455_VIVA ZAPATA! (Viva Zapata!); Stati Uniti, 1952. Regia di Elia Kazan.
Una biografia in puro stile hollywoodiano, ossia con molte
licenze poetiche, ci racconta la figura carismatica del rivoluzionario
messicano Emiliano Zapata. Che si tratti di un personaggio storico di questo tipo, al
cinema, in pieno maccartismo, e che a farlo sia proprio il regista Elia Kazan,
accusato di essere stato un delatore in questa sorta di caccia censoria, è un
fatto certamente curioso. L’opera di avvale della sceneggiatura di un grande
scrittore come John Steinbeck e, accanto al nome del regista del precedente Un tram chiamato desiderio, c’è anche
l’attore che di quella pellicola è stato la rivelazione: Marlon Brando. Kazan e
Brando tornano quindi a lavorare insieme e sfornano un altro film di sicuro
valore: l’attore dà vita ad un Emiliano Zapata truce e vigoroso, intriso del
carisma del leader. A ribadire che il cast è di tutto rispetto và segnalato
anche un validissimo Anthony Quinn (premio Oscar come attore non protagonista)
nel ruolo di Eufemio, fratello del condottiero. Kazan mostra una regia forte,
simbolica, di polso sicuro: molte le scene di grande impatto emotivo. Come
quella nel finale, con l’arrivo di Zapata
che trova Eufemio che, dopo aver sfrattato i contadini, se ne sta
svaccato sul divano mentre quella che è presumibilmente la moglie del padrone
di casa è accanto a lui, discinta e stesa sul tappeto; e per invitarla a
coprirsi, Eufemio la scuote con lo scarpone sulla coscia nuda. Notevole anche
la scena finale, con l’agguato e il cavallo bianco simbolo della libertà zapatista
che riesce a scappare. Kazan conosce molto bene l’arte di provocare emozioni
nello spettatore e non gioca mai al risparmio.
Molto interessante la figura di
Fernando Aguirre (Joseph Wiseman), un intellettuale che dapprima sembra legato
agli ideali della rivoluzione (riforma, libertà, giustizia e legge nella realtà
storica, terra subito ai contadini in quella del film) ma si rivela, cammin
facendo, uno spietato opportunista. E nel confronto con il semianalfabeta
Zapata, viene il sospetto che ci sia, da parte di Kazan, una severa critica anche
all’elite culturale e non solo, com’era prevedibile, alla classe dirigente e a
quella militare. Del resto che ci fosse poco da fidarsi dall’ambiente
culturale, che comprendeva anche il mondo del cinema, Kazan doveva saperlo fin troppo bene.
Jean Peters
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