825_QUEL ROSSO MATTINO DI GIUGNO (Sarajevski atentat). Jugoslavia, Cecoslovacchia, Ungheria, Germania Ovest, 1975; Regia di Veljko Bulajic.
Il cinema, come forma d’arte, sottintende una fondamentale soggettività: e questa sua scoperta e dichiarata impossibilità ad essere neutrale, apparentemente un limite, è al contrario la sua vera qualità. Concettualmente perché l’arte, per definizione, non è documento, è direttamente verità; diversamente è un falso. Più prosaicamente perché il sapere che la macchina da presa è gestita da qualcuno ci rivela che quella offerta è giocoforza una visione parziale delle cose. Infatti si dice, Quel rosso mattino di giugno - Attentato a Sarajevo di Veljko Bulajic. “Di Veljko Bulajic”: ovvero, è la sua visione sull’argomento. Insomma, il cinema, a differenza dell’informazione giornalistica che si spaccia sempre per credibile, ammette quasi sempre di non esserlo in senso realistico, storico: la famosa didascalia che ci avvisa che i fatti e i personaggi dell’opera sono immaginari che si vede in tanti film (ma non in questo) lo mette anche per iscritto. Tutto questo per dire che la traccia, un po’ estemporanea quanto ostentata, che nel lungometraggio di Bulajic cerca di convincerci che il tema dell’opera sia che solo i fatti di Sarajevo abbiano chiuso il IXX secolo, è forse superflua. Più volte nel corso della narrazione la disputa scherzosa tra Francesco Ferdinando (Christopher Plummer) e la moglie Sophie Chotek (Florinda Bolkan) verte sull’annosa questione di come stabilire il cambio di secolo, nello specifico se con il 1899 o con il 1900. Una didascalia finale conferma che quella era la chiave di lettura, almeno secondo l’autore, per comprendere l’importanza dell’attentato: il XX secolo iniziava quindi il 28 giugno 1914.
Interpretazione anche condivisibile che, con il suo fascino, rischia, ma forse dovremmo dire cerca, di distoglierci dal vero elemento importante del film. Che è l’ottica filo-bosniaca con cui è impostato Quel rosso mattino di giugno - Attentato a Sarajevo. E che non è necessariamente un limite, sia chiaro: il limite dell’opera è, semmai, in quei dettagli, di cui il più vistoso è la citata traccia esplicita ostentata in primo piano, che cercano di dissimulare una evidente ma anche legittima, visto l’argomento, faziosità. Ad esempio, nella scena dell’attentato, che viene ripresa tramite insistiti campo e controcampo sui primi piani dei protagonisti, tanto da sembrare quasi un gigantesco ralenti, c’è una evidente artificiosa ricostruzione tesa a dimostrare come
E’ un inutile ricamo oltretutto smentito dal fatto che l’attentato prevedeva l’uso di bombe (come la prima effettivamente lanciata quel mattino) e quindi una sostanziale approssimazione nel coinvolgimento dello scoppio era messa in conto dagli attentatori. Ma, per quanto plausibile, anche tutta quanta la manovra narrativa che va a sfogliare le responsabilità lascia un po’ perplessi nella puntigliosità con cui è sottolineata: si comincia ammettendo esplicitamente il coinvolgimento della Serbia, ma poi agli attentatori arriva la notizia che gli austriaci sanno del complotto e che non vogliono fermarlo anzi, ne attendono l’esito per utilizzarlo come pretesto per la guerra. Scoppiano dissidi tra i membri della stessa cellula terroristica perché alcuni non vogliono attenersi al contrordine che, per evitare di fare il gioco di Vienna, vorrebbe a questo punto mandare tutto a monte.
La responsabilità dell’azione cruciale diviene così personale e non più collettiva: a questa strategia comunicativa sembrano iscriversi anche i ripetuti scambi di sguardi tra Gavrilo Princip (Irfan Mensur) e la coppia reale, che si incrociano due volte nel corso del film; e le occhiate reciproche culminano in modo troppo enfaticamente consapevole nel momento dell’attentato. Insomma, seppur l’ottica del film ne giustificherebbe anche le istanze irredentiste, quello che emerge è che l’attentato alla fine non sia stato voluto né dai bosniaci e nemmeno dalla Serbia e che in ogni caso anche quei pochi ostinati, come Princip, che hanno portato avanti il piano originario, non volevano certo uccidere una donna, nel dettaglio la duchessa Sophie. Che, per inciso, nel film fa un figurone: Florinda Bolkan è splendida di suo e particolarmente a suo agio nella parte, mentre anche il marito scherzosamente ne riconosce la supremazia famigliare.
D’altra parte era boema e non austriaca e quindi, in qualità di appartenente ad una minoranza etnica dell’Impero, si può capire la simpatia di Bulajic nei suoi confronti. Fatte queste lunghe premesse, che al cinema possono essere necessarie per inquadrare il film nel migliore dei modi, Quel rosso mattino di giugno - Attentato a Sarajevo è un ottimo testo dal punto di vista bosniaco della vicenda. Non in senso politico, di quello si è detto, ma culturale e sociale. I tre ragazzi che partono per compiere l’attentato del secolo, Nedeljko (Radoš Bajić), Trifko (Jan Hrusínský) e Gavrilo Princip, sono normalissimi ragazzi, non delinquenti. La parte migliore del film è forse proprio il loro viaggio, la partenza in battello da Belgrado, l’attraversamento della Drina, la tappa a Tuzla, in Bosnia, i rischi corsi sul treno e nei paesini, fino all’arrivo a Sarajevo. Accompagnarli nel loro tragitto ci permette di dare uno sguardo a luoghi in genere ignorati dal cinema mainstream: quello che si può notare è, come detto, che i tre giovani sembrano ragazzi comuni, con i loro dissidi e le loro questioni ma anche un pizzico di allegria e spensieratezza. Princip è, per la verità, il più cupo, mentre Nedelijko il più su di giri; Tifko una via di mezzo. C’è spazio anche per una lieve traccia sentimentale con la ragazza che ha un’intesa con Nedeljko, appunto il più disinvolto dei tre, ma che interviene per cavare dai pasticci Princip, durante un controllo sul treno.
Il film si prende così qualche momento leggero, ad esempio anche nelle provocazioni reciproche delle bande musicali degli opposti eserciti sulle sponde della Drina. E l’umanità semplice ma genuina di queste scene popolari è messa in contrasto coi passaggi in cui sono sullo schermo gli Asburgo: invecchiato ma assai coriaceo Francesco Giuseppe (Otomar Korbelàr), impettito il generale Conrad (Wilhelm Koch-Hooge) ed effettivamente vanitoso Francesco Ferdinando (come gli viene rinfacciato nel film). Lo scontro tra l’Imperatore e il nipote erede al trono è durissimo e verte principalmente sul ruolo della Duchessa Sophie, apertamente osteggiata da Francesco Giuseppe ma molto influente per il marito. Riflettendoci, l’idea che la teoria dell’attentato come fine del secolo sia l’architrave del film non è poi così estemporanea. A confronto con la vivacità del mondo reale, quello della vita di tutti giorni (insomma, quello bosniaco), le scene con l’imperatore e gli ufficiali sembrano davvero appartenere ad un'altra epoca. Solo
Appendice storica.
QUANDO LA STORIA... a cura di Antonio Gatti.
DOMENICA 28 GIUGNO 1914
Oskar Potiorek, il governatore
austriaco della provincia di Bosnia, accoglie l’arciduca ereditario Francesco
Ferdinando e la moglie Sofia Chotek alla stazione di Sarajevo. L’occasione è
importante per Potiorek, un carrierista convinto di meritare una posizione più
elevata di quella, già importante, che occupa; la sua sotterranea rivalità con
Conrad, il capo di Stato maggiore austriaco, non gli impedisce infatti di
essere il governatore militare di una provincia di recente annessione e il
comandante designato in caso di guerra con
Sette automobili formavano il corteo che doveva accompagnare Francesco Ferdinando e la moglie al municipio, attraversando il lungofiume Appel intasato di gente. L’arciduca si trovava sulla terza automobile, una decapottabile guidata dal conte Franz von Harrach e sulla quale si trovava, alla destra del marito, anche Sofia Chotek; Potiorek vigilava su tutti. Erano circa le 10 del mattino quando il corteo si infilò sul lungofiume che correva parallelo al Miljacka, il corso d’acqua che attraversa Sarajevo, quel giorno piuttosto basso.
DALLA STAZIONE AL MUNICIPIO: L’ATTENTATO FALLITO
1. -Mohamad Mehmedbasic è il
primo dei terroristi a vedere passare il corteo; armato con una granata,
Mehmedbasic non ha però il coraggio di lanciarla e lascia sfilare le sette
automobili senza interferire. La giustificazione che addurrà successivamente
per questo fallimento riguarda la presenza di un poliziotto nelle vicinanze.
2. -La seconda opportunità
capita a Nedeljko Cabrinovic, il quale attiva la sua bomba a mano, di forma
rettangolare, sbattendone l’innesco contro un lampione e lanciandola poi in
direzione dell’auto dell’arciduca. La fretta, dettata dalla paura e
dall’emozione, lo spinsero a lanciare subito la bomba, dimenticando che tra
l’innesco e l’esplosione correvano circa 12 secondi, tempo che fu sufficiente
all’autista della decapottabile, il quale aveva notato il lancio di qualcosa,
per evitare il peggio accelerando bruscamente; la bomba rimbalza contro il
cofano della vettura, e esplode in strada, ferendo due ufficiali (Eric von
Merizzi e il conte Boos-Waldeck) a bordo dell’auto che seguiva nonché alcuni
civili che stavano assistendo al corteo. Cabrinovic inghiotte una
pillola di cianuro, e si getta nel fiume: il cianuro gli provoca solo il vomito
e il fiume è in secca, consentendo perciò l’arresto dell’attentatore.
3. -Danilo Ilic è un altro
attentatore che non approfitta della confusione creatasi dall’esplosione della
bomba di Cabrinovic e dal temporaneo stop della vettura dell’arciduca, il quale
chiede notizie degli ufficiali feriti.
4. -Vaso Cubrilovic, il più
giovane dei terroristi, e quello destinato alla carriera più fulgida di
studioso e politico, a sua volta rimane interdetto sul da farsi; apparentemente
il maldestro tentativo di Cabrinovic ha spiazzato gli attentatori più che il
corteo dell’arciduca. L’auto con gli ufficiali feriti si dirige verso
l’ospedale, mentre il resto prosegue verso il municipio, come da programma.
5. -Vjetko Popovic guarda
svolgersi la scena senza interferire. Dopo l’attentato, Cabrinovic e Princip
faranno anche il suo nome e verrà arrestato dalle autorità austriache. Nel
frattempo, l’arciduca raggiunge il municipio, dove investe il povero sindaco
Fehim Curcic con una delle sue sfuriate. Infine, calmatosi, decide di
raggiungere l’ospedale per constatare personalmente le condizioni dei feriti
dell’attentato di Cabrinovic.
DAL MUNICIPIO VERSO
L’OSPEDALE: L’ATTENTATO FATALE
6. -Ora l’auto dell’arciduca è
la seconda, con a bordo l’erede al trono, la moglie, ancora Potiorek che ora
sembra avere perso molta della sicurezza iniziale e, sul predellino accanto a
Francesco Ferdinando, il conte Harrach. La vettura in testa porta il sindaco.
Si decide di seguire il lungofiume per evitare le stradine più strette e
affollate, ma l’autista in testa non è informato (o, secondo altre versioni,
non capisce) e gira lo stesso in Via Francesco Giuseppe, la più veloce per
raggiungere l’ospedale, ma anche meno sicura rispetto al più largo e presidiato
lungofiume. Gavrilo Princip, che già non era riuscito ad agire all’andata a
causa della velocità del corteo a seguito dell’attentato di Cabrinovic, ora si
vede sfuggire la preda anche al ritorno, poiché le auto di testa girano prima
della sua posizione vicino al Ponte Latino.
6a -Potiorek, ormai in stato
confusionale, urla all’autista della vettura, Leopold Lojka, di fermarsi e NON
procedere lungo via Francesco Giuseppe, ma di tornare verso il lungofiume.
Mentre Lojka sta effettuando la manovra, Princip si sposta verso il Café Moritz
Schiller e proprio qua, per una triste coincidenza, si imbatte nell’auto
dell’arciduca intenta nella manovra e spara due colpi, uccidendo l’arciduca e
la moglie.
7. -Trifko Grabez, un altro
giovanissimo terrorista del gruppo, armato di bomba a mano, riesce a sfuggire
mischiandosi alla folla dopo gli spari di Princip; verrà arrestato più tardi a
seguito della confessione di Danilo Ilic.
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