Translate

mercoledì 5 febbraio 2025

LA LIGNE D'OMBRE

1618_LA LIGNE D'OMBRE . Francia1973. Regia di Georges Franju

Tre anni dopo L’amante del prete tratto da Emile Zola, George Franju prende in mano un testo di Jospeh Conrad per il suo nuovo lungometraggio. Quello in progetto è un lavoro televisivo dal budget assai modesto, dal momento che la carriera cinematografia del regista bretone è ormai segnata. Rimasto escluso dalla Nouvelle Vague, la nuova corrente che ha infiammato nel decennio precedente il cinema francese, Franju avrebbe meritato ben altra considerazione dai produttori ma nel 1973 si deve accontentare di lavorare per la televisione. La ligne d’ombre è un racconto di formazione, se vogliamo così dire, nel quale Conrad racconta del primo incarico di un giovane capitano. Il viaggio si rivela particolarmente duro, l’equipaggio subisce un’epidemia di febbre tropicali e il vascello rimane in preda a lungo della bonaccia, tanto che riaffiora il timore che la maledizione del vecchio capitano stia sortendo i suoi effetti. Al termine di questo calvario, il protagonista potrà ben dire di aver superato la propria linea d’ombra e di essere pronto per affrontare nuove sfide stavolta in modo più preparato. La necessità di Franju di rivolgersi a testi già pronti risultava dalla sua dichiarata incapacità di raccontare: il bretone era un regista di visioni e le storie erano pretesti per poter dare forma sullo schermo alla propria immaginazione in proposito. La prosa di Conrad, per quanto questi fosse uno scrittore moderno, è particolarmente difficile da adattare per lo schermo, in quanto verte su personaggi di grande spessore interiore e quindi non semplici da rappresentare. Nell’originale, il nome del capitano protagonista è omesso, tanto che viene naturale interpretare il testo come autobiografico identificandolo con Conrad; nell’adattamento di Franju prende invece il nome di Marlow (Jean Babilée) ha significare invece un distinguo tra chi narra e chi agisce nel racconto. Ma non è soltanto questa l’unica modifica che il regista bretone introduce, smentendo in parte la sua stessa affermazione di non essere in grado di inventare racconti. Tra le novità rispetto al racconto, nel film di Franju troviamo gli ambigui fratelli Jacobus, Alfred e Ernest (interpretati dal medesimo attore, Kurt Grosskurth), il commercio delle patate e, soprattutto, la figlia di Alfred, Alice (Jaqueline Parent). Nonostante il nome potesse al massimo rimandare al noto romanzo di Lewis Carroll (Alice nel paese delle meraviglie) la ragazza è protagonista di un inserto sognante che ricorda Cenerentola, evocata esplicitamente nella scena della scarpetta dove il feticismo latente di Franju fa di nuovo la sua comparsa. La fiaba di Perrault è tra l’altro citata nel discorso di commiato del capitano Mearlow che si appresta a salpare, mentre saluta il capitano Gilles (Tino Carraro, inappuntabile come suo solito). L’offerta irrinunciabile di Gilles, attraverso la quale Mearlow si ritrova in un batter d’occhio capitano d’una nave, è paragonata alla carrozza che magicamente appare dinnanzi a Cenerentola. A volte si è faticato a comprendere la definizione che venne data al cinema di Franju, realismo fantastico, e qui possiamo averne un bell’esempio. Le premesse sono di fantasia – quale armatore affiderebbe una nave per un viaggio così impegnativo ad un inesperto capitano? – ma la successiva realizzazione è particolarmente realistica, con il cigolio perpetuo del veliero che non ci abbandona mai. Inoltre, non soddisfatto del fantasma del capitano morto, quello evocato dal racconto dal secondo di Mearlow, Burns (Roger Blin), che aveva maledetto la nave, introduce quello di Alice. Il mazzo di fiori del giardino dei Jacobus è innaffiato con cura dal cuoco Ransome (Luis Masson) e rievoca costantemente la breve storia sentimentale tra il capitano Mearlow e Alice. Il cuoco si prende così la briga di incarnare la presenza positiva all’opposto del secondo Burns, che in qualche passaggio rievoca addirittura il Nosferatu di Murnau, tanto da spaventare gli ispettori che salgono a bordo quando la nave arriva a destinazione. Del resto appare evidente che, a livello narrativo, Burns avesse messo gli occhi sul posto di capitano, poi soffiatogli d’improvviso da Mearlow: ancora un bel accostamento tra il realistico senso di invidia e gelosia professionale, e il fantastico, nel richiamo alla maledizione del vecchio capitano unita ad un aspetto poco rassicurante del secondo. E’ comunque Burns a chiudere in un certo senso la questione, svincolando la nave, e di conseguenza il suo capitano, da queste ombre che vi aleggiano sopra. Burns prima getta in mare la custodia del violino del vecchio capitano, e con lei la presunta nefasta influenza di questi; poi, per chiudere il conto, butta nell’acqua del porto anche i fiori di Alice, del resto ormai appassiti. Il capitano, il suo capitano, è ora davvero pronto per un nuovo viaggio: le linee d’ombra sono ormai alle sue spalle. E se quella del vecchio capitano, ereditata direttamente dal romanzo di Conrad, può interpretare la paura di affrontare la vita, quella di Alice, introdotta da Franju, riguarda la sfera sentimentale. L’idealizzazione dell’amore – l’eccessivo rilievo dato ad un breve incontro, la cui effimera consistenza è ben simboleggiata dal mazzo di fiori recisi destinati ad appassire – è un’altra ombra da cui ci dobbiamo liberare. 



Al cinema di Georges Franju Quandolacittàdorme ha dedicato ENIGMA FRANJU - IL CINEMA DI GEORGES FRANJU 




Nessun commento:

Posta un commento