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giovedì 28 novembre 2019

VIVA ZAPATA!

455_VIVA ZAPATA! (Viva Zapata!); Stati Uniti, 1952Regia di Elia Kazan.

Una biografia in puro stile hollywoodiano, ossia con molte licenze poetiche, ci racconta la figura carismatica del rivoluzionario messicano Emiliano Zapata. Che si tratti di un personaggio storico di questo tipo, al cinema, in pieno maccartismo, e che a farlo sia proprio il regista Elia Kazan, accusato di essere stato un delatore in questa sorta di caccia censoria, è un fatto certamente curioso. L’opera di avvale della sceneggiatura di un grande scrittore come John Steinbeck e, accanto al nome del regista del precedente Un tram chiamato desiderio, c’è anche l’attore che di quella pellicola è stato la rivelazione: Marlon Brando. Kazan e Brando tornano quindi a lavorare insieme e sfornano un altro film di sicuro valore: l’attore dà vita ad un Emiliano Zapata truce e vigoroso, intriso del carisma del leader. A ribadire che il cast è di tutto rispetto và segnalato anche un validissimo Anthony Quinn (premio Oscar come attore non protagonista) nel ruolo di Eufemio, fratello del condottiero. Kazan mostra una regia forte, simbolica, di polso sicuro: molte le scene di grande impatto emotivo. Come quella nel finale, con l’arrivo di Zapata  che trova Eufemio che, dopo aver sfrattato i contadini, se ne sta svaccato sul divano mentre quella che è presumibilmente la moglie del padrone di casa è accanto a lui, discinta e stesa sul tappeto; e per invitarla a coprirsi, Eufemio la scuote con lo scarpone sulla coscia nuda. Notevole anche la scena finale, con l’agguato e il cavallo bianco simbolo della libertà zapatista che riesce a scappare. Kazan conosce molto bene l’arte di provocare emozioni nello spettatore e non gioca mai al risparmio. 

Molto interessante la figura di Fernando Aguirre (Joseph Wiseman), un intellettuale che dapprima sembra legato agli ideali della rivoluzione (riforma, libertà, giustizia e legge nella realtà storica, terra subito ai contadini in quella del film) ma si rivela, cammin facendo, uno spietato opportunista. E nel confronto con il semianalfabeta Zapata, viene il sospetto che ci sia, da parte di Kazan, una severa critica anche all’elite culturale e non solo, com’era prevedibile, alla classe dirigente e a quella militare. Del resto che ci fosse poco da fidarsi dall’ambiente culturale, che comprendeva anche il mondo del cinema, Kazan doveva saperlo fin troppo bene.








Jean Peters









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