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mercoledì 7 luglio 2021

SOLDIER'S LULLABY

848_SOLDIER'S LULLABY (Zapanska Za Vojnike). Serbia 2018; Regia di Predrag Antonijevic.

L’incipit e la chiusura di Zapanska Za Vojnike, film del 2018 distribuito nel mondo con il titolo anglosassone Soldier’s lullaby, sono tutto sommato simili, a simboleggiare una sorta di circolarità dello schema narrativo. Un po’ come se si stesse girando su sé stessi, riflettendo, in un certo senso; e, in effetti, Zapanska Za Vojnike è una sorta di moto interiore dell’ex soldato protagonista che ripercorre il proprio passato. Il racconto è infatti visto in flashback, vent’anni dopo gli avvenimenti. Stevan (Marco Vasiljevic) era un professore di biologia arruolato nell’esercito serbo nel 1914, nella Quinta Batteria di Artiglieria, col ruolo di sergente. Il grado Stevan lo aveva ottenuto grazie all’istruzione, in quanto non aveva competenze militari; inizialmente aveva palesato un certo disagio, a fronte dei suoi superiori, veterani di guerra. Il tenente Aleksandar (Vuk Jovanovic) era un tipo tosto, in grado di tenere pubblicamente testa ad un monumento come il comandante della batteria (Ljubomir Bandovic). Il maggiore non ammetteva debolezze o insubordinazioni ma il tenente non mancava di far presente quando gli ordini esponevano a rischi inutili gli uomini del reparto e questo suo rimbeccare al superiore, gli era concesso unicamente per il suo valore sul campo. Il comandante, per altro, sapeva il fatto suo: la sua eccessiva attenzione ai cavalli, quasi ritenuti più importanti degli uomini, aveva un suo fondamento, almeno a livello di strategia militare. Lo scoppio della Grande Guerra non proiettò, infatti, gli eserciti direttamente in quelle trincee che siamo abituati a vedere al cinema come luogo per antonomasia del conflitto. Innanzitutto bisognava arrivarci, al fronte, e per farlo bisognava marciare per interminabili giornate. 

In effetti per una grandissima parte di Zapanska Za Vojnike vediamo la Quinta Batteria d’Artiglieria in movimento verso il luogo degli scontri e, dovendo i nostri trasportare i cannoni, la salute degli animali diveniva cruciale. Tuttavia questa maniacale attenzione verso i quadrupedi da parte del comandante finisce per essere in parte travisata: non è un uomo cattivo, l’ufficiale, è che deve riuscire a portare i cannoni in zona di tiro. Il tenente Aleksandar è tuttavia di ben altra pasta umana: chiamato a rintuzzare un tentativo di insubordinazione di un reparto che stava abbandonando il proprio posto lungo la prima linea, convince quegli uomini a far ritorno sui propri passi. E a fronte della successiva richiesta del maggiore di fornirgli i nomi degli ufficiali coinvolti, si inventa la scusa di aver perso il taccuino, suscitando la muta ammirazione del protagonista Stevan. 

Il clima del racconto è generalmente greve anche se, nella truppa della Quinta Batteria d’Artiglieria, non mancano i classici marmittoni che non perdono occasione di scherzare. Eccoli lungo un fiume che stanno appunto dando luogo ad uno dei loro tipici siparietti, che sull’altra riva si palesano gli austriaci. E’ un agguato in piena regola: i serbi sono alle prese con un ponte appena costruito che si dimostra non adeguato, nonostante le rassicurazioni del capitano del genio militare. Il ponte crolla malamente nonostante l’artiglieria non avesse ancora cominciato l’attraversamento. La battaglia infuria, gli austriaci al coperto fanno fuoco senza pietà, poi interviene anche l’artiglieria imperiale a gettare i serbi nel panico. Dopo la battaglia, il capitano, che aveva sì costruito il ponte per la fanteria ma aveva assicurato che avrebbe permesso il passaggio dei cannoni, arriva a suicidarsi per il disonore. Non si mette bene, per la Serbia: la Bulgaria è entrata in guerra e, approfittando dell’impegno dei vicini slavi sul fronte austriaco, ha sfondato lungo il fronte macedone. Stevan è preoccupato per la sua famiglia e chiede il permesso di tornare al paese: il maggiore glielo nega, la patria innanzitutto. Il povero sergente è sempre più affranto e il tenente Aleksandar lo rincuora consegnandogli la licenza firmata proprio dal maggiore. In realtà si tratta di un falso, è lo stesso tenente ad aver copiato la firma del suo superiore che, il mattino dopo, informato della cosa, va naturalmente su tutte le furie. Ma le minacce di punizione al tenente vengono infrante dall’attacco austroungarico che arriva a spazzar via l’intero reparto serbo. Il maggiore sopravvive ed è proprio lui a ritrovarsi, nella cornice narrativa aperta nell’incipit, con il sergente per una rievocazione degli eventi. Stevan scopre così che la sua sopravvivenza fu legata ad un’azione irregolare del tenente Aleksander, un uomo il cui valore e il cui coraggio non gli fecero mai mancare la giusta considerazione per la vita umana. In guerra, in ogni guerra ma specialmente in un conflitto aspro come la Grande Guerra, merce rara. 






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