446_ULTIMO DOMICILIO CONOSCIUTO (Dernier domicile connu); Francia, Italia, 1970. Regia di José Giovanni.
Di José Giovanni, regista di Ultimo domicilio conosciuto, della sua vita privata, si ricorda
sempre il suo essere collaborazionista nella Repubblica di Vichy e la sua
condanna per crimini di guerra e, forse, non del tutto in modo pretestuoso.
Spesso i suoi personaggi, e sicuramente il suo ispettore Marceau Leonetti (un
granitico Lino Ventura), protagonista di questo Ultimo domicilio conosciuto, sono tormentati da un passato da cui
proprio non riescono completamente ad affrancarsi. Di Leonetti, per altro, si
scopre poco, durante il film: il suo carattere riflette quello complessivo
dell’opera, schivo, risoluto, sbrigativo, senza cerimonie. Nemmeno la Legion d’Onore, la più alta onorificenza
francese, riesce a smuoverlo dal suo disgustato riservo verso la società o le
istituzioni: inutile ostentarla, se i motivi che gliel’hanno fatta meritare sono gli stessi per cui ora viene regolarmente punito. Certo, siamo all’alba
degli anni settanta, e i modi spicci, spesso oltre il limite, di Leonetti non
sono più troppo di moda. E se poi si pestano i calli sbagliati, e si tocca
qualcuno di importante, ecco che arriva la punizione e il castigo: in
provincia, a lavorare con la buoncostume.
In questa triste parabola del vecchio leone, c’è però una nota positiva, che ha
il gradevole aspetto di Jeanne Dumas (una deliziosa Marlène Jobert): per la
verità, almeno ad una prima occhiata, la sua nuova minuta assistente sembra
davvero non aver nulla da spartire con il massiccio ispettore. Leonetti è un
vero piedipiatti: il suo lavoro è in
parte di cervello, perché per fare l’ispettore non devi essere stupido, chiaro,
ma deve anche darsi da fare di gambe.
Ventura non è un gigante ma ha un passo lungo e deciso, e il suo ispettore fila spedito a destra e a
manca, alla ricerca del testimone che nessuno riesce a trovare. E’ questo
infatti il suo nuovo incarico e, per la verità, sembra che, impegnandolo in
un’impresa impossibile, il superteste è uccel di bosco da cinque anni, l’intenzione
dei vertici sia di infliggere un’ulteriore umiliazione a Leonetti. Ma
l’ispettore non si scompone, testardo e cocciuto, batte ogni possibile traccia
senza rallentare nemmeno un filo: la povera Jeanne sgambetta in affanno ma proprio
non riesce a tenerne il passo. Perlomeno nella camminata; perché in fatto di
personalità, la ragazza riesce progressivamente a farsi valere.
E' qui che il
discorso di José Giovanni si fa più interessante e stupisce anche un poco.
Jeanne è progressista, più aperta, più moderna, non è certo fatta della stessa
pasta di Leonetti, anche se pian piano arriva a rispettarne ed apprezzarne
l’integrità morale. In effetti alla fine un punto di intesa si trova, e la
coppia finisce per funzionare, sia sul piano professionale che su quello umano,
mentre sul versante sentimentale sembra che il vecchio poliziotto, guardando la
bellezza della giovane, avanzi non più
di un’ombra di rimpianto. Ma il finale, che rivela come funziona quel sistema
giudiziario di cui lo stesso Leonetti sembra consapevolmente, se non
colpevolmente, fare parte, manda tutto a ramengo, persino i rimpianti o le
suggestioni. Com’è possibile, si chiede l’ingenua e candida Jeanne, che lo
Stato inganni così la buona fede della gente? Com’è possibile accettare
queste meschinità gravissime, pagate con la vita dei cittadini dapprima
chiamati, anzi obbligati, a fare il proprio dovere? Può forse bastare il
rassegnato sdegno di Leonetti? Ma niente affatto!
Un’accusa, quella di Jeanne, che sembra anche un’autocritica
di José Giovanni.
Marlène Jobert
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