437_LE VITE DEGLI ALTRI (Das Leben der Anderen); Germania 2006. Regia di Florian Henckel von Donnersmarck.
Se consideriamo che Le
vite degli altri possiede grosso modo tutte le caratteristiche formali del
cinema tedesco, e che ha vinto l’Oscar
per il miglior film straniero, possiamo capire come si tratti di un’opera
attraente nel suo essere completa. Ovvero, ha ottenuto il maggior
riconoscimento in ambito internazionale (più altri, tra cui il David di Donatello) risultando cioè
adeguata al gusto mainstream, ma lo
ha fatto mantenendo le proprie peculiarità d’origine: il regista Florian
Henckel von Donnersmarck ha davvero fatto quindi un notevole lavoro. Se poi ci
mettiamo che ha messo sotto la lente dei riflettori il periodo conclusivo
dell’esperienza statale della DDR, la Germania dell’Est, con un occhio di riguardo per
l’operato della Stasi, il famigerato servizio di sicurezza e spionaggio
nazionale, allora si capisce quanto possa essere allettante vedersi questo Le vite degli altri. In effetti la Stasi e la DDR sono fenomeni fondamentali
nella storia del secolo scorso, eppure sono rimasti a tutt’oggi un po’ opachi,
poche volte al centro di opere di narrativa che ne rivelino, in modo certo
indiretto ma comunque efficace, i meccanismi, le consuetudini, i segreti.
Donnersmarck lo fa attraverso un film avvincente come un’opera americana, ma
che conserva in parte la fredda atmosfera quotidiana tipica del cinema tedesco,
eredità della Neue Deutsche Welle (la
nouvelle vague tedesca), anche se il
montaggio o la storia sentimentale sono certamente di tenore più marcato, e
consentono a Le vite degli altri di
infiammare la platea quasi come un prodotto definito commerciale.
E questi sono
tutti pregi, beninteso; anche il passaggio, forse un po’ forzato a livello
narrativo, per cui il protagonista, il grigio funzionario della Stasi, il
capitano Gerd Wiesler, alias "HGW XX/7" (Ulrich Mühe), si converte alla vita ascoltando, mentre
spia e intercetta la vita privata dell’artista Gerog Dreyman (Sebastian Koch), la Sonate vom Guten Menschen (‘Suonata per un
uomo buono’) e, in seguito, una poesia di Brecht. Certamente un ruolo di
rilievo, nella comprensione che non tutto il mondo possa ridursi al freddo e
asettico rigore tipico della Germania dell’Est, ce l’ha anche l’attrice
Christa-Maria Sieland (una seducente Martina Gedeck), affascinante compagna di
Dreyman oltre che sua musa ispiratrice.
La donna, più che bella, ha una
sensualità notevole ed è il vero centro di gravità dell’opera di von
Donnersmarck, e il turbine emozionale che scatena, coinvolgendo anche lo
sgradevole ministro Bruno Hempf (Thomas Thieme), controbilancia dall’interno il
freddo rigore della messa in scena. E’ quindi un film formalmente notevole,
questo Le vite degli altri: e
interessante, per giunta. C’è solo un piccolo neo, nella riuscita complessiva.
Una volta raccontata la sua storia, una volta dimostrato come anche in un
regime opprimente come quello della DDR l’umanità, grazie all’arte, alla
bellezza, poteva farsi strada comunque, von Donnersmarck esagera un poco nel
voler ricamarci sopra.
Il finale, con
Dreyman che fa la scoperta di essere stato spiato, la sua ricerca dell’identità
dell’agente "HGW XX/7", il suo ringraziamento alla spia nella dedica
nel suo libro, dedica che a sua volta Wiesler finisce presto per leggere, è un
filino troppo. In fondo tutta questa parte finale non è necessaria: non
aggiunge nulla, semplicemente esprime a livello visivo una serie di emozioni e
considerazioni che erano rese già implicite dal resto dell’opera. L’impressione
che si prova è quasi di noia, di fastidio: come se si stesse indugiando su un momento
intimo che forse avrebbe meglio espresso lo spirito del film se fosse stato più
trattenuto, sospeso. Ma in effetti, la mancanza di sobrietà in un’opera che racconta
di un mondo dove, dietro un rigore di facciata, tutto quanto veniva scandagliato
in modo approfondito e minuzioso, era da mettere in conto.
Martina Gedeck
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