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sabato 31 luglio 2021

CEUX DE 14: EP. 1 ALLONS ENFANTS (a seguire QUANDO A STORIA...)

861_CEUX DE 14: EP. 1 ALLONS ENFANS . Francia, 2014; Regia di Olivier Schatzky.

Tratta dall’omonimo testo autobiografico di Maurice Genevoix, Ceux de 14 è una serie televisiva francese prodotta nel centenario dello scoppio della Grande Guerra. L’incipit del primo episodio ci proietta già in una fase cruciale del conflitto ma successivamente il racconto ritorna all’inizio, alla vita da borghese, frivola e spensierata, dello studente universitario Maurice Genevoix (Théo Frillet) che, in riva alla Marna, vediamo scherzare con Lucien (Baptiste Chabauty), Idalie (Esther Comar) e Yvonne (Marie-Ange Casta). La chiamata alle armi è accolta con entusiasmo dai giovani che, evidentemente, non avevano la minima idea di quello a cui sarebbero andati incontro; era però il clima dell’epoca. In questo capitolo iniziale, il regista Olivier Schatzky se la prende comoda e alimenta il tenore del racconto con un paio di pennellate metalinguistiche: il titolo Allons enfants che si rifà all’attacco della Marsigliese (l’inno nazionale francese) e i soldati blu ripresi in senso letterale e non solo per via delle divise. I volti dei militari appaiano infatti bluastri a causa di un fango sul volto nelle scene dell’introduzione che, come detto, ci mostra una fase successiva alle principali vicende narrate in questo episodio. Un aspetto sorprendente del film è quello ambientale: non le fangose trincee e la martoriata e brulla terra di nessuno a cui siamo abituati quando si parla della Prima Guerra Mondiale, ma la verde campagna francese: distese di prati a perdita d’occhio. La Grande Guerra è ancora agli arbori e ancora non si vedono i devastanti risultati che avrà anche sul paesaggio. 

Al termine della galleria fotografica del film, QUANDO LA STORIA... l'appendice storica di Antonio Gatti: 
IL PIANO SCHLIEFFEN: CRONACA DI UN DIBATTITO STORIOGRAFICO




Marie-Ange Casta


Appendice storica.

QUANDO LA STORIA... a cura di Antonio Gatti.

IL PIANO SCHLIEFFEN: CRONACA DI UN DIBATTITO STORIOGRAFICO

Dal momento in cui, con la fine della guerra, in Germania si cominciarono a cercare le cause della sconfitta e ad elencarne i responsabili, si iniziò subito un dibattito acceso sui motivi per cui il piano tedesco iniziale per l’invasione della Francia, non riuscì a replicare la brillante vittoria del 1870.
In breve, il piano adottato dal capo di stato maggiore Helmuth von Moltke jr. era stato concepito dal suo predecessore, Alfred von Schlieffen (da cui il nome) e prevedeva un rapido attacco contro l’avversario che si sarebbe concentrato in meno tempo in uno spazio minore (la Francia) mentre si sarebbe dovuta mantenere una rigida difensiva contro l’impero zarista a oriente. La Francia avrebbe dovuta essere attaccata dal fiore dell’esercito tedesco, sei armate, delle quali quelle formanti l’ala sinistra e centrale avrebbero dovuto fornire attacchi di mero supporto a quella che era l’offensiva principale, che sarebbe toccata all’ ala destra dell’esercito (I, II e III armata) che avrebbe dovuto violare la neutralità belga per implementare le sue direttive d’attacco. L’obiettivo di questa gigantesca Canne avrebbe dovuto essere l’esercito francese e non la capitale, Parigi: l’esercito francese avrebbe dovuto essere circondato dall’ala destra tedesca e poi chiuso in una fatale morsa dall’intero esercito teutonico. La I armata, l’appendice estrema dell’ala destra, allo scopo di allargare ulteriormente la tenaglia, doveva disinteressarsi completamente di Parigi, anzi continuare la marcia tenendosi la capitale alla sua sinistra, in modo da includerla nell’ambiziosa operazione di accerchiamento. Una volta distrutto l’esercito francese, i tedeschi avrebbero rapidamente spostato tutti i soldati a oriente per un confronto finale contro l’esercito zarista che si prevedeva, a quel punto, avesse già finito la sua più complicata mobilitazione e iniziato le prime fasi offensive. Era centrale, secondo questo piano, una certa dose di rischio nello sguarnire il fronte orientale ma, soprattutto, nel rafforzare l’ala destra dell’esercito operante in Francia, a discapito dell’ala centrale e sinistra. Leggenda vuole che le parole di Schlieffen sul letto di morte fossero state: Rinforzate la destra!
Von Moltke jr. adottò la filosofia generale di questo piano, apportando alcune basilari modifiche, per cui gli storici preferiscono parlare di piano Schlieffen-Moltke. Innanzitutto, le forze sul fronte orientale seppure comunque decisamente minoritarie rispetto a quelle sul fronte opposto (una armata contro cinque) erano comunque superiori a quelle previste da Schlieffen, con la possibilità di essere ulteriormente rinforzate durante la campagna. Questo era un aggiornamento al piano che teneva conto delle grandi migliorie operate dall’impero zarista nell’ambito dei trasporti ferroviari (in gran parte finanziati da capitalisti anglofrancesi) con conseguente accorciamento dei tempi di mobilitazione. Inoltre, Moltke, tenendo conto che l’offensiva francese sarebbe caduta proprio sul lato sinistro e centrale dell’esercito tedesco rafforzò in parte queste due ali, a discapito della destra.

Il piano Schlieffen-Moltke finì sotto pesanti critiche ancora prima di essere utilizzato. Assolutamente contraria era la Kaiserliche Marine, la Marina tedesca, la quale comprendeva chiaramente che la violazione della neutralità belga avrebbe fatto scendere in campo gli inglesi con la loro terribile Royal Navy; gli austriaci lo vedevano come il fumo negli occhi, così lo Stato di Baviera; molti ufficiali dello Stato Maggiore erano scettici a riguardo, ma Moltke jr. vinse la battaglia argomentando che con questo piano si sarebbe sfruttato al meglio quello che era il vantaggio iniziale tedesco, cioè la rapidità della mobilitazione e la maggiore disciplina.
La storiografia classica ha sempre visto von Schlieffen come una specie di giocatore di scacchi, un uomo dalla cultura libresca senza contatti con la realtà, che voleva riprodurre sul campo di battaglia quello che leggeva negli scrittori classici sulla battaglia di Canne. Secondo questa visione, von Moltke era un po’ l’opposto: un uomo più insicuro, dalle credenze stravaganti (riteneva imminente la Parusia, la Seconda Venuta di Cristo), più attento ai rischi impliciti nel piano; da qui le sue modifiche, che se da una parte diminuivano i rischi, dall’altra annullavano drasticamente le possibilità di una rapida vittoria. La storiografia classica ha visto quindi il piano Schlieffen-Moltke come il progetto ambizioso, impossibile, di un pedante, corretto, per quanto possibile, in modo insicuro da un pragmatico che però non ebbe abbastanza carattere per cambiarlo del tutto.
Recentemente, il dibattito storiografico si è acceso di nuovo intorno al piano Schlieffen con toni anche aspri, principalmente dovuti alla personalità stravagante di Terence Zuber, lo storico americano che- come vedremo- ha contestato alla radice la lettura di cui sopra.
Non è l’unico: la storica Annika Mombauer nel suo capitale Helmuth von Moltke and the Origins of the First World War, finalmente smonta l’immagine di un von Moltke leader indeciso, quasi trascinato dagli eventi, costretto ad adottare un piano del quale lui, per primo, non era convinto. Mombauer dimostra invece il ruolo di von Moltke nello stesso processo decisionale che portò alla guerra, la sua ambizione di emergere come leader di una Germania vittoriosa, la sua personalità tutt’altro che debole nel costringere i riluttanti ad accettare il piano Schlieffen-Moltke e ad attenersi rigidamente ad esso.
Terence Holmes, da parte sua, argomentò dopo una serie di studi sulle fonti primarie che il piano Schlieffen originale prevedeva, sì, un attacco alla Francia, ma solo in caso di guerra con la sola Francia. In caso di entrata in guerra della Russia, secondo Holmes, Schlieffen avrebbe preferito un’altra strategia, più elastica e meno rigida.
In questo contesto fu pubblicato il libro-bomba di Terence Zuber, provocatorio fin dal titolo: Inventing the Schlieffen Plan. Inventare il piano Schlieffen. Terence Zuber, un ex ufficiale dell’esercito americano laureatosi in Storia in Germania, è un esperto della Battaglia delle Frontiere e della campagna tedesca del 1914. I suoi libri sono audaci, provocatori (ricordiamo The Mons Myth, nel quale distrugge il mito della battaglia di Mons, riducendolo a quello che è: una disastrosa sconfitta degli inglesi con ritirata alla si salvi chi può), però sono anche dettagliati, basati esclusivamente su fonti primarie. Il carattere di Zuber è spigoloso, difficilmente accetta tesi contrarie alle sue, come durante il dibattito con Holmes sul piano Schlieffen.
In breve, la tesi di Zuber è radicale: il piano Schlieffen è stato un mito creato ad arte negli anni ’20 da un gruppo di ufficiali che voleva trovare un capro espiatorio per il fallimento della campagna del 1914. Prova ne è, secondo Zuber, il fatto che Schlieffen non abbia mai stampato lo schizzo del piano – come fece con altri progetti operativi- ma che fosse appunto, solo uno schizzo, che semmai avrebbe dovuto dimostrare il contrario e cioè che la Germania NON AVEVA le forze necessarie per una grande battaglia di accerchiamento e quindi doveva tenere conto di questa debolezza nel preparare la guerra su due fronti. Secondo Zuber, né Schlieffen, né Moltke sognavano una rapida vittoria e una Canne in grande stile: il loro intento era di controbattere all’attacco francese, che si sarebbe sviluppato forzatamente verso la Lorena e le Ardenne (ala centrale e sinistra tedesca) con una sostanziale strategia elastica, che si sarebbe dovuta evolvere a seconda della reazione francese al fallimento dei loro attacchi – e i tedeschi erano sicuri di battere i francesi in Alsazia e nelle Ardenne. In questo contesto, le “modifiche” di Moltke, che prevedevano un’ala sinistra molto forte, non erano violazioni di un immaginario piano Schlieffen, ma semplici accorgimenti che vanno letti nell’ottica di questa strategia elastica difensiva-offensiva secondo la quale era vitale in primis parare il colpo francese sull’ala sinistra e poi reagire con decisione. Le offensive sull’ala destra, invece, erano previste per eliminare un problema piuttosto serio: i forti belgi e francesi che, in caso di difficoltà tedesca, sarebbero stati i perni attorno al quale il nemico avrebbe montato la sua offensiva verso il Reich.
In un certo senso, secondo la concezione di Zuber, gli eventi che portarono alla Marna non furono frutto di un piano prestabilito, ma di un duplice sviluppo della condotta alleata, che i tedeschi non si aspettavano fino in fondo: da una parte, le armate francesi in Lorena fallirono sì le offensive, come previsto, ma resistettero egregiamente al contrattacco tedesco anche in virtù di una eccellente tecnica ed utilizzo delle armi pesanti; dall’altra parte, proprio i forti belgi e francesi del nord, che suscitavano più timore, dopo una prima resistenza feroce, crollarono provocando una ritirata generale delle forze britanniche e francesi nell’area, una ritirata verso Parigi che attrasse l’ala destra tedesca al loro inseguimento e che aprì un gap fra due metà delle forze armate teutoniche, una vittoriosa e marciante (l’ala destra) e l’altra tenuta ferma dalla resistenza dei francesi. Non fu insomma l’aderenza ad un piano fisso prestabilito decenni prima a determinare la sconfitta dei tedeschi, semmai il contrario: fu la loro incapacità a implementare la strategia fluida sulla quale si basavano le premesse della campagna.

Hew Strachan, nel suo The First World War: To Arms! (primo libro di una tetralogia che purtroppo non sarà mai completata per problemi personali dell’autore), pur non addentrandosi nel dibattito, riconosce comunque che quello della “vittoria rapida” è un cliché post-bellico e storiografico. Gli Stati Maggiori di tutti gli eserciti erano consapevoli della superiorità tecnologica delle armi difensive su quelle offensive, per cui si aspettavano una guerra lunga. In questo senso, possiamo vedere i presupposti base del piano tedesco come persino realizzati: scardinare le “porte” della Francia (i forti), portare la guerra in territorio nemico, impedire una invasione della Germania da Occidente.
Sicuramente la tesi di Zuber contiene elementi di radicalità, come tutte le tesi nuove costrette a combattere per farsi strada, ma poggia su elementi di indubbio interesse che non possono essere ignorati dalla storiografia:
-non esiste, durante la carriera ufficiale di Schlieffen, alcuna pubblicazione ufficiale in merito al piano Schlieffen. Gli altri piani, invece, sono stati stampati e distribuiti agli alti ufficiali
-la tesi di un piano Schlieffen che prevedesse la scommessa totale sull’offensiva dell’ala destra è incompatibile con le “modifiche” di von Moltke, in particolare con il rafforzamento, quantitativo ma anche qualitativo, dell’ala sinistra e con la disponibilità di quest’ultima al contrattacco, la quale si evince dalle forti perdite.
-nessuno prima e durante la campagna del 1914 si è riferito al piano Schlieffen come ad una cieca scommessa sull’ala destra, dalla quale dipendeva il destino della guerra e del Reich stesso. Gli elementi negativi rilevati dai suoi critici erano in merito alla violazione della neutralità belga, che avrebbe automaticamente comportato l’entrata in guerra della Gran Bretagna. I difensori della strategia pensavano, invece, che l’Inghilterra sarebbe entrata in guerra ugualmente ed avrebbe usato i porti belgi a suo piacimento: per questo la violazione della neutralità era, dal punto di vista dei motlkiani, una necessità di guerra.
Intorno a questi che sono dati di fatto indiscutibili, il dibattito sul piano Schlieffen non si è ancora concluso oggi. 

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