1689_PAPARINO , Italia 1959. Regia di Giacomo Vaccari
In origine, quella che venne chiamata «prosa televisiva» in Rai consisteva in una sorta di «teatro
filmato» che, con i suoi tempi, evolse poi nei celebri Sceneggiati come oggi li
ricordiamo. In effetti questo tipo di produzioni erano trasmesse con una certa
frequenza dall’emittente nazionale e ci sono autori, come ad esempio Giacomo
Vaccari, che prima di focalizzare il loro lavoro sul nuovo «genere» –lo
sceneggiato televisivo, appunto – si cimentarono spesso con questo tipo di
opere. I debiti con il teatro sono enormi, in sostanza si potrebbero definire gli
studi di registrazione Rai come un vero e proprio palcoscenico e l’udienza
televisiva come gli spettatori accorsi per la rappresentazione. Come detto
Vaccari realizzò numerosi di questi che vengono comunque considerati film a
tutti gli effetti, almeno stando alle sue filmografie reperibili in rete; nel
1959 la Rai tramise Paparino, una commedia tratta da una pièce di Dino
Falconi. Correva il 1949 quando Falconi scrisse appunto Paparino, una
commedia leggera piena zeppa di equivoci, in una stagione in cui il teatro era
concentrato su altri temi, più seri e drammatici: eppure all’Olimpia di Milano,
il pubblico apprezzò. [Baglio Gino, Tre atti farseschi di Dino Falconi, Paparino, Radiocorriere
Tv, n. 45, 8-14 novembre 1959, pagina 43]. Dopo un passaggio in radio nel 1951, la
commedia di Falconi approdò anche in televisione, per una messa in scena, come
detto, diretta da Giacomo Vaccari. I crediti attribuiscono lo scritto anche a
Luigi Motta, coautore insieme al già citato Falconi, per quel che riguarda gli
interpreti protagonisti si possono ricordare Umberto Melnati, è Stefano Marchi,
Anna Menichetti, è Marta, e Mario Scaccia, è Giuseppe Marchi.
Al netto dei
continui imbrogli ed equivoci della trama, il canovaccio verte sulla contrapposizione
tra i fratelli Marchi: Stefano, autore di commedie, e Giuseppe, operoso
imprenditore. Tanto il primo è un perdigiorno, spendaccione, e sensibile al
fascino delle attricette, come Marta, che frequentano il suo ambiente, quanto
l’altro è morigerato e austero, ligio ai severi doveri famigliari.
Un’impostazione che ricorda Signori si nasce [Signori si nasce, Mario Mattoli, 1960], con Totò nel ruolo
del fratello frivolo e spendaccione e Peppino De Filippo in quelli del serio
lavoratore, del resto anche il film di Mattoli si basava appunto sulla commedia
di Falconi. La prosa televisiva della Rai del 1959 non era paragonabile al
contemporaneo cinema di Cinecittà, così come Umberto Melnati e Mario Scaccia
non reggono il confronto diretto con Totò e Peppino. E anche il pur volenteroso
Giacomo Vaccari, chiamato ad una gestione discreta della ripresa televisiva,
non può competere con un vecchio marpione della Settima Arte come Mattoli, al
tempo all’apice di una lunga e fortunata carriera. E, già che ci siamo, anche
da un punto di vista del fascino femminile, la pur gradevole Anna Menichetti
non ha certo il fascino di Delia Scala che, al tempo di Signori si nasce,
aveva una trentina d’anni ma la proverbiale freschetta assolutamente
inalterata. Eppure, Paparino non sfigura affatto nel confronto
complessivo con l’illustre rivale cinematografico o, perlomeno, raggiunge il
suo scopo, divertendo e facendo sorridere quando non ridere gustosamente. Di
più: nel film televisivo, la critica sociale, l’accusa al perbenismo borghese,
appare più efficace, perché Giuseppe, quando è vittima dell’ultimo inganno,
essere accusato di avere avuto una scappatella ai tempi dell’università, accusa
il colpo. La verve di Totò e l’accondiscendente capacità di fargli da spalla di
Peppino, disinnescano, al contrario, questi aspetti «impegnati» del testo, che
nell’opera di prosa televisiva emergono ancora graffianti. E, a conti fatti,
non solo tra Paparino e Signori si nasce un confronto non è del
tutto fuori luogo, ma potrebbe avere esiti sorprendenti.
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