851_L'IMPERATORE DI CAPRI . Italia, 1949; Regia di Luigi Comencini.
Film che si apre subito con un’idea originale, (c’è
Totò che presenta interpreti e personaggi in luogo dei titoli di testa), L’imperatore di Capri è un’opera che ci
riserva una serie di trovate divertenti, soprattutto nella prima parte. Totò è
all’apice della forma e scalda subito l’atmosfera con una serie di giochi di
parole un po’ prevedibili ma comunque divertenti, nella brevissima fase onirica
ambientata ai tempi romani che apre il lungometraggio. Poi la scena si sposta
nella realtà contemporanea del racconto filmico e il principe della risata trova un degno compare di gag in Basilio
(Lino Robi), il piccolo cognato. Il paffuto bambinetto occupa una minima parte
della storia, praticamente solo quella ambientata a Napoli prima della scappatella di Antonio (Totò) a Capri,
ma la prestazione dell’infante è memorabile. Il monello riesce nella difficile
alchimia di funzionare alla grande sullo schermo, visto che converte l’inevitabile
artificiosità nella recitazione in naturale impostazione
da piccolo filibustiere. Dopo la scenetta della colazione, nella quale beve
ripetutamente il latte dalla tazza di Antonio, il discolo si premura anche di
fare la spia alla suocera sulla mancata osservanza del venerdi di magro da parte del cognato; spassosa la reazione di
Antonio che non tiene conto, nella rivalsa, dell’età del moccioso. A questo
primo gustoso scambio c’è poi un seguito telefonico,
nel quale Basilio profetizza ad Antonio che finirà all’inferno e lo minaccia
che gli sputerà in testa direttamente dal paradiso a cui invece si ritiene
destinato: un passaggio che lascia senza parole. Quasi inoffensiva, a paragone,
la replica dell’uomo con la gag tipicamente surreale del selz che spruzzato nel
microfono da un capo del filo telefonico esce nella cornetta dall’altro capo.
In ogni caso lo scambio di cortesie
tra Totò e il bambinetto è un eccellente fraseggio di comicità senza pudore.
La
trama ha alcuni passaggi molto curati, come la botta in testa di Antonio
durante il viaggio in motoscafo che giustifica l’asciugamani avvolto sul capo e
che agevola l’equivoco alla base dell’intera vicenda comica. Meno convincenti
alcune rese sceniche, come l’arrivo a Capri con le immagini accelerate per
simulare la velocità dello scafo o le gag col serpente posticcio; è un film di
Totò, d’accordo, per cui si potrebbe anche soprassedere su questi aspetti, ma
il cinema non è il teatro e, quindi, un minimo di verosimiglianza in più in
questi dettagli è lecito pretenderla. Deludenti anche le figure di contorno:
Mario Castellani (Asdrubale) è piuttosto anonimo e non riscattano la scena
nemmeno le tante presenze femminili. La più nota delle quali, Ivonne Sanson
(Sonia) è forse la vera delusione del lungometraggio: scarso fascino, scene
insipide e poca attitudine alla recitazione, un vero fiasco. In definitiva,
l’escamotage introduttivo con Totò che spiegava come stesse risparmiando agli
spettatori la fatica di leggersi i titoli di testa, è in realtà il manifesto
programmatico dell’opera di Luigi Comencini. Le potenzialità c’erano tutte, ma
per evitarsi troppa fatica si è scelto di trascurare quegli aspetti
(praticamente quasi tutti oltre alla presenza sullo schermo dell'attore napoletano) ritenuti non strettamente indispensabili. Alla fine L’imperatore di Capri è un film
divertente ma non certo quel capolavoro che avrebbe anche potuto essere.
Perché i capolavori sono frutto si di idee geniali (e quelle c’erano anche) ma
soprattutto di fatica. E, evidentemente, pensare di vederne spesa in modo adeguato in un film
che celebra con un premio in diamanti un truffatore, ladro e fedifrago sarebbe
francamente il colmo.
Yvonne Sanson
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