55_FASTER, PUSSYCAT! KILL!KILL! Stati Uniti, 1965; Regia di Russ Meyer.
Al centro della scena ancora tre personaggi, ma
stavolta non di sesso maschile. Varla (la procace e sensuale Tura Satana),
Rosie (Haji) e Billie (Lori Williams) sono go-go
dancers al volante di veloci spiders con
le quali irrompono nel deserto americano portando scompiglio, ma soprattutto
sesso e morte, tra gli sparuti abitanti della zona. Come si vede le
automobili hanno sostituito i motocicli dei motorpsycho,
una scelta utile a differenziare la storia e anche a renderla un po’ più
attraente sotto il profilo motoristico. L’idea di tre sensuali ragazze
protagoniste permette al lungometraggio di essere sempre piccante e, se la cosa
può sembrare maschilista, va riconosciuto che il punto di vista delle tre
protagoniste, quando vedono gli uomini della storia, mette i maschi nella
condizione di prede, da un punto di vista sessuale, ribaltando quindi il
concetto abituale. Ma non è che l’intento di Meyer sia fare del femminismo, sia
chiaro; l’importanza dell’autore è proprio nel suo essere del tutto estraneo a
quella (come ad altre) contesa, valutando il sesso o la violenza, per quello
che sono senza i posticci e spessissimo pretestuosi rimandi sociali. Se c’è una
traccia lesbo, nel terzetto di
protagoniste, con Haji che brama per Varla, mentre Billie appare meno
coinvolta, è solo perché Meyer ritiene stuzzicante la cosa, per sé e
potenzialmente per il suo pubblico. E’ un ulteriore elemento che differenzia e
approfondisce Faster, Pussycat! Kill!
Kill! rispetto a Motorpsycho!
dove i rapporti tra i tre protagonisti erano solo abbozzati. La cosa è meno
gratuita di quanto si possa pensare a prima vista. Ci si deve infatti chiedere,
a questo punto: ma perché troviamo interessante che ci sia qualcosa nel rapporto tra le due donne? E’ forse perché è credibile
e, quindi, i rapporti, manifesti o latenti, omosessuali siano più diffusi ed
importanti di quanto non sia comune ritenere?
La sfrontatezza di Meyer, che inserisce senza alcun pudore o reticenza quegli elementi che ritiene stuzzicanti, ci costringe a fare i conti con le nostre convinzioni ed è proprio la qualità migliore del cinema dell’autore californiano. Anche la componente sadomasochistica, qui ribaltata rispetto ai film predenti, è usata da Meyer alla stessa stregua: non è tanto importante chi domini chi, ma è innegabile che questo modo di relazionarsi ci sia in qualche modo troppo famigliare. La figura dominante in questo caso è Varla, capace di accoppare a colpi di karate un paio di uomini nel corso del lungometraggio e di metterne fuori combattimento un altro, il forzuto noto come il Vegetale, schiacciandolo con l’automobile.
L’intento dell’autore è chiaramente quello di cambiare le carte in tavola rispetto ai suoi film precedenti, dove erano sempre gli uomini ad esercitare la violenza sulle donne; ma facendolo ci mostra come il fascino della violenza sia certamente connesso al sesso ma non abbia obblighi rispetto ai generi maschili o femminili. La fascinazione funziona cioè in qualunque direzione, e perfino in ambito omosessuale, come si può dedurre osservando come Varla sembri compiaciuta nel far soffrire Haji. Un approccio a temi delicati molto laico, da parte di Meyer, che pare interessato, per la verità, ad avere riscontro al botteghino ma, nel farlo, riesce ad offrirci un quadro assai lucido della situazione. In questo senso, nella spoliazione delle sovrastrutture sociali che determinano le scelte dei personaggi, Meyer non si limita alla sfera sessuale ma completa un valido discorso intrapreso in Motorpsycho! sul piano sociale.
Dei tre balordi in sella ai motocicli, uno soltanto ha delle concrete motivazioni sociologiche, essendo un ex combattente del Vietnam. Il tema è interessante, oltretutto il tizio in questione è di gran lunga il peggiore dei tre; del resto nei decenni a venire su questa scia si produrranno decine di film, tra cui molti veri capolavori. In realtà, nella sua prosaica lungimiranza, Meyer intuisce che il Vietnam, ovvero la guerra, sia un tema meno importante, meno cruciale, nella società moderna. E, oltre mezzo secolo dopo, possiamo costatare quanto avesse ragione. Gli altri due psicopatici motorizzati non hanno alcuna motivazione rilevante per il loro disagio: uno è un tipo vanesio, l’altro un immaturo. Ma, tutto sommato, possiamo dire che ci sia ancora un certo labile tentativo di dare una risposta sociale, per la loro sciagurata condotta; in Faster, Pussycat! Kill! Kill! questa traccia è lasciata completamente da parte. Le ragazze, bellissime, in buona salute e alla guida di costose automobili, hanno una condotta criminale senza alcuna motivazione che la giustifichi. La rivoluzione sessantottina incombeva, ma Russ Meyer già ci diceva che, se anche gli aspetti sociali avevano la loro influenza, come alibi non avrebbero retto a lungo.
La sfrontatezza di Meyer, che inserisce senza alcun pudore o reticenza quegli elementi che ritiene stuzzicanti, ci costringe a fare i conti con le nostre convinzioni ed è proprio la qualità migliore del cinema dell’autore californiano. Anche la componente sadomasochistica, qui ribaltata rispetto ai film predenti, è usata da Meyer alla stessa stregua: non è tanto importante chi domini chi, ma è innegabile che questo modo di relazionarsi ci sia in qualche modo troppo famigliare. La figura dominante in questo caso è Varla, capace di accoppare a colpi di karate un paio di uomini nel corso del lungometraggio e di metterne fuori combattimento un altro, il forzuto noto come il Vegetale, schiacciandolo con l’automobile.
L’intento dell’autore è chiaramente quello di cambiare le carte in tavola rispetto ai suoi film precedenti, dove erano sempre gli uomini ad esercitare la violenza sulle donne; ma facendolo ci mostra come il fascino della violenza sia certamente connesso al sesso ma non abbia obblighi rispetto ai generi maschili o femminili. La fascinazione funziona cioè in qualunque direzione, e perfino in ambito omosessuale, come si può dedurre osservando come Varla sembri compiaciuta nel far soffrire Haji. Un approccio a temi delicati molto laico, da parte di Meyer, che pare interessato, per la verità, ad avere riscontro al botteghino ma, nel farlo, riesce ad offrirci un quadro assai lucido della situazione. In questo senso, nella spoliazione delle sovrastrutture sociali che determinano le scelte dei personaggi, Meyer non si limita alla sfera sessuale ma completa un valido discorso intrapreso in Motorpsycho! sul piano sociale.
Dei tre balordi in sella ai motocicli, uno soltanto ha delle concrete motivazioni sociologiche, essendo un ex combattente del Vietnam. Il tema è interessante, oltretutto il tizio in questione è di gran lunga il peggiore dei tre; del resto nei decenni a venire su questa scia si produrranno decine di film, tra cui molti veri capolavori. In realtà, nella sua prosaica lungimiranza, Meyer intuisce che il Vietnam, ovvero la guerra, sia un tema meno importante, meno cruciale, nella società moderna. E, oltre mezzo secolo dopo, possiamo costatare quanto avesse ragione. Gli altri due psicopatici motorizzati non hanno alcuna motivazione rilevante per il loro disagio: uno è un tipo vanesio, l’altro un immaturo. Ma, tutto sommato, possiamo dire che ci sia ancora un certo labile tentativo di dare una risposta sociale, per la loro sciagurata condotta; in Faster, Pussycat! Kill! Kill! questa traccia è lasciata completamente da parte. Le ragazze, bellissime, in buona salute e alla guida di costose automobili, hanno una condotta criminale senza alcuna motivazione che la giustifichi. La rivoluzione sessantottina incombeva, ma Russ Meyer già ci diceva che, se anche gli aspetti sociali avevano la loro influenza, come alibi non avrebbero retto a lungo.
Lori Williams
Haji
Tura Satana
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