agganciato alla storia è il fascino generale
dell’ambientazione. La Berger
è bella da guardare, Delon è simpatico e carismatico, anche nel suo essere a
disagio negli improbabili kimono del vero padrone del castello; e poi la
fotografia di Henri Dacae e la regia di Duvivier confezionano bene la vicenda.
E ammettiamo anche che la trama gialla intriga sempre, almeno un po’. Insomma
niente di che, ma fatto bene.
Senta berger
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