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giovedì 22 luglio 2021

CHATO

856_CHATO (Chato's land). Stati Uniti, 1972; Regia di Michael Winner.

Tra i tanti moti che percorsero i primi anni settanta, vi fu anche quello dell’esaltazione del singolo a discapito della collettività. Il che sembrerebbe in contraddizione con il carattere sociale della rivoluzione sessantottina che caratterizzò in modo dominante il grande fermento del tempo; ma in realtà, la necessità di far da sé tipica a tanti film (per restare in campo cinematografico) derivava proprio dalla delusione nella politica sociale che le varie comunità avevano tenuto. Nel cinema, fiorente fu il filone dei giustizieri che, vedendo la collettività annegare nella propria ingiustizia sociale, provarono a dare una sistemata (almeno nel proprio contesto filmico) con metodi diretti e spesso tanto risolutivi da poter essere considerati violenti. Questo tipo di atteggiamento sbrigativo era considerato di destra ma partiva da una matrice ascrivibile ai movimenti della sinistra; e questa contraddizione di fondo può forse spiegare una certa difficoltà nel leggere questo tipo di pellicole da parte della critica del tempo. Charles Bronson fu un’indiscussa icona di questo nuovo antieroe (la saga del giustiziere della notte dello stesso Winner basti come esempio) e il tardowestern Chato può essere considerato uno dei primi episodi in questo senso. Chato (Charles Bronson, appunto), il protagonista, è un mezzosangue che uccide uno sceriffo per legittima difesa, dopo esserne stato provocato in modo del tutto gratuito. Gli uomini della sparuta comunità si coalizzano per dare la caccia al meticcio, sobillati dai fratelli Hooker, col primogenito Jubal (Simon Oakland) in testa. A dare parvenza di legalità alla posse, ci pensa l’ex capitano Quincey (Jack Palance, nientemeno) che per l’occasione rispolvera la divisa confederata; per quanto nel film manchi un esplicito approfondimento in tal senso, sembra significativo che la legge venga rappresentata da una divisa che voleva disgregare il paese e difendeva la schiavitù. Chato è mezzo apache e, quindi, una volta nel deserto, disporrà degli avversari a piacimento, decimandoli uno ad uno, in modo lento ed inesorabile. Tra gli uomini che inseguono il fuggitivo, nel corso della storia, emergono differenti sensibilità e anche ad alcuni tra i peggiori elementi non mancano i momenti in cui sembra affiorare una certa umanità. 


Se per Joshua, il personaggio interpretato da James Whitmore, questo è evidente sin da subito ed è dovuto alla carica umana che trasmette la figura dell’attore in modo naturale, va riconosciuto al capitano Quincey un certo senso dell’onore, e persino il giovane Hooker, Earl (Richard Jordan) abitualmente pervertito, violento, razzista e vigliacco, ha un moto positivo nella romantica e in un certo senso ingenua intenzione di rapire per se la donna di Chato (dopo, per la verità, averla violentata). Ma i dubbi, le incertezze, i timori di sbagliare nel dare la caccia ad un uomo come fosse una bestia, vengono tenuti in scacco dall’arrogante sicurezza di essere nel giusto a prescindere, peculiare caratteristica di Jubal Hooker, sempre spalleggiato in questo dai suoi fratelli. Alla fine quello che se ne può dedurre è che una società fondata sull’ingiustizia, (in fondo il film è un western e la questione indiana è presente fin nel sangue del protagonista) non può che produrre ingiustizie e forme aberrate di collettività.
A quel punto, meglio far da soli. Con buona pace dei benpensanti dell’intellighenzia critica del tempo.






Sonia Rangan

2 commenti:

  1. questo discorso della società che non funziona, per cui ci si sente legittimati a non seguirne tutti i dettami, è quantomai attuale :-\
    certo se parliamo di farsi giustizia da soli il discorso si complica e forse è giusto che rimanga nei confini della narrativa western...

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  2. Si, devo forse precisare che la rece è di qualche anno fa e la programmazione sul blog la faccio con un mese di anticipo; quindi eventuali riferimenti a fatti di cronaca sono dettati dal caso. Nell'evidente riferimento specifico, ovviamente. Perchè che ci sia un problema di sicurezza a 360° gradi, è ormai acclarato da decenni e, quindi, sarebbe 'un caso' se non ci fosse la coincidenza tra la pubblicazione di un post di un film sui giustizieri ed un episodio di cronaca in qualche modo collegabile.

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