1724_IL TENENTE SHERIDAN - MORTE DI UNA SPIA, Italia 1959. Regia di Stefano De Stefani
Dopo l’esordio in Qualcuno al telefono, il
tenente Sheridan (Ubaldo Lai) ritorna all’opera in Morte per una spia,
episodio che, pur se godibile, non manca di lasciare ben più di qualche
perplessità. Che si possono intuire già nella scelta del titolo: sul momento
verrebbe infatti da chiedersi come un tenente della Squadra Omicidi di San
Francisco, possa essere coinvolto in un caso di spionaggio, ma è appunto un
errore in cui si può essere indotti dal nome equivoco dell’episodio. La “spia”,
citata nel titolo, non è, infatti, un “agente segreto” ma un “informatore”
della polizia: che gli autori, esattamente come il loro protagonista, lasciano
intendere di disprezzare definendolo con il termine poco lusinghiero di chi,
nei vari ambiti della vita quotidiana, rivela la verità a chi è incaricato di
accertarla, sia esso un genitore, un insegnante, il datore di lavoro, un
poliziotto –appunto– e via di questo
passo. Il voto di omertà, a cui ogni buon cittadino italiano sembra dover
sottostare, tanto per capirci, è lo stesso che le organizzazioni mafiose poi
sfruttano a dovere ma, anche senza scomodare Cosa Nostra, è curioso che in un
poliziesco la figura del “soffia” sia trattata in modo simile. Sheridan, non
solo disprezza apertamente Tom Bates (Tonino Pierfederici), ma sottovaluta i
rischi che l’informatore corre, tanto che, sostanzialmente, la missione del
tenente fallirà, visto che l’uomo finirà poi ucciso dai sicari incaricati di
fargli la pelle. Di fronte alla sconsolata vedova di Bates, Brenda (Liliana
Tellini), il tenente non ha il minimo moto di umanità ma si compiace con sé
stesso nel dimostrare la propria abilità, scoprendo facilmente l’identità del
colpevole, inevitabilmente da cercare nel pugno di personaggi presenti nel
motel in cui è avvenuto l’omicidio. La scena è godevole, con tutti i sospettati
presenti e con Sheridan che elenca i passaggi della sua indagine, tendendo poi
una trappola in cui il sicario finisce per cascare. Nel far questo, si ricordi
che lo sceneggiato è del 1959, gli autori inseriscono un paio di curiosità
tecnico-investigative, come le impronte digitali e il guanto di paraffina,
quest’ultimo spiegato con dovizia di particolari. Trovato il colpevole ed
erroneamente convinto di aver fatto “il suo” –in realtà il compito del tenente
era quello di proteggere Bates– Sheridan se ne va, mentre Brenda continua a
piangere sconsolata. Tipo ambiguo, questo Sheridan, e basterebbe il ghigno di
Lai per capirlo, ma c’è qualcosa anche di più del sorriso inquietante che non
va, nel tenente. Qualcosa le cui tracce si possono trovare anche in passaggi di
minore importanza, ma rivelatori del pensiero, probabilmente, non tanto del
personaggio, ma, piuttosto, degli autori alle sue spalle. Quando vede per la
prima volta la più giovane delle sorelle della temperanza, Jeanne (Rosa
Maria Rocchi), Sheridan si volta sornione a darle uno sguardo alla figura,
sorridendo compiaciuto. Quando poi nota il sergente Howard (Carlo Alighiero),
fare lo stesso, lo redarguisce subito: coerenza questa sconosciuta, d’accordo,
ma per un tipo che si spaccia per essere tutto d’un pezzo suona un po’ più che
ipocrita. Tuttavia questa caratterizzazione del protagonista tutt’altro che
edulcorata, promette di essere il vero piatto forte della serie.
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