66_DUELLO SULLA SIERRA MADRE (Second Chance). Stati Uniti, 1953; Regia di Rudolph Maté
Esperto direttore della fotografia, (ha lavorato con
grandissimi maestri, da Fritz Lang a Hitchcock, a Lubitsch, a Dreyer e a molti
altri ancora), il polacco Rudolph Maté una volta emigrato ad Hollywood è divenuto
regista. Curiosamente, questo suo Duello
sulla Sierra Madre si vanta di avere il sistema di proiezione
tridimensionale che, se spettacolarizza alcune sequenze, in generale penalizza
un poco la qualità delle immagini. Ma del resto il film è una sorta di noir esotico, sottogenere comunque comune a classici come Casablanca, Acque del Sud
o Macao, che però è innegabilmente
una definizione che ben caratterizza la contraddizione di fondo di questo
lungometraggio. La storia di questo Duello
sulla Sierra Madre è ambientata a San Cristobal, una città di un
imprecisato paese latinoamericano, che per altro assomiglia moltissimo al
Messico; e del resto la più nota Sierra
Madre (citata nella edizione italiana anche nel titolo) lì vi si trova. E
quella della mancata collocazione geografica è una sorta di incoerenza che fa
il paio con i gangster (characters
tipicamente metropolitani) che si muovono in un ambientazione tropicale dove la
natura è al suo massimo splendore. Ma se quest’ultima contrapposizione funziona
benissimo (forse proprio per contrasto), la scarsa precisione nei dettagli
geografici un po’ infastidisce, perché viene concesso molto spazio ai luoghi e
alle usanze locali, ma poi non è dato sapere se appartengono ad una specifica realtà
o se sono unicamente un pastiche
narrativo buono per intrattenere il pubblico.
Nonostante questa premessa, il film è nel complesso valido,
ottimamente recitato da tre attori di grido: Robert Mitchum è il buono, Linda
Darnell la bella e Jack Palance il cattivo.
Maté ci porta un po’ in giro per l’esotico paesino, tra un
inseguimento a piedi nel mercato, un incontro di boxe, un altro match ma
stavolta galante fino ad una gita in funivia, e sembra in effetti tirarla un
po’ per le lunghe. Poi avviene la svolta e, quando i nostri rimangono sospesi
nel vuoto con la cabina della funivia in avaria, la tensione sale notevolmente.
In questa fase il regista di origine polacca dimostra di conoscere benissimo
questo registro narrativo, e riesce sapientemente a dosare la suspense con
lievi tocchi di umorismo che rendono tutta la parte finale elettrizzante ma al
tempo stesso divertente.
Lieto fine prevedibile ma comunque meritato per la coppia
Mitchum/Darnell; Palance vola invece nel baratro, ma rimane comunque un
grandissimo.
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