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venerdì 29 dicembre 2017

LA MAGNIFICA PREDA

76_LA MAGNIFICA PREDA (River of no return) Stati Uniti, 1954;  Regia di Otto Preminger.

Il maestro Otto Preminger si cimenta con il genere western per la prima volta e sforna un autentico capolavoro: La magnifica preda, o River of no return, se si preferisce il più pertinente titolo originale. Gli ingredienti sono tutti di prima scelta, partendo dalla storia, semplice ma ben calibrata, con il tema del viaggio sul fiume da cui non si ritorna, che segnerà una decisa crescita per più di uno dei protagonisti. Gli intrecci e i rimandi narrativi sono ben congegnati e tutto torna senza forzature al suo posto, si pensi, ad esempio, a quando il piccolo Marco nota il cavallo di Colby in mano agli indiani e ne deduce la tragica fine. Sempre in merito alla storia, proprio il bambino ha un ruolo chiave in uno dei temi portanti dell’opera, il rapporto padre/figlio visto nell’ottica della continuità collettiva della società americana. Il padre Matt (Robert Mitchum) lo aveva dovuto lasciare in quanto finito in prigione; l’accusa, fondata, era legata ad uno dei reati più infamanti in generale, ma soprattutto nel cinema e peggio che mai nel genere western: aveva ucciso un uomo sparandogli alle spalle. Che poi le circostanze possano aver giustificato l’operato, è sicuramente da tenere in considerazione, nella valutazione di Matt, ma rimane comunque un macigno non indifferente che grava sulla statura morale dell’uomo. Che infatti evita di parlarne, in primo luogo a cominciare con il figlio, e si chiude in un rapporto esclusivo con questi tentando di lasciare fuori il resto del mondo.
Visto il carisma di Matt, di cui si deve ringraziare un Mitchum al meglio della sua forma, per il ragazzo l’uomo diviene un vero modello: naturalmente ci sarà il terribile passaggio narrativo in cui il figlio apprenderà, in modo non certo morbido, quello che ha combinato il padre. La natura biblica dei nomi (Matteo e Marco sono due dei quattro evangelisti) rimarcata nel film, ci dice dell’importanza di questo binomio e di come il secondo sia la proiezione nel futuro del primo anche simbolicamente. Quando, nel drammatico finale, Marco si ritroverà a ripetere l’estremo atto del padre, il significato di questo legame diventerà più chiaro: l’America, fondata e creata da uomini violenti, non riuscirà mai a lasciarsi alle spalle questa sua caratteristica.

Non c’è un giudizio morale, in questo: Preminger non critica ne glorifica la natura violenta dell’America, ma la mostra per quello che è. Nella foresta ci sono mille pericoli, come il puma, o il fiume noto come quello da cui non si torna, o gli indiani in perenne agguato: la violenza è stata necessaria all’uomo per sopravvivere in questa terra selvaggia, e lo sarà ancora. La trama scarna ed essenziale permette allo splendido scenario naturale di prendersi tutto il suo spazio: il formato CinemaScope e i colori Technicolor rendono giustizia ai superbi panorami dello stato dell’Alberta, in Canada. 
Questi elementi erano già più che sufficienti a girare un grande film western, ma non abbiamo ancora accennato ai due ingredienti più importanti della ricetta: Marilyn Monroe e la colonna sonora, cruciali anche se presi singolarmente, ma nello sviluppo strettamente connessi tra loro. Marilyn pare sia rimasta poco convinta dal film (se è per questo anche Otto Preminger non ne fu entusiasta), ed è un vero peccato, perché si tratta di una delle sue migliori interpretazioni e una assoluta prova di eccellenza in senso generale. La Monroe non è certamente un’attrice di scuola teatrale, ma sullo schermo è semplicemente e assolutamente perfetta, attraversa tutta la storia senza sembrare mai fuori posto, in quanto è piuttosto tutto il resto che gira intorno a lei, vero centro di gravità naturale dell’attenzione.


Marilyn è il Cinema: anche se non ha mai fatto western, anche se non è certo il tipo che puoi incontrare in mezzo ad una foresta, lei, in un grande film, ci sta sempre alla grandissima, western compresi. E in La magnifica preda è anzi il valore aggiunto, quella che trasforma un ottimo western in un capolavoro: oltre alla indiscutibile presenza scenica, la bionda attrice si esibisce in quattro canzoni. La colonna sonora è fondamentale in ogni film western che si rispetti, e quella di La magnifica preda è eccellente, le canzoni cantate Marilyn sono tra i momenti piacevoli del film, "I'm gonna file my claim", "One Silver Dollar", "Down in the Meadow" sono molto belle, ma il vero punto dal quale non sembra possibile far ritorno è il finale, quando la divina intona "River of no return". 
Tutto il Cinema, in poco più di due minuti.


Marilyn Monroe














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