77_ARGO Stati Uniti, 2012; Regia di Ben Affleck.
In ambito cinematografico, Ben Affleck è un
personaggio dalla doppia valenza, è infatti sia attore che regista. E si sa’,
spesso questi ruoli rappresentano due anime diverse, quasi contrapposte,
della settima arte: la parte più estroversa davanti alla macchina da presa, quella
più introspettiva dietro. Ben Affleck uomo
di cinema sembra ricalcare questo schema, con film più semplici ed
immediati, da Armageddon a Pearl Harbour, che lo vedono nel ruolo di attore, e pellicole meno scontate quando si cala nelle vesti di regista.
Questa capacità di gestire una doppia filosofia,
Affleck sembra averla addirittura applicata alla struttura di questa sua terza
opera dietro la MdP ;
per cominciare, è quantomeno duplice il suo impegno, in quanto Argo, il suo
ultimo film, lo vede all'opera sia come regista che come attore (nonché
produttore). Ma, sorprendentemente, la pellicola mostra un aspetto
metalinguistico, e quindi piuttosto insolito e nient’affatto semplice come approccio, congiunto
ad una facilità di fruizione tipica dei film campioni di incassi al botteghino:
la doppia traccia è così applicata in modo esemplare. Oltre al ritmo e alla suspense calibrati in modo magistrale, in Argo la cosa che più sorprende è la versatilità e la molteplicità
del linguaggio usato dal regista americano. Ad esempio: Argo è questo film, ma è anche un film nel film; e volendo, è anche
un finto-film storicamente esistito. La matrice metalinguistica sembrerebbe
evidente: in effetti, a voler credere al bluff di Mendez (l’agente segreto
interpretato da Affleck), stiamo vedendo come si produce un film. E’ però anche vero, nella realtà raccontata
dall’opera di Affleck come anche nel fatto storico che la ispira, che
l’operazione in questione sia una farsa.
E quindi potrebbe essere una falsa pista: ma d’altra parte il cinema è la suprema arte della finzione, e proprio la scarsa credibilità di Hollywood rende possibile, e alla fine anche credibile, l’esistenza di un film fittizio. Insomma, Affleck miscela fatti storici con un uso mirabile degli aspetti tecnici, dalla grana della pellicola ai titoli iniziali del film; e nel raccontare la sua storia, riesce ad essere sufficientemente onesto da mettere in rilievo le colpe degli americani, cosa niente affatto scontata, in un film che non scade però nell’eccessivo ribaltamento dei ruoli. Gli iraniani, per quanto legittimamente infuriati con gli americani per via dell’appoggio statunitense allo Scià, vengono raffigurati in modo attendibile e non edulcorato dal fatto di avere le loro buone ragioni.
L’equilibrio del film, tra le varie tracce e intuizioni, è ribadito anche in questo aspetto: è un film americano, sul salvataggio di ostaggi americani, e quindi ha una certa prospettiva, ma non cade mai nel fazioso e nemmeno nella propaganda. Anzi; la pellicola affronta questioni ancora aperte e forse all’origine del conflitto culturale ancora oggi in corso, e lo fa’ con ottimo senso critico e autocritico. Affleck approfitta del suo ruolo di uomo di spettacolo, di attore di film che continuano nell’esaltare il mito dell’eroe americano, per mostrarci una storia girata con immagini a tratti quasi documentaristiche; c’è una evidente volontà di mostrarci qualcosa di vero, di storico, oltre alla pantomima del cinema. Le colpe degli Stati Uniti sono raccontate: l’appoggio allo Scià, il carico d’oro trafugato; la stessa CIA dimostra in più passaggi la sua anima doppia e sinistra. Insomma, ancora una volta la funzionalità di Argo è duplice: racconta di un successo americano, ma nello stesso tempo mette l’America faccia a faccia con i propri scheletri.
E quindi potrebbe essere una falsa pista: ma d’altra parte il cinema è la suprema arte della finzione, e proprio la scarsa credibilità di Hollywood rende possibile, e alla fine anche credibile, l’esistenza di un film fittizio. Insomma, Affleck miscela fatti storici con un uso mirabile degli aspetti tecnici, dalla grana della pellicola ai titoli iniziali del film; e nel raccontare la sua storia, riesce ad essere sufficientemente onesto da mettere in rilievo le colpe degli americani, cosa niente affatto scontata, in un film che non scade però nell’eccessivo ribaltamento dei ruoli. Gli iraniani, per quanto legittimamente infuriati con gli americani per via dell’appoggio statunitense allo Scià, vengono raffigurati in modo attendibile e non edulcorato dal fatto di avere le loro buone ragioni.
L’equilibrio del film, tra le varie tracce e intuizioni, è ribadito anche in questo aspetto: è un film americano, sul salvataggio di ostaggi americani, e quindi ha una certa prospettiva, ma non cade mai nel fazioso e nemmeno nella propaganda. Anzi; la pellicola affronta questioni ancora aperte e forse all’origine del conflitto culturale ancora oggi in corso, e lo fa’ con ottimo senso critico e autocritico. Affleck approfitta del suo ruolo di uomo di spettacolo, di attore di film che continuano nell’esaltare il mito dell’eroe americano, per mostrarci una storia girata con immagini a tratti quasi documentaristiche; c’è una evidente volontà di mostrarci qualcosa di vero, di storico, oltre alla pantomima del cinema. Le colpe degli Stati Uniti sono raccontate: l’appoggio allo Scià, il carico d’oro trafugato; la stessa CIA dimostra in più passaggi la sua anima doppia e sinistra. Insomma, ancora una volta la funzionalità di Argo è duplice: racconta di un successo americano, ma nello stesso tempo mette l’America faccia a faccia con i propri scheletri.
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