TEMPORALE ALL'ALBA
841_TEMPORALE ALL'ALBA (Storm at Daybreak). Stati Uniti, 1933; Regia di Richard Boleslawski.
Adattamento dell'opera teatrale ungherese Feketeszaru Csereszyne di Sander
Hunyady, Temporale all’alba è un film
romantico dai toni melodrammatici ambientato prevalentemente al tempo della Prima Guerra Mondiale nell’area geografica di Bacska. Per la verità il film comincia a Sarajevo e con
un leggero anticipo, ovvero il giorno della sfilata per le vie della città
bosniaca dell’Arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono dell’Impero Austro
Ungarico. Siamo dunque a Sarajevo proprio in quel fatale 28 giugno del 1914: le
scene dell’attentato, molto evocative, irrompono nell’atmosfera di festa
popolare che il regista Richard Boleslawski riesce efficacemente ad
orchestrare. La sequenza dell’attentato è molto articolata e ben costruita: il
clima di festa è presto guastato da alcuni sonori fischi al passaggio del
convoglio di Francesco Ferdinando (Frank Conroy). La figura nell’ombra è quella
di Gavrilo Princip (Misha Auer), l’Arciduca sospetta qualcosa e si agita ma è
troppo tardi: la ripresa attraverso la grata di una finestra ci dice che è in
trappola, come una mosca nella ragnatela. Ora anche Duchessa Sophie (Margaret
Dumont) ha compreso il pericolo, l’auto prova a fare retromarcia ma Princip è
ormai arrivato: la macchina da presa sale perpendicolarmente sopra l’auto per
mostrarci come non ci sia più scampo per la coppia. La violenza del piano
americano che inquadra perfettamente Princip esplodere i colpi, l’arciduca e la
duchessa feriti mortalmente, poi una ripresa più generale dell’auto, con il
braccio della dama che si affloscia, mentre la folla si agita sempre più.
Una
serie di primi piani di gente in preda al panico, tra cui quello di Princip
ferito, alimenta la tensione nella rappresentazione di uno dei momenti cruciali
della Storia. Tra le grida di sgomento si levano anche gli hurrà! degli irredentisti serbi subito repressi dalla milizia
regolare, per un generale parapiglia realizzato in modo molto convincete da
Boleslawski. Complessivamente il film mantiene, da un punto di vista della
ricostruzione scenica, il prestigio della MGM, pur non essendo chiaramente uno
dei titoli di richiamo dell’illustre studio di produzione. Se c’è la giusta
attenzione ai costumi tradizionali o alle divise militari, dal punto di vista
narrativo l’incipit dal sapore squisitamente storico si rende necessario per inquadrare
la vicenda. Infatti l’iniziale stato di tensione tra i protagonisti del
triangolo amoroso su cui verte la trama, è legato più che altro alla situazione
politica della regione in cui si svilupperà l’intreccio narrativo. Il capitano
dell’esercito magiaro Geza (Nils Ashter) arriva in una fattoria della Bacska,
regione sotto il controllo ungherese ma reclamata dalla Serbia, alla ricerca di
ribelli irredentisti. Irina (Kay Francis), simpatizzante dei fuggitivi, li
nasconde nella stalla quando finalmente giunge suo marito Dushan (Walter
Huston). L’arrivo del consorte la rinfranca anche perché Dushan è, ironia della
sorte, fraterno amico di Geza. Addirittura, proprio in quel di Sarajevo poco
prima dell’attentato, l’uomo aveva invitato il militare ad andare a trovarlo
per presentargli la sua giovane sposa. Ironia doppia, seppure per il povero
Dushan alquanto amara, perché sarà proprio Geza che andrà a rompere la sua armonia
famigliare.
Ma sarà una storia d’amore anche di natura geopolitica: un militare
ungherese alle prese con una donna serba, sposata ad un uomo che cerca di
barcamenarsi come può, essendo tra l’altro il sindaco del paese e quindi tenuto
a rispettare tanto l’autorità quanto le aspirazioni dei suoi concittadini.
Questo suo essere accomodante, probabilmente, gli impedisce di comprendere che
quello che era nato come un diversivo per distogliere Geza dai suoi doveri
militari, e far così dileguare i fuggitivi, si era tramutato in qualcosa di ben
più concreto. Ma, nonostante queste tensioni di natura politica, il clima della
storia è tenuto allegro in primis dall’esuberanza di Dushan, ma anche e
soprattutto dalla presenza dello straordinario Eugene Palette nel ruolo di
Janos. Il massiccio attendente di Geza flirta con Militza (Louise Closser
Hale), donna che rivaleggia con lui in fatto di prestanza fisica, mentre ad alleggerire il clima narrativa ci
pensano anche uno stuolo di ragazze giovani che amoreggiano coi soldati magiari
e un pittoresco gruppo di gitani. Soltanto Irina diventa sempre più triste ed insofferente,
via via che cede al fascino della divisa dell’aitante Geza, mentre lo
scombinato marito continua a non sospettare di nulla. Ma il suo essere un po’ alla buona non deve essere equivocato:
quando denunciato da uno dei suoi dipendenti per aver aiutato i fuggiaschi è in
grado di far rimangiare le accuse al traditore e di licenziarlo su due piedi.
Il vile Panto (C. Henry Gordon) tornerà però sulla scena proprio nel finale, a
guerra finita, clamorosamente nel ruolo capo della polizia serba del paese.
Stavolta il gioco di Panto è scoperto e la sua preda è Geza, rimasto nel
presidio anche dopo la sconfitta dell’impero Austro Ungarico. La situazione
precipita: Irina è sempre più disperata e perfino Dushan si accorge che sua
moglie ama ormai convintamente il suo migliore amico. L’uomo sembra perdere la
testa ma, con un colpo di scena adeguato al tenore melodrammatico della
vicenda, protegge sua moglie e l’amante mentre inganna Panto invitandolo ad
inseguirli a bordo del suo carro. E, alla fine di una drammatica corsa, che
riprende lo stile enfatizzato dell’incipit in quel di Sarajevo, lo trascina con
sé nel dirupo. Per una pacifica convivenza tra popoli diversi, simboleggiata
dalla serba Irina e dall’ungherese Geza, occorre quindi liberarsi di traditori
e voltagabbana. Nel dirupo ci sarebbe sempre posto.
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