457_IL MOSTRUOSO UOMO DELLE NEVI (The Abominable Snowman); Regno Unito, 1957. Regia di Val Guest.
Dopo i due interessanti L’astronave
atomica del dottor Quatermass e I
vampiri dello spazio, il sodalizio tra il regista Val Guest e la casa
cinematografica Hammer continua con Il mostruoso uomo delle nevi. Si tratta
di uno dei primi film sulla figura del mitico Yeti, l’abominevole uomo delle
nevi che vive nei territori inaccessibili della catena dell’Himalaya. Guest è
sicuramente un bravo regista, e la
Hammer uno studio
che ha realizzato pellicole assai preziose, riportando in auge il genere horror
dopo i fasti degli anni ’30. Però, forse, l’impresa in cui si sono imbarcati è
superiore alle loro capacità, perché nella leggenda dell’uomo delle nevi la
componente ambientale è cruciale. L’inospitalità delle elevatissime montagne himalayane e soprattutto il freddo sono
elementi fondamentali sui quali, solo in seguito, si innesta la figura schiva
ma inquietante dello Yeti; se per le ambientazioni i Pirenei francesi possono
anche andare, le condizioni climatiche non sono purtroppo praticamente per
nulla evidenziate nel lungometraggio. Banalmente si può osservare come non si
veda il fiato dei personaggi quando parlano o respirano ma, in ogni caso, non
ne fanno quasi mai cenno e nemmeno insistono in quei comportamenti, come
rabbrividire, fregarsi le mani sugli avambracci o soffiarsi sulle stesse, che
lascino intendere di essere in presenza di temperature rigide. Essendo quello
climatico un elemento molto caratteristico del luogo ove è ambientata la
storia, se lo spettatore si accorge (ed è difficile non farlo) che non viene
comunicata la sensazione di freddo da parte degli attori, poi è difficile
ignorare questo fatto e passare oltre, perché ormai la credibilità dell’intera
messa in scena è compromessa. Peccato, perché il regista inglese aveva per le
mani un buon soggetto e, comunque, nonostante queste pecche, dimostri di
saperlo sfruttare anche negli aspetti di critica sociale e non unicamente sul
versante di puro intrattenimento. Che rimane comunque la cifra stilistica prevalente
nell’opera e che, al netto dei limiti citati, viene comunque assolta a pieno
titolo.
Maureen Connell
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